Economia – Una quota non insignificante del suo successo alle presidenziali del 2024, Donald Trump la deve alla fiducia che gran parte degli elettori americani riponevano nelle sue capacità di rendere di nuovo prospera l’America. Poco contava che le cifre dell’Amministrazione Biden fossero buone, persino eccellenti: una crescita robusta, con tassi annui superiori al 3%; livelli di disoccupazione bassi, anzi bassissimi; un’inflazione ridiscesa su livelli vicini agli ottimali, poco sopra il 2%, dopo l’impennata, dovuta soprattutto ai costi dell’energia, conseguente allo scoppio della guerra in Ucraina.
All’elettore di Trump, i dati macro-economici ‘gli fanno un baffo’: lui si guarda in tasca e vedeva che, nei quattro anni dell’Amministrazione Biden, il suo potere d’acquisto era diminuito; e lui si sentiva, e in fondo era, più povero, anche se il suo salario era aumentato e se l’Unione andava bene.
Economia: Usa, le meraviglie promesse da Trump non ci sono state

Trump, ovviamente, prometteva meraviglie. Che non ci sono state. Anzi, il primo trimestre 2025 è stato un vero e proprio flop, con un Pil in calo dello 0,5%, il dato peggiore dal 2021 della pandemia, quando le oscillazioni furono pazzesche, giù d’un terzo in un trimestre, su d’un terzo nel successivo. Il secondo trimestre, invece, è andato bene, + 3,3%, in linea con i grafici di Biden.
E se le meraviglie promesse in campagna elettorale non si sono concretizzate, il magnate presidente, che non si assume mai la responsabilità d’un insuccesso, sa bene su chi scaricare la responsabilità: il capro espiatorio è il presidente della Federal Reserve, la Fed, la Banca centrale degli Stati Uniti, Jerome Powell, che ha fin qui mantenuto inalterato il costo del denaro e, quindi, i tassi dei mutui, nonostante l’inflazione sia rimasta sostanzialmente costante.
Economia: Usa, neppure i disastri annunciati dagli esperti ci sono stati
Del resto, non si sono neppure verificati i disastri che gli economisti, calati nel ruolo loro consono di cassandre, avevano pronosticato, causa dazi: l’imposizione di tariffe molto elevate sull’import avrebbe dovuto fare lievitare i prezzi dei prodotti finiti importati, ma anche dei prodotti manufatti nell’Unione con materie prime importate; e rallentare l’export, con effetti negativi sull’inflazione e sulla produzione e, di conseguenza, sull’occupazione.
Finora, non è andata così: l’inflazione è rimasta al di sopra del 2%, ma al di sotto del 3%, in parte perché – come scrive il Wall Street Journal – “l’economia mostra di sapersi adattare” e in parte perché l’effetto dei dazi non s’era pienamente avvertito fino ad agosto, perché annunci funambolici sono stati seguiti da moratorie e negoziati, creando un effetto incertezza che ha indotto imprenditori e consumatori a muoversi con estrema prudenza.
Economia: Usa, indicatori deludenti?, basta licenziare gli statistici

D’ora in poi, bisognerà, inoltre, ‘prendere con le molle’ i dati che saranno pubblicati. Licenziando con un post su Truth la responsabile delle statistiche sull’occupazione, perché aveva osato rivedere al ribasso i risultati provvisori, Trump ha mandato un messaggio raggelante a quanti maneggiano informazioni economiche rilevanti negli Stati Uniti: se i loro numeri non corrispondono alle attese del presidente, il problema non sono le politiche inadeguate, ma i loro calcoli. Sarebbe come sperare di aggiustare in Italia una crescita asfittica e una produzione industriale in costante declino licenziando gli statistici e non intervenendo sulle cause dei problemi.
I sondaggi dicono che la fiducia degli americani nelle capacità economico-taumaturgiche di Trump s’è un po’ affievolita. Ma il magnate presidente ostenta fiducia: la Fed sotto assedio a settembre probabilmente abbasserà il costo del denaro, dando slancio a mutui e investimenti. Ma di qui a fine anno, il magnate presidente dovrà disinnescare una bomba il cui detonatore già ticchetta: la legge “grande e bella” da lui voluta e approvata dal Congresso taglia tanto le tasse ai ricchi e taglia un po’ le spese per la povera gente e, così, aumenta il debito, che, senza provvedimenti legislativi, sfonderà il tetto e provocherà uno ‘shutdown’, cioè una parziale serrata dei servizi federali.
La stessa legge potrebbe costare, l’anno prossimo, la maggioranza alla Camera ai repubblicani, perché gli elettori potrebbero rimproverare ai loro deputati i tagli ad assistenza sanitaria e programmi sociali. Ma questa è una storia che andrà scritta nei prossimi mesi.