A tutta dazi, questa mattina, sui media Usa e di tutto il Mondo, perché i nuovi ordini sulle tariffe, firmati del presidente Donald Trump ieri alle sette di sera, le 23.00 italiane, sono entrati in vigore alla mezzanotte di Washington, cioè alle sei del mattino nostre. L’Ap, che dava notizia della firma con una ‘breaking news’, specifica che le nuove tariffe entreranno in vigore nell’arco di sette giorni nei confronti di una vasta gamma di partner commerciali degli Stati Uniti – quasi tutti, in pratica -, con differenziazioni per Paesi o gruppi di Paesi e per prodotti o categorie di prodotti.
In effetti, l’Amministrazione Trump 2 sta ancora cercando di mettere ordine nelle intese annunciate nei giorni scorsi – la più importante, quella con l’Unione europea – e sta ancora trattando con vari altri Paesi. Un precedente decreto presidenziale aveva posticipato la ‘guerra dei dazi universale’, che doveva scattare il 9 luglio, al 1° agosto: prevedeva che oggi scattasse un dazio unico ‘erga omnes’ del 30%, salvo diversi accordi intercorsi.
Dazi: la situazione Paese per Paese
Il problema, ora, è che molte delle intese raggiunte – ne citiamo alcune: Cina, Ue, Gran Bretagna, Giappone, Corea del Sud, Indonesia, Vietnam, etc – sono ‘di massima’ e devono ancora essere scritte in modo dettagliato. Invece, alcune misure ‘punitive’ sono immediate, come il 35% di dazio imposto al Canada, perché il governo di Ottawa intende riconoscere a settembre lo Stato della Palestina, o ancora il 25% all’India, perché il governo di New Delhi compra armi ed energia alla Russia, nonostante “l’amicizia” tra Trump e il premier indiano Narendra Mori.
E mentre il Messico si vede accordare un rinvio di 90 giorni per continuare i negoziati, il Brasile è invece colpito da una stangata di dazi al 50% per motivi esclusivamente politici, come il Canada: ‘osa’ mettere sotto processo l’ex presidente ‘trumpiano’ Jair Messias Bolsonaro, colpevole d’avere sobillato, il 7 gennaio 2022, una sommossa del tutto analoga a quella istigata il 6 gennaio 2021 dall’allora presidente Trump, un vero e proprio tentativo di colpo di Stato per rovesciare il risultato delle elezioni.
Sotto il cielo del protezionismo, la confusione è, dunque, grande e i titoli dei media statunitensi, talora contraddittori, la rispecchiano. La Cnn apre così: “Trump annuncia nuovi storici dazi attraverso il Globo. La nuova politica rende definitiva, per gli Stati Uniti, la transizione da decenni di libero commercio a una nuova era protezionistica”.
Fra tanti titoli fotocopia, il Washington Post segnala l’intenzione di Trump di trasformare in ‘ristori’ per i contribuenti una parte del ricavato dei dazi. Questo progetto populista sarebbe però osteggiato da deputati e senatori repubblicani, che vorrebbero dare la priorità alla riduzione del debito. Vedremo come la vicenda andrà a finire, anche se, finora, nel Trump 2, i Congressman repubblicani si sono sempre piegati al volere del ‘boss’.
Trump 2: ridda di notizie economiche, costo del denaro e crescita
Le notizie sui dazi si intrecciano a una ridda di notizie economiche in evidenza in questi giorni. Fra le principali: il costo del denaro resta invariato e l’economia è cresciuta del 3% nel secondo semestre 2025..
Sulla decisione della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, di non modificare il tasso di sconto tra il 4,25 e il 4,5%, nonostante le forti pressioni del presidente Trump sul presidente Fed Jerome Powell e manifestazioni di dissenso interno, i media riportavano ieri le motivazioni addotte: un rallentamento dell’economia, la cui crescita “è moderata”, e il fatto che l’inflazione resta “piuttosto elevata”. Per ilk Wall Street Journal, Powell “scommette” sul fatto che l’economia “rivelerà il suo vero volto nei prossimi due mesi”.
Proprio i dati sulla crescita sono interpretati in modo diverso dai maggiori media. Per il New York Times, la crescita è stata più lenta nel primo semestre 2025 rispetto al ritmo del 2024, causa dazi e incertezza che inducono gli imprenditori a rallentare gli investimenti ed i consumatori a controllare le spese. Per il Washington Post, invece, il dato del secondo trimestre, migliore di quello del primo, mostra un’inversione di tendenza: l’economia sta superando le difficoltà create dal primo approccio con l’Amministrazione Trump 2.
Trump 2 riscrive la storia alla 1984
Da segnalare una ‘breaking news’ del Washington Post che dimostra, una volta di più, come l’America di Trump, e il Mondo che gli va dietro e lo lusinga, siano piombati in un’anomalia topo ‘1984’ di Georges Orwell: la riscrittura della storia. Il Museo nazionale della storia americana, branca della Smithsonian, la più autorevole istituzionale culturale degli Stati Uniti, ha cancellato, nella sezione dedicata agli impeachment, la menzione dei due cui fu sottoposto il presidente Trump nel primo mandato, uscendone sempre assolto. E’ rimasto il cartello secondo cui solo tre presidenti hanno seriamente rischiato di essere rimossi – due furono assolti, Andrew Johnson e Bill Clinton; uno, Richard Nixon, si sottrasse alla condanna dimettendosi -.
Come diceva ieri la Fox News, la tv ‘all news’ trumpiana, “gli avversari del magnate presidente sono costretti a mandare giù rospi perché le vittorie di Trump si accumulano oltre ogni previsione”.