L’Unione europea in quanto tale e i suoi tre Paesi firmatari dell’accordo sul nucleare con l’ Iran, Gran Bretagna, Francia e Germania, hanno finora tenuto il punto sull’intesa: il presidente Macron, la cancelliera Merkel e il ministro degli esteri Johnson hanno fatto la processione a Washington nei giorni scorsi per cercare di convincere Trump a non uscire dall’accordo; e, ieri, nell’imminenza dell’annuncio, ci sono stati consulti diplomatici a Bruxelles con l’Iran e un consulto telefonico a tre May-Macron-Merkel. Ne è scaturita una presa di posizione europea, affidata all’Alto Rappresentante Federica Mogherini, che era a Roma, e prese di posizioni nazionali analoghe, se non coincidenti: l’accordo resta valido, l’Iran lo sta rispettando. Anche l’Italia, che pure non fu parte dei negoziati fra l’ Iran e i ‘5 + 1’ – i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, potenze nucleari ‘legittime’ e la Germania -, è allineata su questa posizione.
Iran: l’uscita dall’accordo di Trump divida Ue e Usa
Scritto per Il fatto Quotidiano del 10/05/2018
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Lo dico al Fatto – A seguito delle affermazioni e decisioni prese dal presidente Trump rispetto all’ Iran, ora mi aspetto che l’Europa prenda una posizione libera ed autonoma. Pertanto, se l’Unione europea ed i suoi singoli Paesi membri vogliono instaurare o proseguire in rapporti economici con l’ Iran, lo devono fare, per affermare la propria autorevolezza a livello mondiale. L’America di Trump potrebbe avviare un programma di sanzioni e ritorsioni, ma dubito fortemente che ciò possa avvenire senza gravi ripercussioni economiche, politiche e sociali negli Usa, con conseguenza anche sulla permanenza di Trump alla Casa Bianca. Distinti saluti. Paride Antoniazzi
A tenere insieme gli europei, c’è la convinzione che l’accordo funziona, nell’evitare una deriva dell’Iran verso il nucleare militare, e che il rispetto dell’intesa giova all’Iran, politicamente, socialmente ed economicamente, e pure all’Europa, specie dal punto di vista energetico e commerciale. L’ Iran è un fornitore d’energia importante e un mercato da 80 milioni di abitanti fra i più ricchi, se non il più ricco, del Grande Medio Oriente. Inoltre, il coinvolgimento dell’Iran nella diplomazia regionale e internazionale contribuirà, è la speranza a medio termine, ad attenuare le tensioni regionali ed a incoraggiare la modernizzazione della società iraniana.
Certo, c’è il rischio di incorrere negli strali di Trump, più che dell’America. Cosa, del resto, già accaduta con il clima e imminente con i dazi. Credo che l’Unione e i suoi Paesi, almeno i maggiori, abbiano la convinzione e le risorse per affrontare questo rischio. Sarei meno fiducioso, invece, sull’impatto che un braccio di ferro con l’Europa avrebbe sulla presidenza di Trump: negli Stati Uniti più che altrove le tensioni internazionali innescano reazioni patriottiche e coagulano il consenso intorno al ‘comandante in capo’. Accade anche quando la causa difesa è cattiva, come nel caso dell’invasione dell’Iraq da parte di Bush: è vero che l’America era sotto lo shock dell’11 Settembre, ma l’onda del consenso per un’azione bellica inutile e ingiustificata dalle conseguenze catastrofiche arrivò fino alla rielezione del presidente nel 2004.
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