Guerre, punto – Tra frustrazioni, dietrofront e rinvii, Medio Oriente, Ucraina, dazi sono i tre principali filoni dell’azione internazionale degli Stati Uniti in questi giorni convulsi e confusi. Gli incontri ripetuti tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu non sfociano in una tregua nella Striscia di Gaza, dove continua il massacro. L’irritazione di Trump nei confronti del presidente russo Vladimir Putin, espressa in termini volgari, innesca un’inversione di rotta sulle forniture di armi a Kiev.
Il rilancio della ‘guerra dei dazi universale’, con l’invio di lettere a numerosi Paesi, fa da paravento all’ennesimo rinvio dell’ora X delle nuove tariffe: dal 9 luglio al primo agosto, c’è ancora spazio per negoziare, forse nella consapevolezza – esplicitata dal Washington Post – che “con la ‘guerra dei dazi’, Trump seppellisce gli Stati Uniti in una fossa geopolitica”.
In nessuna delle tre guerre aperte, Trump ottiene risultati. Netanyahu adotta la tattica dell’adulazione e gli fa omaggio della candidatura al Nobel della Pace: un vero e proprio paradosso, un leader colpito da mandato di cattura della Corte penale internazionale per crimini di guerra candida chi ha appena ordinato i bombardamenti sull’Iran, in aperta violazione del diritto internazionale. Putin tira la corda per vedere fin dove può arrivare. Nei negoziati sui dazi, gli Stati Uniti incontrano muri di gomma: gli interlocutori attendono che prima o poi Washington capisca che le tariffe sono un boomerang.
Guerre: MO, Striscia di Gaza, i nodi del ritiro delle truppe e degli aiuti

Il presidente Trump ripete che un’intesa su una tregua nella Striscia di Gaza è possibile in settimana – lo diceva pure la settimana scorsa -, sulla base della proposta Usa: 60 giorni di cessate-il-fuoco, con la restituzione di 30 dei 50 ostaggi tuttora detenuti da Hamas, dieci vivi e venti morti. Israele ha tuttavia respinto le integrazioni di Hamas alla bozza d’accordo e continua a condurre azioni militari letali, con decine e talora centinaia di vittime civili al giorno.
A Doha, i mediatori del Qatar e dell’Egitto discutono, separatamente, con i negoziatori israeliani e di Hamas, ma lasciano filtrare che “ci vorrà tempo” per un’intesa e che “non è possibile fare previsioni precise”. A riprova, l’inviato Usa per il Medio Oriente Steve Witkoff, che pure esprime ottimismo, in sintonia con Trump, rinvia la partenza da Washington.
Netanyahu è stato alla Casa Bianca lunedì – una cena di lavoro – e martedì – un incontro di oltre un’ora e mezzo -. Fra le differenze che restano da superare per un accordo di tregua a Gaza, c’è – riferisce Axios – quella del riposizionamento dell’esercito israeliano dalla Striscia: Hamas vuole che si ritiri sulle linee stabilite prima che il precedente cessate-il-fuoco venisse infranto (dagli israeliani) a fine marzo; Israele non intende farlo.
Hamas, inoltre, vuole garanzie degli Stati Uniti che Israele non riprenda unilateralmente la guerra dopo la tregua di 60 giorni. Il nodo degli aiuti umanitari sarebbe stato invece risolto: nelle zone della Striscia da cui gli israeliani si ritireranno saranno forniti dalle Nazioni Unite o da organismi internazionali non affiliati né a Israele né a Hamas.
Guerre: punto, Ucraina, Trump scontento di Putin darà armi a Zelensky

Nei confronti di Putin, Trump pare davvero irritato: ieri, è sbottato in un volgare “Ci dice un sacco di stronzate – ‘bullshit’ in inglese, ndr -… Vogliamo sapere la verità… È sempre molto gentile, ma alla fine si rivela inutile…”. Lunedì, era stato meno rude: “Non sono affatto contento di Putin – aveva detto -… Sono francamente deluso che non abbia voluto fermare la guerra in Ucraina”. E, quindi, aveva spiegato che gli Stati Uniti invieranno nuove armi a Kiev: “Dobbiamo farlo, perché gli ucraini, che ora vengono colpiti molto duramente, devono essere in grado di difendersi”.
La scorsa settimana, il Pentagono aveva annunciato una pausa e un rallentamento nelle forniture d’armi all’Ucraina, in particolare missili per la difesa aerea e munizioni d’artiglieria di precisione, giustificando la decisione con la carenza di disponibilità per le forse armate degli Stati Uniti. Poi, ci sono state telefonate di Trump con Putin e con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che hanno fatto cambiare idea al leader Usa, in particolare per quando riguarda la difesa aerea.
Per Axios e il Wall Street Journal, a Zelensky Trump ha promesso l’invio di sistemi di difesa Patriot all’Ucraina e l’Amministrazione Usa starebbe valutando se altri Paesi possano fornire Patriot a Kiev. Da Mosca non prendono bene la svolta di Trump, in particolare la decisione di continuare ad armare l’Ucraina: “Queste azioni non rientrano certo in una logica di soluzione pacifica”, dice il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Qualche giorno or sono, all’annuncio che Washington non avrebbe più fornito armi a Kiev, la Russia aveva applaudito; ora, adegua la reazione alla giravolta di Trump.
Secondo Euronews, la Russia sta cercando di arruolare soldati stranieri, alias mercenari, per evitare un’ulteriore mobilitazione per compensare le perdite subite sul terreno. A tal fine, Putin ha firmato un decreto che consente agli stranieri di servire nell’esercito russo anche senza che sia stato proclamato lo stato d’emergenza o introdotta la legge marziale.
Fronte europeo, due i percorsi quasi paralleli ed entrambi, per ora, sterili o in anticipo sui tempi: ci sono in programma in settimana una riunione dei volenterosi a Londra e una sulla ricostruzione dell’Ucraina a Roma. In un discorso ai Comuni di Londra, il presidente francese Emmanuel Macron ha confermato che Francia e Regno Unito sono unite nel guidare la coalizione dei volenterosi e che “gli europei non abbandoneranno mai l’Ucraina”.
Guerre: punto, dazi, Trump prepara nuove lettere, è morbido con l’Ue

Se è rude con Putin, Trump, in questa fase, per quel che vale, è morbido con l’Europa, perché – spiega – “l’Ue ci sta trattando molto bene” (il che può significare che è prona ai suoi desideri). Washington propone a Bruxelles un dazio un “del 10% su tutto, con eccezioni su alcolici e aerei”; Bruxelles sarebbe incline ad accettare, ma resta “pronta ad adottare contromisure” – le parole sono del ministro delle Finanze tedesco Lars Klingbeil -, se ci fossero cambi di rotta americani (mai esclusi nell’era Trump).
La situazione resta aperta e delicata anche su altri fronti. La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha ribadito la posizione di Pechino sulle guerre commerciali: “Non ci sono vincitori nei conflitti commerciali o tariffari. Il protezionismo danneggia tutte le parti in causa”. Pure il Wall Street Journal critica le scelte del magnate presidente, soprannominato ‘Tariff Man’. Secondo il giornale, i danni che i dazi causeranno “sono notevoli, visto il volume degli scambi”: Trump non impone le tariffe per contribuire al libero scambio, ma “perché gli piacciono”.
Lunedì, Trump aveva detto: “Con i dazi, abbiamo già incassato oltre 100 miliardi di dollari e non abbiamo ancora iniziato”. Trump lo ha aveva annunciato, poche ore dopo avere firmato lettere indirizzate a 14 Paesi, fra cui Giappone, Corea del Sud, Malaysia, Laos, Myanmar, SudAfrica, Kazakhstan, che minacciano ulteriori dazi dal 25 al 40% che entreranno in vigore il primo agosto, se nel frattempo non saranno intercorsi diversi accordi.
I negoziati proseguono con l’Unione europea e con altri Paesi: la scadenza della tregua di tre mesi annunciata dal magnate presidente il 9 aprile, è di fatto già rinviata al primo agosto. Gli Stati Uniti hanno già raggiunto accordi commerciali con una manciata di Paesi, fra cui Gran Bretagna, Vietnam e, in termini generali, Cina. Il segretario al Tesoro Scott Bessent conferma che i negoziati con l’Ue “procedono”: Washington applica nelle trattative la strategia della “massima pressione”, come Trump fa in tutte le sue guerre.