Menato per il naso da Netanyahu a Gaza e da Putin in Ucraina, Trump prova a guadagnarsi il Nobel per la Pace cui tanto tiene minacciando guerra a destra, la Nigeria, e a manca, il Venezuela, dopo avere bombardato Yemen e Iran. Per essere il presidente che non avrebbe impegnato gli Stati Uniti in nuovi conflitti, sta mettendo insieme un bel po’ di contraddizioni, che sono la sua specialità.
La new entry, nella collezione di bersagli di Trump, è la Nigeria L’esercito statunitense potrebbe mandare truppe in Nigeria o effettuare attacchi aerei per fermarvi l’uccisione di cristiani. Rispondendo a una domanda se prevedesse truppe di terra o attacchi aerei in Nigeria, il presidente ha detto: “Potrebbe essere… Stanno uccidendo un numero di cristiani record in Nigeria… Stanno uccidendo i cristiani e li stanno uccidendo in gran numero… Non permetteremo che ciò accada”.
Ma chi deve sentirsi davvero i brividi nella schiena è il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Sempre rispondendo a una domanda, se i giorni di Maduro sono contati, Trump ha risposto: “Direi di sì”, senza però parlare di attacchi al Venezuela, dopo la maxi-concentrazione di uomini e mezzi nei Caraibi. Di conseguenza, Maduro si rivolge per aiuto alla Russia: in una lettera di cui danno notizia media americani ed europei, chiede a Mosca missili, radar e difese anti-aeree.
Tutto ciò all’inizio di una settimana segnata negli Usa dagli appuntamenti elettorali di domani, quando si vota, fra l’altro, per il sindaco di New York e i governatori di New Jersey e Virginia, e dalle udienze della Corte Suprema, che deve pronunciarsi sulla costituzionalità o meno dell’uso dello strumento dei dazi da parte di Trump.
A fare il punto delle tensioni con Nigeria e Venezuela, ci aiuta Claudio Salvalaggio, corrispondente dell’ANSA da Washington.
Nigeria: minacce ‘stile Crociata’, Abuja respinge accuse

Sospinto dal fervore dei Maga a difesa dei cristiani nel mondo, Trump minaccia di aprire un fronte di guerra in Nigeria. L’avviso arriva, come di consueto, via Truth: “Se il governo nigeriano continua a permettere l’uccisione di cristiani, gli Stati Uniti interromperanno immediatamente tutti gli aiuti e l’assistenza alla Nigeria e potrebbero benissimo entrare in quel Paese ormai caduto e screditato, ‘armi in pugno’, per annientare completamente i terroristi islamici che stanno commettendo queste orribili atrocità”. Poi, ecco l’ordine al Dipartimento della Guerra di prepararsi a un’eventuale azione: “Se attaccheremo, sarà rapido, feroce e dolce, proprio come i criminali terroristi attaccano i nostri amati cristiani!”.
Il capo del Pentagono Pete Hegseth, che sul petto ha tatuata la Croce di Gerusalemme, ha obbedito subito: “Signorsì… Il Dipartimento della Guerra si sta preparando all’azione. O il governo nigeriano protegge i cristiani, oppure noi uccideremo i terroristi islamici che stanno commettendo queste atrocità orribili”.
Sabato, Trump aveva detto che il cristianesimo in Nigeria deve affrontare una minaccia esistenziale, attribuendo gli attacchi a “islamisti radicali” e designando lo stato dell’Africa occidentale come “Paese di particolare preoccupazione”: un passo che può precedere l’imposizione di sanzioni contro una nazione specifica.
Il presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu ha respinto le accuse e si é detto pronto ad incontrare Trump. “La caratterizzazione della Nigeria come intollerante dal punto di vista religioso non riflette la nostra realtà nazionale, né tiene conto degli sforzi costanti e sinceri del governo”, ha affermato, assicurando di essere “impegnato a lavorare … per proteggere le comunità di tutte le fedi”.
Da mesi, figure di spicco della coalizione Maga, compreso il senatore Ted Cruz, battono sul tema degli attacchi contro i cristiani da parte degli insorti islamisti, sostenendo che le uccisioni mirate costituiscono un “genocidio”. Massad Boulos, consigliere di Trump per gli affari arabi e africani, ha invece detto ai media nigeriani che “Boko Haram e l’Isis stanno uccidendo più musulmani che cristiani” e che “le persone soffrono, qualunque sia la loro provenienza”.
Venezuela: scene di conflitto nei Caraibi

Prove di sbarco dei marines con esercitazioni a Porto Rico, mentre gli Usa attaccano l’ennesima presunta imbarcazione di narcos nei Caraibi, uccidendo tre persone – sono ormai parecchie decine le vittime di queste illegali azioni -. Sale la tensione tra Washington e Caracas; e Mosca lancia messaggi ambigui, dopo il maggiore dispiegamento navale Usa nella regione dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962: da un lato, c’è la condanna “ferma dell’impiego di forza militare eccessiva nell’ambito di operazioni antidroga” e l’invito ad evitare nuovi conflitti; dall’altro, c’è l’evocazione del possibile invio di missili russi a Caracas e di potenziali “sorprese” per gli Stati Uniti.
A far temere il precipitare della situazione sono le esibizioni muscolari americane, come un video del Southern Command in cui si vede la 22a Unità di Spedizione dei Marines compiere “operazioni di addestramento a Porto Rico”. Il filmato mostra un mezzo anfibio che trasporta truppe, veicoli e attrezzature in una missione supportata da diversi elicotteri: i militari si esercitano negli sbarchi e nelle infiltrazioni. Immagini quasi cinematografiche e di grande impatto mediatico. “Le forze Usa – si legge nel post – sono schierate nei Caraibi a sostegno delle operazioni dirette dal Dipartimento della Guerra e delle priorità del presidente statunitense per contrastare il traffico illecito di droga e proteggere la patria”.
L’obiettivo dichiarato, quindi, resta la lotta ai cartelli, ma la concentrazione di uomini e mezzi fa pensare a ben altro. Un altro segnale allarmante è che le forze armate Usa stanno ammodernando una base nei Caraibi, abbandonata dopo la Guerra Fredda, il che fa ipotizzare l’eventualità d’azioni all’interno del Venezuela.
Le attività di costruzione nella ex base navale Roosevelt Roads a Porto Rico — chiusa dalla Marina oltre vent’anni or sono – sono in corso da metà settembre, secondo foto della Reuters. Fino al ritiro della Marina nel 2004, Roosevelt Roads era una delle più grandi stazioni navali Usa al mondo: occupa una posizione strategica e ha spazi per concentrare equipaggiamenti.
Oltre ai miglioramenti delle capacità di decollo e atterraggio a Roosevelt Roads, Washington sta ampliando le infrastrutture di aeroporti civili a Porto Rico e a Saint Croix, nelle Isole Vergini, territori statunitensi si trovano a circa 800 chilometri dal Venezuela.
“Tutte queste mosse, sono pensate per far tremare il regime di Maduro e i generali che l’appoggiano, nella speranza di creare fratture interne”, ha dichiarato alla Reuters Christopher Hernandez-Roy, senior fellow presso il Center for Strategic and International Studies di Washington. Il piano potrebbe essere costringere Maduro all’esilio o indurre qualcuno dei suoi a tradirlo.
Intanto, il Dipartimento di Giustizia ha comunicato al Congresso che l’Amministrazione Trump può continuare i suoi raid contro i presunti trafficanti di droga in America Latina senza essere vincolata dalla War Powers Resolution del 1973, che richiede l’approvazione parlamentare per proseguire operazioni militari ostili oltre il termine di 60 giorni dall’inizio delle stesse. Il termine scade oggi: infatti, il Pentagono ha condotto dal 4 settembre almeno 15 attacchi contro presunte imbarcazioni di trafficanti uccidendo una settantina di persone – in almeno un caso, ci sarebbero stati superstiti -.
La War Powers Resolution era stata approvata dopo la guerra del Vietnam per evitare un altro conflitto lungo e non dichiarato. Per Elliot Gaiser, capo dell’Ufficio del Consulente Legale del Dipartimento di Giustizia, questi attacchi non rientrano nella definizione di ostilità data dalla legge, anche perché i militari statunitensi non corrono pericoli. Si tratta invece di un “conflitto armato non internazionale” contro i narcos per garantire la sicurezza nazionale.
Ma se l’obiettivo fosse un cambio di regime a Caracas, prospettive e valutazioni sarebbero molto diverse, richiamando l’ottocentesca ‘dottrina Monroe’ che autorizzava gli Stati Uniti a intervenire militarmente nel continente per “mantenere l’ordine” nel “cortile di casa”.














