Non sono un giornalista sportivo e quindi, per parlare dell’impresa di Yannik Sinner, credo di non aggiungere nemmeno un filo di notizie o di interpretazioni in più di quello che il picco d’ascolto televisivo per la sua memorabile rimonta nell’Australian Open ha fatto condividere a un pubblico eterogeneo, multigenerazionale e internazionale.
Australiani compresi che hanno fatto un tifo dichiarato per il nostro lungo, segaligno, forte e mobilissimo altoatesino.
Le imprese sportive impossibili
Alcuni scambi spiazzanti sono stati il simbolo sportivo delle imprese impossibili.
Come la famosa rimonta di Pietro Mennea, 43 anni fa alle Olimpiadi di Mosca, maglia azzurra numero 438, campione olimpico dei 200 in 20″19, due centesimi meglio di Wells.
Gli eroi della rimonta hanno pari valore di trascinamento emotivo degli eroi della potenza infallibile, come lo fu “Rombo di Tuono” l’indimenticabile Gigi Riva, scomparso nei giorni scorsi. Scomparso con un commovente congedo da parte dei sardi che gli sono stati grati per tutta la vita per avere rinunciato al triplo stipendio offerto dalla Juve per restare fedele alla maglia del Cagliari, dopo averlo trascinato alla vittoria dello scudetto.
Persino Gianni Brera – autore di quel nome da capo indiano, Rombo di Tuono, che però avrebbe voluto giocatori del calcio etnici, cioè fedeli alla loro terra e che forse si lagnò per la partenza di Riva dalla Lombardia per andare in un’isola fuori dal suo magico triangolo Milano-Pavia-Varese – alla fine fu convinto della lealtà del suo eroe. E del congedo fatto nei giorni scorsi a Cagliari forse avrebbe scritto con le lacrime.
Già perché gli “eroi della rimonta” lavorano per la riscossa dei più deboli, dei meno titolati, dei più sfortunati. Insomma, sono tutti fratelli a Maradona, a Abebe Bikila, a Pietro Mennea appunto, eccetera.
È il caso di Yannik Sinner?
Sì’ e no. Gli italiani nello sport non sono gli etiopi della maratona. Sono uno squadrone con trofei in molti campi. E gli altoatesini in certi sport (a cominciare da quelli invernali) sono blasonatissimi.
E tuttavia c’è da qualche tempo un po’ di appannamento nello sport italiano. L’esclusione agli ultimi mondiali ha pesato. Il calcio globalizzato non ci restituisce le stesse emozioni di un tempo. L’ibridazione capitalistica della finanza mondiale ci toglie qualche orgoglio. Il vecchio ciclismo popolare e mitologico ci fa un po’ orfani di altri tempi. E anche nel tennis le vere glorie sono piuttosto quelle del passato.
Ecco che la riscossa prende corpo e non pare una parola abusata per accompagnare l’impennata – che in realtà comincia qualche anno fa – che, con metodo e programmazione, ha portato ad un ultimo anno uscito dalla vista dei soli addetti ai lavori e arrivato nelle case di tutti noi.
Onore delle armi a Djokovic per quel che è stato e ancora per certi versi è (restando ancora il primo al mondo). Onore delle armi a Medvedev che era e resta ancora il numero 3 al mondo. Ma oggi su quelle cime c’è anche un ragazzo altoatesino che di cime se ne intende.
Ha dimostrato che la dedizione, il metodo, la cultura di base, l’educazione, il senso di responsabilità insieme al talento (non dimentichiamolo mai questo aspetto) costruiscono un progetto vincente.
Come ho detto, questa nostra rubrica di podcast non è specificatamente sullo sport, ma è sul tema della “rappresentazione”. E in questo caso la notizia del giorno, diciamo della settimana, la tratto proprio per come questo giovane campione si è “rappresentato” in un sistema di altre – confinanti, convergenti, confliggenti – rappresentazioni.
Come Yannik si è “rappresentato”.
Queste le mie cinque annotazioni.
La prima rappresentazione che prenderei in considerazione è quella del capovolgimento che Sinner fa di uno sport tendenzialmente singolare, cioè, legato alla competitività di un singolo atleta (anche quando ogni tanto gioca in doppio), che, quando parla, quando commenta, quando risponde, si concepisce sempre come squadra. Prima parla degli avversari, poi del pubblico, poi dei suoi colleghi. E alla fine dice che sta migliorando, che sta apprendendo di più e che ha ancora molto da imparare.
È in forza di questo profilo – che non smentisce quasi mai – che ha declinato l’invito di fare la star a Sanremo. Ha le sue priorità messe in fila con metodo. Ha da fare altro. Non la star. Non il divo. Amadeus gli ha scritto una lettera abile e misurata. Ma il suo declino non è disprezzo. È parte di quel profilo. E si differenzia da altre storie del passato che il primo che prende notorietà finisce a Sanremo per definizione, perché questo è lo star-system. No, lui segue un’altra “rappresentazione”.
La terza riflessione riguarda la sua identità, vorrei dire la sua appartenenza, all’Alto Adige. Lo dicono il suo cognome, la sua leggera pronuncia che racconta la Val Pusteria, la sua carnagione non propriamente mediterranea, il quadro del suo contesto che prende vigore insieme alle sue specifiche notizie sportive. Stando a Yannik e alle sue narrative non c’è mai una rivendicazione della radice territoriale che non si inquadri nella consapevolezza di rappresentare i colori e gli interessi morali dello sport italiano. E questo argomento – se mi è permesso ricordarlo – è di rilievo politico nel rapporto tra un certo Alto Adige e una certa Italia.
La quarta riflessione è la porta aperta del Capo dello Stato che lo ha aspettato dopo questa impresa e ha ringraziato lui e vistosamente anche la squadra a nome dell’unità d’Italia che costituzionalmente rappresenta. Ineccepibile Sergio Mattarella. Ineccepibile il nuovo numero 4 al mondo che sta scalando la sua vetta a cui tutti dicono che sia predestinato. Per il ricordo che ho di un cerimoniale magari non scritto ma “usual”, il Capo dello Stato rappresenta in questi casi di riconoscenza tutta la filiera istituzionale. Il ministro dello sport lo affiancava, nel caso, per evidente competenza.
Avrebbe potuto esserci – nella stessa cerimonia – anche il Capo del Governo. Che invece la premier e poi a scendere il ministro della Cultura o la ministra del Turismo abbiano voluto scegliere diverse specifiche location per foto-opportunity con Jannik e persino con la coppa lo considero una sgrammaticatura, una forzatura. Ma non voglio ricamarci più di tanto, lasciando a tutti una libera riflessione al riguardo. Non sto neanche a dire se il giovane atleta fosse lieto o imbarazzato al riguardo. Dico solo che è una persona formata ed educata.
Ultimo spunto. Il momento della rappresentazione degli attori sociali in rapporto al bisogno di futuro che ha l’Italia e che ha l’Europa. Yannik ha ventidue anni. Lavora da almeno dieci anni a questi risultati. Rappresenta una generazione un po’ misteriosa che in questa occasione mette in campo il suo centravanti. Considero questo aspetto importantissimo per la dinamica sociale e intergenerazionale rispetto a come oggi è descritta anche dai recenti rapporti di studi (gli italiani sonnambuli e non reattivi del Rapporto Censis 2023). Non solo per quel che Yannik ha fatto ma anche per quel che ha detto a conclusione dell’Australian Open:
“Auguro a tutti i bambini di poter scegliere il loro futuro”.
Apriamolo bene questo dibattito. Anche nei luoghi di scuola e formazione. Ci sarà prezioso in questo crucialissimo 2024.
4 febbraio 2024