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Il Settimanale 2020 1 – La Fase 2, Alessandro Cinque “l’arte non va in quarantena”

Scritto per Il Settimanale 2020 1 - La Fase 2 dello 02/05/2020

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In un tempo in cui l’emergenza coronavirus scandisce la nostra quotidianità, non poche sono le testimonianze di vite cambiate. Ma le passioni, come quella per la fotografia, non possono di certo essere messe in quarantena. Ce lo racconta Alessandro Cinque, foto-giornalista internazionale originario di Orvieto, che seguendo le orme del padre – fotografo di matrimoni – ha tracciato il suo personale itinerario tra Firenze, New York e Lima.

Dopo una prima esperienza nello studio fiorentino, Cinque decide infatti di dedicarsi al reportage, la sua vera vocazione, collaborando con diverse Ong. Poi la svolta: la specializzazione all’ Icp di New York e l’inizio del suo long term project in Sud America, che gli vale la vittoria del premio Picture of the Year e un contratto con Reuters.

Alessandro, ora ti occupi di reportage in ambito umanitario. Che cosa ci racconti del tuo long term project in Perù?
Dal 2017 ho iniziato un progetto a lungo termine che parla delle conseguenze dell’estrazione mineraria in Perù e, quindi, delle nuove forme di neocolonialismo e neoliberismo dovute alla globalizzazione. Per questo motivo mi sono trasferito a Lima, per raccontare lo sfruttamento delle comunità campesine da parte delle multinazionali. Chiaramente ci sono anche delle ripercussioni sui diritti umani: quello che voglio fare è analizzare gli effetti sociali e ambientali dell’estrattivismo.

Uno degli scatti delle miniere in Perù

Lavorativamente, cosa ha significato per te l’emergenza coronavirus?
Ho vissuto una storia un po’ particolare. Il primo marzo sono partito da Lima per andare a tenere un workshop in India, ma sono stato bloccato all’aeroporto – avevano appena chiuso l’ingresso agli italiani. Mi sono così visto costretto a scegliere tra rientrare negli Stati Uniti o in Italia. Ho deciso di tornare a New York perché avevo degli appuntamenti: non immaginavo che la situazione sarebbe peggiorata.

Ora però sei in Italia, come mai?
Inizialmente mi ero reso disponibile per documentare la pandemia negli Stati Uniti ai giornali italiani, ma sul momento non sembravano interessati – con l’eccezione di Marie Claire. Poi le cose sono precipitate: non avevo l’assicurazione sanitaria né risorse lavorative, quindi ho deciso di tornare a Firenze.

Una foto del servizio di Alessandro Cinque per Marie Claire, New York.

Una foto del servizio per Marie Claire New York

Quindi anche il tuo lavoro, come molti altri, è stato toccato dal virus. Cosa ha comportato a livello creativo?
La sto vivendo male. Personalmente ho deciso di non lavorare sul coronavirus in Italia, perché non sento di avere qualcosa da aggiungere a quanto è già stato detto. Forse anche perché, quando sono tornato, la situazione aveva già superato l’apice. Tempismo sbagliato per uno come me che ha bisogno di entrare subito nel vivo: sono alla vecchia maniera, reportage sul campo, all’americana.

Visto che sei del settore, cosa si aspetta un’agenzia, come Reuters, a livello comunicativo in questo periodo?
Una prospettiva interessante. Ormai è inutile proporre foto di città vuote, perché ce ne sono migliaia. Si aspettano storie personali, che diano un taglio differente. Racconti dall’Amazonia, ad esempio, dove gli indigeni credono che attraverso la medicina naturale si possa guarire o proteggersi dal virus.

In base ai tuoi contatti con riviste e associazioni, hai notato tagli o cambi di rotta?
Assolutamente sì. Sono stati creati molti più fondi per i fotografi che parlano del coronavirus, oggetto ormai anche dei settimanali femminili. Penso, infatti, sia molto difficile far uscire una storia che parli di altro. La mia preoccupazione è che, date le circostanze, i temi che esulano dalla pandemia, come lo sfruttamento in Perù, sfuggano a lungo all’attenzione globale – ancora più di quanto abitualmente accade.

Immaginiamo allora che tu non veda l’ora di tornare a Lima. Cosa ti aspetti dal futuro?
Spero in una ripartenza. In questo momento sto dando forma a un progetto di sensibilizzazione interna sui diritti umani tra le comunità peruviane, che vorrei proporre a National Geographic. Inoltre, mi sto concentrando sullo studio delle storie che ho intenzione di raccontare: conoscere, prima di fotografare, mi permette di entrare in contatto più profondamente con quello che faccio. Vorrei rientrare il prima possibile in Perù, ho un sacco di idee. Quella ora è casa mia.

La redazione Il Resto della Quarantena, composta da, Barbara Balestrieri, Camilla Cavalli, Ilaria Marroni e Arianna Rusalen

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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