Tre o quattro giorni, di qui alla fine della settimana: è il tempo che il presidente Usa Donald Trump dà ad Hamas per dire sì al piano di pace per Gaza definito lunedì col premier israeliano Benjamin Netanyahu. I terroristi responsabili del massacro del 7 ottobre 2023 – 1200 le vittime, 250 gli ostaggi catturati – paiono di fronte a un’alternativa: o proseguire il conflitto con l’esercito israeliano ormai dentro Gaza City; o accettare il ‘piano Trump’ in 20 punti – li vedremo in dettaglio più avanti -. Se Hamas dirà di no, Israele avrà “il pieno sostegno” degli Stati Uniti per “concludere il lavoro” nella Striscia di Gaza e annientare l’organizzazione terroristica.
L’annuncio del piano di pace ha avuto echi positivi un po’ ovunque, anche nel Mondo arabo, dove c’è chi lavora per la fine del conflitto. Martedì sera, Papa Leone XIV ha espresso la speranza che “Hamas lo accetti nel tempo stabilito”, trovando che il piano contiene “elementi molto interessanti”. Invece, il Papa ha espresso la sua preoccupazione per il cambio di nome del Ministero della Difesa Usa in Ministero della Guerra: commentando la maxi-adunata di generali e ammiragli ‘a stelle e strisce’ convocata dal Pentagono, Leone XIV ha detto: “E’ uno stile di governo con cui vogliono mostrare la forza per impressionare. Speriamo che non ci sia la guerra… Bisogna sempre lavorare per la pace”.
E, come spesso accade, se la pace pare più vicina su un fronte di guerra, il conflitto s’inasprisce, o almeno si complica, sull’altro. La Russia prosegue raid con droni e missili sulle città ucraine e moltiplica le provocazioni nei cieli dei Paesi della Nato, i Baltici, la Polonia, la Danimarca. Trump, parlando a un’adunata silente di generali e ammiragli, rinnova l’impegno a “mettere insieme” – ma quando?, e come? – il presidenti russo Vladimir Putin e ucraino Volodymyr Zelensky. Mosca e Kiev s’accusano a vicenda di nefandezze sui civili.

Lato europeo, i leader dei 27 s’incontrano a Copenaghen, forti del viatico del voto della Moldavia, dove le forze europeiste della presidente Maia Sandu sbaragliano quelle filo-russe e conquistano la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, dopo una campagna segnata dalle interferenze russe. Sul tavolo del vertice informale, c’è un progetto per aggira il veto dell’Ungheria all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue e all’invio a Kiev di aiuti per 130 miliardi di euro ricavati dagli assets russi congelati.
Il fenomeno dei sorvoli di droni e degli sconfinamenti di aerei non è nuovo, ma non è mai stato così intenso. Ci si interroga sulle motivazioni del Cremlino: solo provocazioni?, o test delle capacità e della prontezza delle difese alleate?
… di qui in avanti riprende https://giampierogramaglia.eu/2025/09/30/mo-trump-netanyahu-piano-pace/ …
MO: Gaza, reazioni, evidenziati gli aspetti positivi, con sottolineature diverse
Le reazioni all’intesa tra Trump e Netanyahu, europee e dal Mondo arabo, ne evidenziano gli aspetti positivi e incoraggianti, come l’impegno dichiarato dei due leader per la pace, ma sottolineano pure quel che va ancora definito, come la mancanza di scadenze e di garanzie. Sembra che tutti i leader abbiano ormai adottato lo stesso scherma, nel rapporto con Trump: riempirlo di elogi e, poi, tirare dritto ciascuno per la propria strada.
Così, l’Autorità nazionale palestinese, l’Anp, che sarebbe esclusa dalla governance della Striscia, accoglie con favore “gli sforzi sinceri e determinati” del presidente Trump “per fare finire la guerra a Gaza” e afferma “la propria fiducia nella sua capacità di trovare una via verso la pace”. E Paesi arabi e islamici, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto, Giordania, Indonesia, Pakistan, Turchia, rilasciano una dichiarazione congiunta in cui accolgono con favore gli sforzi di Trump “per porre fine alla guerra a Gaza”, dicendosi pronti a “cooperare positivamente” per finalizzare l’accordo e garantirne l’attuazione. I ministri degli Esteri dei diversi Paesi sottolineano alcuni punti: la ricostruzione di Gaza e i no allo sfollamento dei palestinesi e all’annessione della Cisgiordania.
L’Ue accoglie il piano come “un’occasione storica” e chiede ad Hamas di “accettarlo subito”. Parigi è pronta “a lavorare all’attuazione del piano” e vede “un orizzonte di pace e sicurezza collettiva”. Analoghe dichiarazioni vengono da altre capitali. Nesi suoi Appunti, Stefano Feltri constata come “il piano Trump sia preso sul serio”: segno che la diplomazia statunitense conserva una sua vitalità.
Le critiche e le riserve, oltre che da Hamas, arrivano da dentro Israele, dove gli ultrà religiosi parlano di “un miscuglio indigesto”. Netenyahu prova a rassicurarli: l’esercito israeliano rimarrà “nella maggior parte della Striscia di Gaza”, anche se il piano prevede “una forza di stabilizzazione internazionale”, e lui non ha mai parlato di uno Stato palestinese, né si è mai scusato con il premier del Qatar. Ha sì chiamato, per compiacere Trump, il premier Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, ma solo per esprimergli “rammarico” per le vittime qatarine dei raid a Doha contro esponenti di Hamas dell’aviazione israeliana.
Negative, invece, come prevedibile, ma ancora interlocutorie, le reazioni di Hamas – “un piano che pende dalla parte d’Israele” – e della Jihad palestinese – “il piano è una ricetta per l’aggressione”. Hamas giudica “inaccettabile” il ventilato coinvolgimento in un ipotetico Board of Peace dell’ex premier britannico Blair: “Abbiamo accettato la formazione di un comitato che non rappresenti alcuna fazione palestinese per gestire gli affari di Gaza dopo la guerra, ma non accetteremo l’imposizione di una tutela straniera sul nostro popolo”.
E rivendica il diritto allo Stato palestinese: “La resistenza armata è un diritto del popolo palestinese finché esiste l’occupazione. Se il popolo palestinese sarà liberato e verrà creato uno Stato palestinese, allora non ci sarà più bisogno né di resistenza né di armi”.
MO: Gaza, il piano in dettaglio
Una Striscia di Gaza “riqualificata” che, senza Hamas, “non sia più una minaccia” per Israele. E’ questo il punto 1 del piano stilato dall’Amministrazione Trump per porre fine alla guerra. Se entrambe le parti accetteranno la proposta “la guerra cesserà immediatamente”, assicura il punto 3. “Le forze israeliane si ritireranno sulla linea concordata per preparare il rilascio degli ostaggi”, vivi e morti, che dovrà avvenire – recita il punto 4 – “entro 72 ore”. In cambio (punto 5) Israele rilascerà 250 palestinesi che scontano l’ergastolo e 1.700 abitanti di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre. Inoltre, per ogni ostaggio israeliano morto restituito, Israele consegnerà i resti di 15 cittadini di Gaza deceduti.
Il punto 6 prevede che Hamas deponga le armi. Ai miliziani “che si impegnano a una coesistenza pacifica verrà concessa l’amnistia”; a chi sceglierà l’esilio, “sarà garantito un passaggio sicuro”.
Sul piano umanitario (punti 7-8), “tutti gli aiuti saranno immediatamente inviati nella Striscia. Come minimo, le quantità saranno coerenti con quanto previsto dall’accordo del 19 gennaio 2025”, rimasto in vigore fino alla fine di marzo, quando le ostilità ripresero. L’ingresso e la distribuzione “avverranno senza interferenze delle due parti attraverso l’Onu e sue agenzie, la Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali” non associate né a Israele né a Hamas. Riaprirà il valico di Rafah.
Al punto 9 viene descritto il nuovo organismo di transizione, composto da “un comitato palestinese tecnocratico e apolitico” per la gestione quotidiana dei servizi alla popolazione, “con la supervisione e il controllo di un nuovo organismo transitorio internazionale, il ‘Board of Peace'”, presieduto e guidato da Trump e da Blair.
I punti 10 e 11 parlano di “un piano di sviluppo economico di Trump per ricostruire e rivitalizzare Gaza”, elaborato con “un gruppo di esperti che hanno contribuito alla nascita di alcune delle fiorenti città moderne del Medio Oriente”. Si citano “molte proposte di investimento” e “idee di sviluppo entusiasmanti” che “saranno prese in considerazione”. Sarà inoltre “istituita una zona economica speciale con tariffe di accesso preferenziali da negoziare con i Paesi partecipanti”.
“Nessuno sarà costretto a lasciare Gaza, e coloro che desiderano andarsene saranno liberi di farlo e liberi di tornare – si legge nel punto 12 -. Incoraggeremo le persone a rimanere e offriremo loro l’opportunità di costruire una Gaza migliore”. I paragrafi 13 e 14 ribadiscono che Hamas “non avrà alcun ruolo, né direttamente né indirettamente”, Gaza sarà “smilitarizzata” e “i partner regionali forniranno la garanzia” per assicurare che la “Nuova Gaza” non rappresenti più “una minaccia”.
Il punto 15 prevede che “gli Stati Uniti collaboreranno con i partner arabi e internazionali per creare una Forza di Stabilizzazione Internazionale (Isf) temporanea da dispiegare immediatamente”, che addestrerà le future forze di polizia palestinesi.
Al punto 16 Israele si impegna a “non occupare né annettere Gaza”. Ma non si fa menzione del veto degli Usa all’annessione della Cisgiordania, che lo stesso Trump aveva garantito ai leader arabi.
Al punto 18, il piano parla di “dialogo interreligioso” e di “tolleranza e coesistenza pacifica” valori che possono “cambiare la mentalità e le narrazioni di palestinesi e israeliani”.
Negli ultimi due paragrafi si prevede infine, con molti condizionali, “un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la sovranità” di uno Stato palestinese, ma dopo che “la riqualificazione di Gaza sarà stata portata avanti e il programma di riforma dell’Anp sarà stato implementato”.














