Sarà pure stato “costruttivo” e “produttivo”, come alla fine dicono e ripetono loro, ma il vertice, ieri, in Alaska, tra i presidenti Usa Donald Trump e russo Vladimir Putin non ha prodotto la pace e neppure una tregua dei combattimenti e dei bombardamenti in Ucraina. Se qualche intesa c’è stata, resta, per ora, segreta: i due leader se la sono tenuta in serbo.
Trump deve ora informare dei risultati dell’incontro il presidente ucraino Volodymyr Zekensky e gli alleati europei degli Stati Uniti, che – dice – “dovranno accettare” le indicazioni che saranno loro fornite; e Putin invita gli europei “a non mettersi in mezzo” e a non “sabotare” i progressi fatti verso un assetto di sicurezza europeo valido “per la prossima generazione”, quel che la Russia ha sempre detto di volere, fin da prima dell’invasione dell’Ucraina.

Fatte le loro dichiarazioni alla stampa, i due leader non accettano domande: entrambi prospettano un nuovo prossimo incontro, “a Mosca”, dice Putin”, “E’ una proposta interessante: vedremo”, risponde Trump; e se ne vanno dopo essersi scambiati stratte di mano e reciproci complimenti, chiamandosi per nome “Vladi” e “Donald”, “con una stretta di mano, da buoni amici sinceri”, avrebbe cantato Umberto Bindi.
Putin sembra avere mutuato dagli europei l’arte della lusinga nei confronti di Trump: lo blandisce; gli dice quel che lui vuole sentirsi dire; conferma che, con lui presidente, la guerra non ci sarebbe mai stata. Ma, diversamente dagli europei sulle spese per la difesa o i dazi, Putin usa l’adulazione per evitare di fare quel che Trump chiede; e la tattica, fin qui, gli riesce. Politico.com parla, senza mezzi termini, del “trionfo di Putin in Alaska”.
Ucraina: vertice Trump – Putin, che cosa accade ora

A Bruxelles, i rappresentanti dei 27 presso l’Ue valutano, questa mattina, i risultati del vertice, ammesso che sappiano qualcosa di più del nulla venuto fuori dalle dichiarazioni finali. I 27 devono pure pronunciarsi sul testo dell’accordo sui dazi Usa – Ue, che, deciso a grandi linee il 28 luglio, è stato solo ora messo nero su bianco.
Lunedì, il presidente ucraino Volodymyr Zelenski sarà alla Casa Bianca: forse, allora lui saprà, e noi sapremo, che cosa Trump e Putin si sono veramente detti.
Arrivando ad Anchorage, Trump aveva indicato che l’obiettivo era un cessate-il-fuoco in Ucraina: “Non sarò contento se non sarà oggi”, aveva affermato.
Venendone via, il magnate presidente non ha pronunciato le parole “tregua” e tanto meno “pace”: “E’ evidente – scrive il New York Times – che ha fallito e questo allontana la sua speranza d’ottenere il Nobel per la Pace”, ormai quasi un’ossessione. Stefano Feltri sui suoi Appunti scrive che “il vertice è diventato uno spot di propaganda per Putin e per la Russia come grande potenzxa”, mentre “l’Europa è sempre più sola”.
La riunione tra Trump e Putin, che non è stata un ‘tete-à-tete’, ma è stata subito allargata ai ministri degli Esteri e ai consiglieri speciali – Marco Rubio e Steve Witkoff per gli Usa; Serguiei Lavrov e Juri Ushakov per la Russia -, è durata quasi tre ore. Trump e Putin sono stati da soli insieme solo durante il breve tragitto dalla pista dell’aeroporto della base aerea Elmendorf – Richardson alla sede dell’incontro: fuori programma, Trump ha invitato Putin sulla sua limousine blindata ‘The Beast’, mentre era pronta lì accanto la vettura russa.
Il summit ha apparentemente rinsaldato il rapporto tra i due leader. Trump ha avuto per Putin gesti d’onore e da amico, ben diversi da quelli toccati il 28 febbraio a Zelesnky nello Studio Ovale: l’ha atteso sul tappeto rosso, lo ha applaudito, gli ha stretto la mano in modo marcato. L’accoglienza dello ‘zar’ sul suolo statunitense e l’incontro ne segnano, a detta di molti analisti, la riabilitazione sul palcoscenico internazionale, da paria colpito da un mandato di cattura per crimini contro l’umanità a interlocutore riconosciuto.
Le dichiarazioni finali – entrambe brevi: Putin ha parlato otto minuti, Trump meno di cinque – non fanno riferimenti, se non generici, alle relazioni economiche e commerciali fra Usa e Russia e neppure alle questioni nucleari (gli accordi in atto scadono a febbraio del 2026). Delle sanzioni, neppure l’ombra: Trump minaccia da settimane di impone di nuove; Lavrov, al contrario, s’attendeva che alcune di quelle in vigore venissero tolte.