Quali sono le principali caratteristiche che dovrebbe avere il leader politico ideale per gli italiani?
Pochi giorni fa nella periodica sintetica rassegna di alcune dominanti demoscopiche del periodo, frutto di spontanea analisi che l’Istituto SWG manda in rete a operatori di molti ambiti (io la ricevo, per esempio, come professore universitario), c’era una tabella che mi ero ripromesso di commentare. […]
Il tema è davvero curioso. In un certo senso anche urgente, perché è uno dei terreni paludosi che comincia a costare reputazione ma anche perplessità al governo in carica.
Parlo del tema che Lilli Gruber riassume così in uno dei tanti talk-show dedicati in questi giorni al caso Sangiuliano:
“una cosa è sicura, la gente vuole che i politici siano competenti”.
Come per dire: e quando poi scopre che non sono per nulla competenti, la gente chiede esemplari misure.
Ebbene da quella tabella […] risulta chiara e sicura un’altra cosa. Anzi l’esatto contrario.
Titolo della tabella: quali sono le principali caratteristiche che dovrebbe avere il suo leader politico o la sua leader politica ideale?
I risultati del sondaggio effettuato dall’istituto SWG
Date di esecuzione 28 – 30 agosto 2024. Metodo di rilevazione: sondaggio CAWI su un campione rappresentativo nazionale di 800 soggetti maggiorenni.
Ecco le prime cinque scelte degli italiani (quattro risposte ammesse):
- ESSERE VICINO/A ALLA GENTE 71 per cento
- ESSERE UNA FIGURA FORTE 55 per cento
- ESSERE SINCERO/A 44 per cento
- ESSERE CAPACE DI RASSICURARE 43 per cento
- ESSERE SIMPATICO/A 42 per cento
Vi è sembrato che abbiano detto che deve essere bravo, serio, competente, studioso, reputato, apprezzato nel mondo, sperimentato, con il curriculum giusto per confrontarsi con la complessità dei problemi? Neanche per idea.
Deve essere una sorta di vicepadre, un parroco di campagna, un tipo (o una tipa) tuttavia con una certa energia. L’importante è che appaia (al maschile o al femminile) sincero, rassicurante e simpatico.
Fa impressione quanto le crisi sanitarie, di reddito, di occupazione abbiano inciso sulla fragilizzazione dei sentimenti civili degli italiani. Non voglio forzare l’impressione basandomi solo su questo dato, ma il segnale a me pare evidente.
Poi con un certo stacco appare la dicitura:
- ESSERE COMPETENTE 38 per cento
che fa di una richiesta cruciale un fattore di minoranza. Forte minoranza, ma minoranza.
In fondo alla classifica delle cose più citate gli italiani mettono due voci a guardar bene ambigue:
- NON STRAPARLARE 17 per cento
- AVERE BUON SENSO 16 per cento
Anche se queste voci profilano “secondariamente” alcune condivisioni, è chiaro che sul punto cruciale c’è un problema. Il leader ideale non deve essere come un ubriacone che arringa ai passanti ma un tipo presentabile come un padre di famiglia.
Non pare che gli italiani mettano l’asticella molto in alto!
Anche in questo caso le categorie sono quelle del pacioso vicino di casa, che dà il posto in tram alle signore e agli anziani.
Che nell’interesse generale e quindi di ciascuno di noi quel leader debba invece avere le caratteristiche di elevate qualità e moderne preparazioni da questa tabella non si evince, se non per la cifra minoritaria citata.
Salvo creare – questo dato è un po’ allucinante – una certa contraddizione con il dato della tabella precedente, secondo cui di fonte al tema che il leader deve essere migliore di noi, il 26 per cento dice che già è così, mentre il 74 per cento dice che non è così e dovrebbe invece esserlo.
Questo dato sommato all’altro vuol dire che l’aggettivo “migliore” non si riferisce nella testa della maggioranza degli italiani alle caratteristiche culturali, scientifiche, tecniche e di comprovata leadership, no, si riferisce ad un essere migliore moralmente, nel carattere, nella buona creanza, nei sentimenti relazionali.
E poi ci meravigliamo che gli scandali non spostino quasi mai, neanche di un millimetro a volte, i sondaggi sulle intenzioni di voto!
Politica, società, deterioramento dell’offerta ma soprattutto della domanda politica
La verità che appare è che la preoccupazione sulle qualità di competenza di chi ci governa è sempre più un sentimento minoritario.
Perché realmente maggioritario è invece il sentimento di irritazione per i preparati, gli acculturati, gli informati: irritazione che – dall’America all’Italia profonda – costituisce il nuovo avvolgente stordimento civico che parte dalla crisi del ceto medio e si diffonde sopra e sotto, togliendo di mezzo la forza di un tempo che era divisa tra la classe operaia e la borghesia progressista. Ora due marginalità sociali.
A fronte di questo oceano qualunquista, populista che – stando a dati come questi – raccontano che non è che sia la politica ad essere scappata di mano, ma la società.
Io non la voglio fare lunga, cesellando ulteriormente ciò che in questo caso non è più che una tabella demoscopica. Mi sembrava giusto lanciare un segnale che riguarda anche il modo con cui viene rappresentata la crisi occidentale e nel nostro caso dell’Italia vedendo sempre il problema nell’offerta deteriorata e raramente nella domanda deteriorata.
Poi magari ricerche più affinate ci potrebbero dare risultati diversi e più complessi. Me lo auguro. Ma le tendenze che rendono ormai trasformata geneticamente la natura della nostra democrazia, mi sembrano tracciate e ripetute in questi ultimi tempi.
Così che il compito di chi fa informazione con spirito civico e responsabilizzante è caso mai quello di fare emergere un po’ di stupore e obbligare ad una riflessione riferita ai contesti in cui viviamo.
L’incattivimento, il crescente rancore, le paure insorgenti – tanti fenomeni che la ricerca sociale ha messo in rilievo crescente in questi anni – sono il tessuto che va spostando sulla società una parte rilevante dei guasti della democrazia.
L’astensionismo al 50 per cento toglie dalla “domanda politica” una parte sostanziale della critica e della riformulazione del bisogno. L’altra metà – che contiene anche il voto militante che mantiene in vita il sistema a guardar bene – contiene anche solitudini e ansie non compensate adeguatamente dalla generosità e dall’attenzione di chi può capire, spiegare, accompagnare.
Nel 1974 Pier Paolo Pasolini replicava a Italo Calvino che aveva detto
“I giovani fascisti di oggi non li conosco e spero di non avere occasione di conoscerli”
in questo modo:
“augurarsi di non incontrare mai dei giovani fascisti è una bestemmia, perché, al contrario, noi dovremmo far di tutto per incontrarli. Essi non sono i fatali predestinati rappresentanti del Male: non sono nati per essere fascisti […] è solo una atroce forma di disperazione e nevrosi che spinge un giovane a una simile scelta; e forse sarebbe bastata una sola piccola diversa esperienza nella sua vita, un solo semplice incontro, perché il suo destino fosse diverso»[1]
Roma, 15 settembre 2024
[1] Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura. Nuova ediz. Bollati Boringhieri, 2022