“Munizioni, non api!”. Che, in inglese, suona quasi un gioco di parole:”Bullets, not bees!”. Sotto questa insegna, Politico.eu aveva collocato il Vertice europeo ‘speciale’ di metà aprile, l’ultimo, salvo drammi, prima delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno.
Che cosa vuol dire? E’ un modo, molto scanzonato, per segnalare che l’Unione europea, negli ultimi mesi, ha mostrato la tendenza elettoralistica, e quindi populista, ad affossare le opzioni verdi e a valorizzare, invece, il percorso dell’Europa della Difesa, intesa, però, come rafforzamento dell’industria degli armamenti, per dare più sostegno all’Ucraina dall’aggressione della Russia.
Dall’autunno scorso, da quando cioè governi e deputati hanno cominciato a sentire odore di voto, come purosangue che fiutano la stalla, le Istituzioni europee, soprattutto Consiglio dei Ministri e Parlamento, ma anche la Commissione, hanno rinnegato, o ridimensionato, punti di forza qualificanti della legislatura al tramonto. Le scelte verdi, anti-riscaldamento globale, sono state subordinate agli interessi economici sostanzialmente negazionisti dei settori dell’auto e dell’energia o a spinte corporative come quella degli agricoltori.
E, verso le elezioni europee, il disegno dell’Unione della Difesa, ideata come pilastro europeo dell’Alleanza atlantica, è stato retrocesso a Unione dell’industria degli armamenti: una fabbrica di guerra e un outlet di armj d’asporto, tutto al contrario di un laboratorio di tutela della pace.
Per giustificare il gioco di parole, Politico osservava che “la bozza delle priorità dell’Unione per i prossimi cinque anni insiste sulla difesa e menziona appena il cambiamento climatico”. E notava tutta una serie di prese di posizione recenti dell’Ue – migranti, clima, agricoltura – che antepongono opportunismi immediati a scelte lungimiranti.
Decisioni spesso contraddittorie di impegni già assunti e talora di convergenze politiche consolidate, sovente approssimativamente motivate: quando il ministro dell’Economia italiano Giancarlo Giorgetti si chiede chi pagherà i costi dell’efficientamento energetico delle nostre case, dovrebbe piuttosto chiedersi chi paga il costo dell’inefficienza energetica delle nostre case, non solo nei termini del riscaldamento globale, ma anche nei termini più prosaici di ‘caro bollette’.
Ue: verso elezioni europee, nomi e progetti

L’involuzione elettoralistica dell’Unione europea non s’è poi concretizzata oltre misura al Vertice d’aprile perché è successo che, come accade spesso, l’attualità ha fatto deragliare una riunione che doveva tratteggiare il futuro dell’Ue, dal miglioramento della competitività al completamento, mai realizzato, del mercato unico, traendo linfa dai lavori preparatori affidati a due ex premier italiani, Mario Draghi, che sta ponderando il suo rapporto, ed Enrico Letta, che ha già consegnato il suo.
Il documento di Letta ha ricevuto molti apprezzamenti, ma anche qualche critica. L’ex premier nota: “Il vero nemico del mio lavoro è il cassetto”. Una destinazione che, specie col cambio della guardia da una Commissione all’altra, non può essere esclusa. Vale anche per i suggerimenti di Draghi, se l’ex governatore della Banca centrale europea non si troverà in posizione di forza dopo il rinnovo delle Istituzioni europee.

Draghi, infatti, è in corsa per uno degli incarichi di punta della prossima legislatura 2024-2029, cioè la presidenza della Commissione europea, dove le chances di Ursula von der Leyen, che sembrava inattaccabile, sono in caduta libera in questa fase, tra diffidenze politiche e incidenti di percorso.
Ad avere “sguainato i coltelli” contro la presidente uscente – l’immagine, che è corrente a Bruxelles, evoca le Idi di Marzo – sono socialisti, verdi, liberali, che hanno tutti loro candidati a quel posto, più o meno di facciata, e che sono indispettiti dall’insistenza con cui UvdL corteggia i conservatori; ma c’è fronda anche nel suo partito, i popolari europei.
Man mano che le elezioni europee s’avvicinano, si rafforza l’impressione che il rafforzamento dei conservatori e dei sovranisti, largamente pronosticato, non sarà così forte da consentire maggioranze alternative, rispetto a quella ‘europeista’ fra popolari, liberali, socialisti e verdi. Nonostante la ‘corsa al centro’ puramente ‘acchiappa voti’, dei conservatori italiani, cioè Fratelli d’Italia, non è detto che popolari e liberali accettino di fare comunella con un gruppo in cui ci sono gli integralisti cattolici polacchi e la destra spagnola franchista di Vox.

Quanto alla ripartizione delle presidenze, della Commissione, del Consiglio – l’ex premier belga Charles Michel, liberale, non dovrebbe essere confermato – e del Parlamento europeo – attualmente, la popolare maltese Roberta Metsola -, la prima scelta spetterà all’Assemblea uscita dalle elezioni europee dal 6 al 9 giugno: uomo o donna, di quale nazionalità, di quale famiglia politica, gli eurodeputati decideranno nella prima sessione del nuovo Parlamento, a luglio.
Il loto voto condizionerà le scelte dei capi di Stato o di governo dei 27 cui spetta designare il presidente della Commissione, che deve ricevere l’investitura del Parlamento, e quello del Consiglio. A tenere in corsa Draghi è il presidente francese Emmanuel Macron. L’Italia di Giorgia Meloni pare, invece, tifare UvdL, anche se non potrebbe certo mettersi di traverso all’ex premier.
L’Unione gambero degli ultimi mesi non ha voce in capitolo nelle guerre in Ucraina e tra Israele e Iran o nella Striscia di Gaza. Ascolta, senza poterli soddisfare, gli appelli agli aiuti che vengono da Kiev – ci hanno comunque pensato gli Usa, sabato, a colmare i vuoti negli arsenali ucraini -; e lancia ad Israele appelli alla moderazione che resteranno inascoltati.
Sarà del resto così fin quando l’Unione non sarà anche politica e della difesa. La prossima legislatura sarà quella buona? a 50 giorni dalle elezioni europee, Sperarlo si può, crederlo è difficile.