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Ue: elezioni europee, sovranisti non vincoli ma sparpagliati

Scritto per Il Quotidiano del Sud del 15/05/2019

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Tanti, ma “vincoli o sparpagliati?”, come si chiedeva Pappagone, macchietta televisiva Anni 60, interpretata da Peppino De Filippo. Sparpagliati, è la risposta netta e inequivocabile. I sovranisti conquisteranno molti seggi nel Parlamento europeo che uscirà dal voto del 23 e 26 maggio, ma sono fra di loro divisi; e le frizioni che emergono sono spesso più forti delle convergenze.

I punti d’incontro sono presto detti: l’essere euro-scettici, cioè il fare prevalere l’interesse nazionale su quello comune europeo, e l’essere anti-migranti, con venature più o meno marcate che vanno dalla generica xenofobia all’esplicito anti-islamismo – il caso degli olandesi del Partito della Libertà di Geert Wilders -, spesso travestito da difesa estrema dei valori cristiani – gli ungheresi del Fidesz di Viktor Orban -.

La divisione dei sovranisti, sotto insieme dei populisti, vale a destra. E vale, se possibile, e com’è tradizione, ancora di più, pure a sinistra, dove, però, più che sovranisti troviamo euro-scettici e dove, soprattutto, ne troviamo molti di meno: finiranno, probabilmente, per mettersi insieme, perché se non faticheranno a formare un gruppo nell’emiciclo di Strasburgo (e, se non fai gruppo, non hai tempo di parola e non prendi fondi per l’organizzazione delle attività).

Guardiamo, dunque, a destra. Dove non si profila, nell’Assemblea comunitaria che verrà, un unico gruppo sovranista, che – se ci fosse – potrebbe persino risultare il più numeroso. Per una questione di fondo e perché i punti di attrito sono molti e spesso decisivi. Senza contare il fatto che i leader sovranisti e populisti hanno caratteri forti e tratti autoritari e sono più inclini a inscenare ‘combats de chefs’ che a sedersi intorno al totem della concordia per fumare il calumet della pace.

La questione di fondo che li divide nel momento in cui li unisce è che i sovranisti sono concordi nell’affermare il primato della difesa dei propri interessi e, di conseguenza, vanno ciascuno per conto suo appena gli interessi di un Paese divergono da quelli di un altro. In sostanza, sono poco inclini alla solidarietà sovranazionale.

Un esempio: l’accordo sulla ridistribuzione dei migranti fallì perché i Paesi del Gruppo di Visegrad non ne vollero sapere di attuarlo -; e quando l’Italia dei dioscuri populisti Di Maio / Salvini cercò di fare comunella con loro, oltre che con l’Austria, dove gli anti-migranti dell’Fpoe di Heinz-Christian Strache sono al governo coi popolari di Sebastian Kurz, ne ricavò un risultato boomerang. Il Vertice dell’Ue del giugno 2018 produsse un’intesa, negoziata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per cui le decisioni sui migranti, che potevano essere prese a maggioranza, possono di lì in poi essere prese solo all’unanimità. Il che esclude qualsiasi politica europea in materia, e anche qualsiasi riforma degli accordi di Dublino.

La Lega di Salvini va abbastanza d’accordo con il Raggruppamento Nazionale di Marine Le Pen (con cui già forma nel Parlamento europeo il Gruppo Enf, Europa delle Nazioni e della Libertà). Salvini e la Le Pen hanno in comune l’ostilità ai migranti e l’essere sensibili al fascino autocratico (e fors’anche al sostegno concreto) della Russia di Vladimir Putin.

Proprio quello che, invece, suscita diffidenze, ad esempio, nei polacchi e negli ungheresi, capi-fila del sovranismo dell’Europa orientale, ma timorosi dell’Orso Russo loro vicino e inclini ad affidarsi alla protezione degli Stati Uniti per la loro sicurezza (e ai fondi dell’Unione, che sanno spendere bene, per la loro crescita). Varsavia e Budapest, come pure Praga e Bratislava e i Paesi baltici, vedono una minaccia nella strategia provocatoria e destabilizzante del Cremlino; Salvini e la Le Pen hanno, invece, in Putin un punto di riferimento e un potenziale alleato.

C’è poi la questione dell’autonomismo: gli spagnoli di Vox sono nazionalisti e sono contro la Lega, che, memore delle sue origini, era pro-indipendentismo catalano – ed è autonomista in patria -.  Con la Lega, gli indipendentisti fiamminghi belgi, ma, su questo punto, non certo la Le Pen.

Ma la divisione più profonda è quella sulle regole di bilancio europee: i partiti del Nord Europa, che siano l’AfD, l’Alternativa per la Germania, tedesca, o i Veri finlandesi o i Democratici Svedesi, pensano che esse vadano rispettate, mentre la Lega – e anche il M5S – le vorrebbero cancellare o, almeno, rendere più flessibili . Su questo punto, anche i governi dei Paesi di Visegrad e l’Austria non hanno esitazione: i debiti sono di chi li fa e non vanno assolutamente messi in comune.  Peggio di Macron e della Merkel.

Il Gruppo dell’Enf – se si chiamerà ancora così – sarà quasi certamente il gruppo sovranista più forte, specie se la Lega dovesse fare l’exploit di portare a Strasburgo il drappello di deputati più grosso, facendo meglio di quello che riuscì al Pd nel 2014 e superando l’accoppiata della Merkel Cdu/Csu. Ma non sarà l’unico.

Il destino degli altri due gruppi euro-scettici e/o di estrema destra esistenti è incerto. L’Ecr, Gruppo dei conservatori e riformisti, è il più radicato e il più rispettato: ci sono attualmente gli eurodeputati di Fratelli d’Italia. La sua sopravvivenza è funzione di due incognite: il risultato, che non s’annuncia brillante,  dei conservatori britannici; e la permanenza nell’Ue della Gran Bretagna – oggi la prospettiva è breve: al 31 ottobre -.

Quanto al gruppo ‘tecnico’ messo insieme dai ‘brexiteers’ dello Ukip di Nigel Farage e dal M5S, l’Eldd, l’Europa della libertà e della democrazia diretta, non aveva coesione politica (i suoi membri votavano più spesso divisi che uniti) ed è probabilmente destinato a cambiare pelle. I ‘brexiteers’ si sono a loro volta spaccati e diversificati e non si sa quanto successo elettorale avranno; e il M5S è alla ricerca di nuovi partner, avendo per il momento trovato interlocutori poco significativi e che probabilmente non raccoglieranno seggi in Finlandia e in Grecia o più consistenti ma poco affidabili in Polonia e in Croazia. Il tentativo di aggancio dei ‘Gilets Jaunes’ in Francia, che difficilmente eleggeranno euro-deputati, s’è risolto in un autentico autogol a livello di credibilità e d’immagine.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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