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Il Settimanale 2020 2 – La Fase 2: la pazienza cinese

Scritto per Il Settimanale 2020 2 - La Fase 2 del 10/05/2020

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Con l’inizio della fase 2 del lockdown, non sono stati solo 4,4 milioni di italiani a tornare sul posto di lavoro. Anche la numerosa comunità cinese presente sul territorio –  in particolare, nella zona della capitale qui presa in esame – ha mosso i primi passi verso la riapertura di ristoranti e negozi. Tutti con il medesimo obiettivo di salvare il salvabile, nella speranza di un rilancio economico che non risenta dei pregiudizi legati alla diffusione del coronavirus.

Molti sono stati gli esercizi commerciali cinesi nella periferia romana che hanno anticipato l’attuazione delle norme di chiusura. Una tendenza riscontrata in altre regioni, come nel caso toscano di Prato, dove già dal mese di gennaio hanno arrestato le loro attività per tutelare la clientela e loro stessi.

I primi a chiudere e gli ultimi ad aprire, i negozianti cinesi sono tra i pochi achiedere di rimandare la riapertura. I danni economici che stanno affrontando non si limitano ai disagi del lockdown ma anche a problematiche razziali. Un iconico ristorante nel quartiere di Piazza Vittorio, la ‘Chinatown’ romana, era stato costretto a chiudere già a inizio marzo a causa della poca affluenza.

C’è in giro un’epidemia di ignoranza… dobbiamo proteggerci”, recita il murales – vedi foto – della street artist Laika dedicato alla proprietaria del ristorante, Sonia, ben nota nel quartiere . Che ne sarà adesso di queste attività in un Paese segnato dalla paura e dal pregiudizio?

La realtà dell’economia cinese nel nostro Paese non può essere ignorata, basti pensare che solo nel febbraio 2019 erano attivi in Italia 50.797 imprenditori cinesi.

Durante i primi giorni di riapertura della fase 2, abbiamo fatto qualche domanda ad alcuni negozianti di quartiere. In zona Monte Mario, la proprietaria di un ristorante cinese racconta di aver messo a disposizione dei clienti un servizio d’asporto sia a pranzo che a cena. “Questa settimana, però, non abbiamo superato i dieci ordini giornalieri“, dice, notando un sintomatico calo delle vendite. Il risultato è un fatturato ridotto e tante preoccupazioni.

Nessuno ci ha aiutato, dice lamentandosi dello Stato, “non abbiamo ricevuto nessun sostegno economico”.  La paura è che nulla sarà più come prima e che le spese prevarranno notevolmente sugli incassi: Sarà molto difficile riportare l’attività agli splendori pre-coronavirus”.

Non va meglio per i negozi di articoli casalinghi che soffrono un calo delle vendite tanto quanto gli altri settori. “Percepisco un atteggiamento razzista, di diffidenza e paura”, ci racconta un negoziante di Prati, quartiere del centro: “Forse non era ancora il momento giusto per ripartire”.

È proprio questo il minimo comune denominatore delle attività gestite dai cinesi nei quartieri romani: attendere, aspettare e avere pazienza. Molteplici sono infatti i negozi che per il momento hanno deciso di non tirar su le saracinesche.

L’economia sta ripartendo, ma la ripresa prenderà tempo: “Più tempo in Italia che negli altri Paesi Ue”, avverte Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia, “l’Italia è in profonda recessione”.  Le prossime settimane saranno quindi cruciali per tutti e la comunità cinese sarà costretta a fronteggiare la crisi economica e il rafforzarsi della retorica anti-Cina. Sarà la fine del made in China?

La redazione l’Osservatore Isolato, composta da Giorgia Bonamoneta, Giulia Censi, Camilla Di Giacomo, Silvia Pallocca, Ilaria Romanelli. Le foto sono di Giulia Censi

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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