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MO: Gaza, Trump vede l’alba di un nuovo giorno, ma restano ostacoli e divisioni

Scritto il 14/10/2025 per The Watcher Post https://www.thewatcherpost.it/news/mo-trump-vede-lalba-di-un-nuovo-giorno-ma-restano-ostacoli-e-divisioni/

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Per Donald Trump, è l’ “alba di un nuovo Medio Oriente”. Il magnate presidente lo dice parlando alla Knesseth nel giorno del ritorno a casa dei 20 ostaggi ancora vivi, detenuti nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023, e della liberazione di oltre 1950 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane. Nell’introdurlo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo aveva esaltato come “il migliore amico che lo Stato d’Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca”. La folla di Piazza degli Ostaggi a Tel Aviv e i deputati della Knesset gli avevano riservato ovazioni da eroe.

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Un momento del discorso alla Knesset del presidente Usa Donald Trump (Fonte: Rsi)

Il discorso di Trump, che, nella sintesi anticipata dalla Casa Bianca, aveva coerenza ed efficacia, diventa, quando il presidente lo pronuncia, un fiume di retorica, imprecisioni, smargiassate. Ne emergono a fatica alcuni messaggi. Uno a Israele, perché colga l’occasione della pace e si renda conto che non può ottenere nulla di più sul campo di battaglia, dopo due anni di guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza e di scaramucce da migliaia di morti con gli hezbollah, gli Huthi e l’Iran – il conflitto dei 12 giorni -. Uno ai Paesi arabi, perché riprendano il percorso degli accordi d’Abramo. E uno all’Iran, perché scelga la via del negoziato e non del confronto.

MO: Gaza, l’iperbole di Trump “tremila anni per arrivare fin qui”

Trump considera l’intesa “la più grande di tutti i tempi mai raggiunta da Israele e Hamas”. Incline come sempre all’iperbole dice: “Ci sono voluti tremila anni per arrivare fin qui”. Ma ora bisogna evitare che la tregua si sgretoli e riuscire a passare dalla tregua alla pace.

I rischi ci sono, i pretesti per riaprire le ostilità sono a portata di mano: nella serata di lunedì 13, ad esempio, Hamas e gli altri gruppi terroristici palestinesi avevano restituito le salme solo di quattro dei 28 ostaggi morti in prigionia: Israele, che restituisce a sua volta i cadaveri di dieci palestinesi uccisi per ogni salma ricevuta, ne aspettava molte di più, pur sapendo che il recupero dei corpi sotto le macerie richiederà tempo e lavoro.

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Figurine degli ostaggi a Gaza distribuite in Israele (Fonte: New York Times)

E poi vi sono gli ostacoli politici: barriere del passato difficili da rimuovere. Trump ne ha già avuto un assaggio, quando, dopo l’accoglienza trionfale ricevuta in Israele, s’è recato a Sharm-el-Sheikh, in Egitto, per firmare l’accordo messo nero su bianco venerdì 10. Oltre che da Trump, i documenti sono stati sottoscritti dai principali mediatori del negoziato Israele /Hamas: il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani; il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

La firma è stata salutata con un lungo applauso dagli oltre venti leader presenti all’International Conference Center, tra cui la premier italiana Giorgia Meloni e i capi degli esecutivi di Francia, Germania, Gran Bretagna, persino Ungheria. C’era il presidente palestinese Abu Mazen, ma non c’era Netanyahu: al-Sisi l’aveva invitato, ma la Turchia ha messo un veto alla sua presenza; e altri leader arabi non avrebbero gradito sedersi accanto al massacratore di Gaza; e non c’era neppure l’Iran, cui pure Trump offre un’opportunità di negoziato.

Nella sua analisi, il Washington Post nota: “Trump vede una pace che tranforma il Medio Oriente, ma gli arabi e Israele restano distanti chilometri”. Il magnate presidente sollecita i leader arabi presenti a Sharm a mettere da parte “vecchi rancori” e ad inaugurare “una nuova era di armonia”, ma incrocia sguardi diffidenti e circospetti, anche se la soddisfazione è generale per la sospensione delle ostilità e perché a Gaza non si muore più né sotto le bombe né di fame. Al Sisi, ultima possibilità di raggiungere la pace

Diversi gli sguardi dei leader europei, almeno di alcuni di essi, invitati a Sharm a fare da comparse: pur relegati in seconda fila, occhieggiano ammirazione e, soprattutto, desiderio di compiacere. Imbarazzante il commento del presidente del Consiglio europeo, il portoghese Antonio Costa: “Giù il cappello di fronte al piano di pace di Trump”.

Di quel piano, i primissimi punti sono stati concordati e attuati: la tregua, lo scambio ostaggi / prigionieri, il ritiro di Israele su posizioni che gli assicurano comunque il controllo di oltre la metà della Striscia e di tutti i confini, la ripresa degli aiuti con il ritorno in campo delle agenzie dell’Onu al posto della contestatissima ong israelo-americana i cui punti di distribuzione erano spesso teatro di stragi.

Tutto il resto resta da concordare: il disarmo di Hamas, su cui Trump è contraddittorio nel suo stesso discorso – dice che avverrà, salvo poi dire che l’organizzazione avrà un ruolo come forza di polizia palestinese per garantire la sicurezza nella Striscia -, il futuro assetto politico-amministrativo a breve, medio e lungo termine. Quando gli si chiede conto della contraddizione, Trump dice: “E’ solo per qualche tempo… Vogliono porre fine ai problemi e abbiamo dato loro l’ok… Penso che andrà tutto bene…”. Erano già emersi contatti diretti tra Usa e Hamas, nei negoziati.

Certo, le contraddizioni sono sono solo di Trump e le reticenze alla pace non sono solo israeliane. Documenti riservati dell’intelligence statunitense, fatti filtrare ai media, indicano che alcuni Paesi del Golfo hanno aumentato la cooperazione militare con Israele durante la guerra a Gaza: i legami sono stati messi in crisi solo dopo l’attacco di Israele sul Qatar a settembre – è ormai chiaro che quello è stato un momento di svolta nella crisi e nell’innescare il processo din pace in atto -, ma potrebbero tornare utili ora che si tratta di monitorare il mantenimento della tregua.

In Israele, Netanyahu assapora un riscatto politico / giudiziario: Trump gli ‘fa da spalla’, chiedendo al presidente Isaac Herzog di graziarlo dalle accuse di corruzione. Ma, sullo sfondo, c’è la mannaia dell’inchiesta sulla mancata prevenzione del 7 ottobre 2023, quando migliaia di terroristi entrarono in territorio israeliano, uccisero 1200 persone e presero 250 ostaggi.

Com’è spesso accaduto in passato nell’alternanza ‘guerra / diplomazia’ tra Ucraina e Medio Oriente, il calare del sipario – per temporaneo che sia – sul conflitto a Gaza fa levare quello sull’invasione dell’Ucraina. Trump attende a Washington il presidente ucraino Volodymyr Zelensky venerdì 17, per parlare di missili a lunga gittata Tomahawk. Darli a Kiev segnerebbe un’escalation nel conflitto e darebbe il segno dell’irritazione di Trump col presidente russo Vladimir Putin, riluttante alla pace.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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