HomeMondoUcraina: punto, Cina apre brecce in Europa, Usa e Kiev fanno argine

Ucraina: punto, Cina apre brecce in Europa, Usa e Kiev fanno argine

Scritto, in versioni diverse, per La Voce e il Tempo uscito il 30/03/2023 in data 02/04/2023, per il Corriere di Saluzzo del 30/03/2024, per il blog di Media Duemila che lo pubblica il 30/03/2024 https://www.media2000.it/ucraina-cina-apre-brecce-in-europa-usa-e-ucraina-fanno-argine/

-

Respinto da Washington e Kiev, il piano di pace cinese sull’Ucraina apre qualche breccia europea. C’è la fila per andare a Pechino: Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Pedro Sanchez hanno tutti in agenda missioni cinesi, come – più tardi – Giorgia Meloni. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrel, un falco, vuole esplorare il potenziale dell’iniziativa della Cina: “I cinesi – sostiene – vogliono essere facilitatori, non mediatori. E’ un ruolo da incoraggiare”.

Concluso il Vertice europeo della scorsa settimana, Sanchez si barcamenava tra ortodossia atlantica e apertura europea: “Per risolvere il conflitto, la Spagna e l’Europa sostengono il piano Zelenski… Però il documento cinese ha spunti d’interesse”, fra cui il rifiuto del ricorso al nucleare e il rispetto dell’integrità territoriale; “La Cina è un attore globale e la sua voce va ascoltata per trovare come porre fine alla guerra e aiutare l’Ucraina a recuperare la sua sovranità”.

Il segretario di Stato Usa Antony Blinken parla di “matrimonio d’interesse”, commentando la visita di Xi a Mosca: la politica estera cinese offre una visione multipolare con Pechino, non Washington, al centro dello scacchiere internazionale. Su AffarInternazionali.it, Vittoria Mazzieri di China Files scrive che la Cina ha certamente “rafforzato la pretesa di proporsi come “potenza responsabile”, capace di “mediare” tra attori terzi.

Lo ha dimostrato, fra l’altro, rivendicando come un proprio successo diplomatico l’accordo tra Iran e Arabia Saudita, cioè tra l’arci-nemico e l’arci-amico degli Stati Uniti in Medio Oriente; e ancora lo dimostra tagliando sistematicamente, sotto i piedi di Taiwan, l’erba delle relazioni diplomatiche. L’Honduras è da poco divenuto l’ultimo Paese a lasciare l’Isola Stato per la Repubblica popolare: ormai, sono solo 13 gli Stati al Mondo che riconoscono Taiwan.

Il vertice per la democrazia: una risposta americana
In questa fase, Mosca si nasconde dietro Pechino. A Washington e Kiev resta il ruolo da oltranzisti, che il presidente Usa Joe Biden cerca di ammorbidire convocando il 2° summit per la democrazia: focus sull’Ucraina e invito inviato a 120 Paesi, esclusi Cina e Russia, ma pure Ungheria e Turchia, oltre a Corea del Nord, Iran, Venezuela, Cuba, Nicaragua e molti altri.

L’idea di fondo è che l’invasione dell’Ucraina modifica l’ordine internazionale e inasprisce la sfida tra democrazie e autarchie. Ma l’elenco di presenti e assenti tratteggia più un perimetro d’alleanze che uno spartiacque tra democrazie e dittature.

Al summit, co-presieduto da Olanda, Costa Rica, Corea del Sud e Zambia, sono stati invitati i Paesi della prima edizione del dicembre 2021, con l’aggiunta di Bosnia ed Erzegovina, Liechtenstein, Costa d’Avorio, Gambia, Mauritania, Mozambico, Tanzania e Honduras. A rappresentare l’Italia, è il ministro degli esteri Antonio Tajani.

Mosca esprime “profondo rammarico” per la decisione del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres d’intervenire a quello che la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova definisce “uno spettacolo indegno”, “un esempio delle pratiche neocoloniali degli Stati Uniti”: Washington vuole “creare una piattaforma ideologica per combattere” i suoi rivali, “primi fra tutti Russia e Cina”.

Il Cremlino deplora, inoltre, che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non abbia approvato, lunedì 27, una risoluzione che condannava il sabotaggio al gasdotto NordStream, compiuto l’estate scorsa, e chiedeva un’inchiesta internazionale – secondo quanto finora accertato, l’azione sarebbe attribuibile ad elementi filo-ucraini -. La mozione ha ricevuto tre sì, Russia, Cina e Brasile, e 12 astensioni.

La corsa alle armi: aerei, carri, missili, la bomba
La diplomazia è in fermento, pur senza risultati. Il fronte di guerra è statico, nonostante lo stillicidio di bombardamenti e di combattimenti, con il loro tragico corollario di vittime e caduti. Ma c’è grande trambusto per quanto riguarda armamenti e movimenti tattici. Gli aerei all’Ucraina arrivano con il contagocce (e solo vecchi modelli di matrice sovietica). Invece, i carri armati vanno veloce: nel giro di due mesi, la Germania ha deciso di dare all’Ucraina 18 suoi Leopard 2, ha addestrato militari ucraini a manovrarli e li ha consegnati.

Con i carri armati, la cui consegna sarebbe stata ultimata lo scorso fine settimana, sono arrivati circa 40 veicoli da combattimento per la fanteria Marder. E dalla Gran Bretagna sono rientrati in Ucraina militari addestratasi sui carri Challenger 2, anch’essi in pronta consegna. L’arrivo dei panzer potrebbe avvicinare l’ora in cui Kiev farà scattare l’annunciata controffensiva,

Berlino aveva inizialmente promesso a Kiev 14 carri armati Leopard 2, poi era salita a 18, che vanno ad affiancarsi a quelli, meno moderni, forniti da Polonia e altri Paesi Nato est-europei. Secondo fonti d’intelligence, i panzer consegnati all’Ucraina cono largamente dotati di munizioni e pezzi di ricambio.

La Bundeswehr ha riservato ai carristi ucraini sessioni di addestramento speciali. E tecnici ucraini sono stati messi in grado di riparare i corazzati. A Munster, in Bassa Sassonia, dove c’è un’area d’esercitazione, i militari ucraini hanno potuto esercitarsi a sparare dal vivo con i Leopard. Secondo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, i tedeschi, “pompando armi a Kiev”, svolgono un ruolo nel conflitto e aumentano “il loro coinvolgimento diretto e indiretto”.

Mosca ne ha pure per Washington. Il Ministero della Difesa russo dice di avere abbattuto in Ucraina un razzo Usa GLSDB, prima prova che tali munizioni sono state consegnate a Kiev, che le ritiene essenziali per la sua imminente controffensiva. Un comunicato ufficiale recita: “La difesa anti-aerea … ha abbattuto 18 razzi Himars e un razzo GLSDB”, ordigni con gittata fino a 150 km promessi all’Ucraina dagli Usa a inizio febbraio.

Ma pure la Russia è attiva sul fronte degli armamenti: ha appena testato missili anti-nave nel Mar del Giappone. Due missili da crociera anti-nave supersonici Moskit, capaci di portare testate sia convenzionali che atomiche, hanno colpito un obiettivo fittizio a circa cento km di distanza.

Su un piano più convenzionale, il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu annuncia un aumento dei sette/otto volte, entro fine anno, della “produzione di proiettili d’artiglieria, carri armati, mortai di vario calibro e missili aerei non guidati negli impianti delle regioni di Chelyabinsk e Kirov”. E Politico, sulla scorta di dati doganali e commerciali, parla di forniture di giubbotti anti-proiettile cinesi alla Russia (il che è compatibile con le affermazioni del Pentagono che non ci sono prove che Pechino dia a Mosca strumenti “letali”).

Però, fonti d’intelligence citate da vari media affermano che il Cremlino sta ridimensionando i piani di primavera nell’Est dell’Ucraina: più che a conquistare territori, baderà a difendere quelli già occupati dalla controffensiva ucraina, dopo che Kiev avrà avuto le armi promesse dai Paesi Nato. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Stiamo aspettando le munizioni dai nostri partner … I russi usano ogni giorno il triplo dei proiettili che usiamo noi”.

E’ la Bloomberg a scoprire le carte del Cremlino, che, deluso dall’andamento dei combattimenti, pure a Bakhmut, starebbe cercando di arruolare fino a 400.000 “soldati a contratto”, cioè mercenari, per rimpiazzare le perdite subite finora ed evitare un’altra mobilitazione su larga scala (fra un anno, ci saranno le elezioni presidenziali). L’obiettivo dei 400.000 ‘volontari’, pur considerando veterani e persone a basso reddito attratte dal soldo, è, a giudizio di esperti ed analisti, “irrealistico”.

Il presidente russo Vladimir Putin è lungi dal mostrare arrendevolezza e torna ad agitare lo spettro del nucleare, come fa sempre quando vuole fare salire la tensione o mettere fretta, e paura, all’Occidente. Il 1° luglio sarà pronto un deposito di armi nucleari tattiche russe in Bielorussia, senza violare i trattati esistenti, ed è già stato consegnato a Minsk il sistema missilistico Iskander, capace di trasportare armi nucleari. “Schiereremo in Bielorussia – annuncia Putin – anche 10 aerei in grado di trasportare armi nucleari tattiche” e “produrremo oltre 1.600 carri armati entro un anno, avremo oltre tre volte il numero dei carri armati ucraini”.

La Casa Bianca e il Pentagono minimizzano: finora, non hanno visto segnali di movimenti nucleari da parte russa. Ma, sul nucleare, Pechino pare ‘tirare le orecchie’ a Mosca: nelle circostanze attuali, notano le fonti cinesi, “tutte le parti dovrebbero concentrarsi sugli sforzi diplomatici per risolvere pacificamente la crisi e promuovere l’allentamento delle tensioni”. Forse è un gioco delle parti; o, forse, Putin non aveva anticipato le sue intenzioni al presidente cinese Xi Jinping, nei loro incontri, a Mosca, il 20 e 21 marzo.

Il cuneo dell’Italia tra Cina e Occidente
Tra qualche settimane, l’Italia dovrà cominciare a interrogarsi se lasciare, o togliere, il cuneo che, sulla Cina, aveva infilato fra sé e l’Occidente, firmando, il 23 marzo 2019, tre memorandum d’intesa destinati, nelle intenzioni, a migliorare le relazioni economico-commerciali italo-cinesi. Poi, vennero la pandemia e la guerra in Ucraina, cambiarono i governi e i contesti.

I memorandum, su Belt and Road Initiative, cioè la Nuova Via della Seta, e-commerce e startup, sono validi per cinque anni e vengono automaticamente prorogati, salvo che una parte vi ponga termine dandone preavviso scritto di almeno tre mesi all’altra parte. Il Governo Meloni deve, dunque, decidere, entro fine anno, che fare.

Nel 2019, a firmare le intese furono l’allora vice-premier e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio e il presidente della commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme He Lifeng. Era il governo Conte 1, la coalizione giallo-verde tra M5S e Lega che, in politica estera, aveva impostazioni alternative rispetto a quelle dei governi successivi, nettamente meglio disposti verso l’Ue e più atlantisti.

Allora, l’adesione italiana al disegno geo-politico e infrastrutturale cinese noto come Nuova Via della Seta aveva avuto echi negativi Usa e Ue: era un caso unico, nel G7; un caso non raro fra i 27. Almeno altri 13 Paesi dell’Unione hanno siglato un memorandum d’intesa con la Cina, Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Dei Paesi che un tempo facevano parte di Patto di Varsavia e Comecon, manca solo la Romania.

Ora, la riflessione italiana sul rinnovo o la denuncia degli accordi datati 2019 e Conte 1 coincide con una fase in cui la Cina del terzo mandato di Xi Jinping cala in tavola le carte da attore globale non solo economico e commerciale, ma anche politico e militare.

 

gp
gphttps:
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

ULTIMI ARTICOLI

usa 2020

coronavirus - elezioni - democrazia - ostaggio

Coronavirus: elezioni rinviate, democrazia in ostaggio

0
Elezioni rinviate, elezioni in forse, presidenti, premier, parlamenti prorogati: la pandemia tiene in ostaggio le nostre democrazie e, in qualche caso, le espone alla...