Mentre si spera che i presidenti Usa Donald Trump e cinese Xi Jinping facciano, domani, la pace dei dazi, che sarà al massimo una tregua, la pace trumpiana in Medio Oriente, che era una tregua fragile e instabile, collassa in modo drammatico: com’era stato previsto, Israele coglie un pretesto per riprendere le operazioni militari nella Striscia di Gaza.
In 24 ore, tra martedì e mercoledì, uccide 91 persone, fra cui 24 bambini, e ne ferisce almeno 200, specie a Gaza City e a Khan Younes: cifre date, questa mattina, da Le Monde e attribuite a fonti sanitarie palestinesi.

Hamas accusa Israele di “una violazione chiara e flagrante” degli accordi per il cessate-il-fuoco. Israele replica che è stata Hamas a non rispettare i patti: ha attaccato le truppe israeliane stazionate dietro la linea gialla che ne delimita la presenza nella Striscia – una vittima – e ha restituito resti d’un ostaggio deceduto, parti del cui corpo erano già state recuperate dai militari israeliani.
Da bordo dell’AirForceOne che lo portava dal Giappone alla Corea del Sud, Trump ‘il pacificatore’ avalla l’ennesimo massacro israeliano: “Hanno il diritto di reagire”. E chi aveva sentenziato che, dopo gli screzi per l’attacco al Qatar del 9 settembre, il premier israeliano Benjamin Netanyahu s’era ormai piegato ai diktat di Trump deve forse rivedere le sue analisi.
Gli aerei israeliani hanno lanciato una serie di attacchi sulla Striscia da nord a sud: Netanyahu aveva esplicitamente ordinato che fossero “potenti”, dopo essersi consultato con la sua maggioranza, dove gli estremisti ultra-religiosi non hanno mai cessato di osteggiare la tregua.
L’ufficio del premier giustifica la ripresa delle ostilità con violazioni delle intese da parte di Hamas: la consegna di resti di Ofir Tzafati, un ostaggio il cui corpo era già stato parzialmente recuperato dall’esercito israeliano nel novembre 2023; e il lancio di un razzo con una granata e degli spari contro militari israeliani. Hamas, a sua volta, accusa Israele di “fabbricare pretesti in vista di nuove mosse aggressive”.
Trump in Asia: in Corea del Sud, Lee e l’Apec prima di Xi
La fine della tregua a Gaza, che potrebbe anche rivelarsi momentanea, fa da contrappunto al viaggio in Asia del magnate presidente, che prosegue in Corea del Sud, con la partecipazione al Vertice dell’Apec e l’incontro con il presidente sud-coreano Lee Jae-myung, insediatosi al potere da meno di cinque mesi. Certo istruito sulle debolezze di Trump, Lee gli dona la copia di una corona d’oro, prima di cominciare a discutere di dazi e di Corea del Nord.
Magari solo per farsi notare, il dittatore nord-coreano Kim Jong-un saluta con un tiro di missili l’arrivo di Trump nella penisola.
L’attenzione è però puntata sull’incontro di domani tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping, che – comunque vada, afferma la Cnn – “sarà una vittoria cinese”, che otterrà il ritiro dei dazi del 100% sul suo export negli Stati Uniti senza nulla concedere, a parte la levata delle contro-misure adottate (freno all’export di terre rare e blocco dell’import di soia dagli Usa). Secondo il New York Times, Xi, nel racconto con Trump, si ispira a Lin Zexu, un eroe popolare cinese della Guerra dell’Oppio nel XIX Secolo. Lin era un funzionario dei Qing che mantenne un atteggiamento di sfida di fronte ai britannici: divenne un eroe, ma fu sconfitto, il che non ne fa, probabilmente, il modello giusto cui ispirarsi per Xi.

Domani, i due presidenti non parleranno solo di dazi, ma anche di Fentanyl, del Pacifico, di Taiwan e dell’invasione dell’Ucraina: Trump spera che Xi induca il presidente russo Vladimir Putin al negoziato. Ma i segnali che vengono da Mosca, dopo che Washington ha adottato nuove sanzioni sull’export energetico russo, sono più aggressivi che concilianti, con l’annuncio di un test riuscito d’un nuovo missile a lunga gittata ed a testata atomica il cui nome evoca miticamente sciagure: procellaria, l’eccello che vola nelle tempeste.
Da notare che ieri, proprio mentre Trump riceveva dalla neo-premier giapponese Sanae Takaichi attestazioni d’alleanza, anche per contenere l’influenza della Cina nel Pacifico, Giappone e Cina esprimevano, in contatti diretti, l’interesse a mantenere “relazioni stabili”.














