Per Donald Trump, il buon ebreo americano ha una doppia lealtà, agli Stati Uniti e a Israele, e vota repubblicano. Anzi, “gli ebrei che votano democratico mostrano totale mancanza di consapevolezza o grande slealtà”. Utilizzando, forse senza rendersene conto, un luogo comune anti-semita, che cioè gli ebrei sono quinte colonne di Israele nei loro Paesi, il magnate presidente scatena vivaci reazioni. Bernie Sanders, senatore del Vermont, candidato alla nomination democratica per Usa 2020, ebreo non osservante, dice: “Io sono orgoglioso d’essere ebreo e non ho remore a votare democratico; anzi, intendo votare perché un ebreo diventi il prossimo presidente degli Stati Uniti”.
Trump è da giorni animato da una vis polemica persino più fervida del solito: solo nelle ultime ore, se l’è presa con la Danimarca, che non gli vuole vendere la Groenlandia, e con la Federal Reserve, che non abbassa il costo del denaro come lui vuole, mentre ha ‘lisciato’ la Russia, la Cina e la lobby delle armi, la Nra. Ma l’estate è la stagione delle posizioni volatili: tweet e dichiarazioni spesso si rivelano effimeri.
La sortita sugli ebrei nasce dall’ennesimo attacco alle due deputate democratiche musulmane, Rashida Tlaib e Ilhan Omar, che “odiano Israele” e “vogliono tagliargli gli aiuti”. “E’ questo – s’interroga il presidente – il nuovo volto del partito democratico?”. Nei giorni scorsi, Trump aveva chiesto e ottenuto che le autorità israeliane impedissero a Tlaib e Omar di visitare la CisGiordania.
Elettoralmente, la carta può essere redditizia: il presidente sa che dove il voto ebreo è numeroso, specie a New York, lui comunque perde – il 70% degli ebrei americani votarono Hillary Clinton, nel 2016 -; mentre, dove i sentimenti anti-islamici sono pronunciati, lui vince. Non è la prima volta che il magnate s’impania nella ‘doppia lealtà’: parlando del premier israeliano Benjamin Netanyahu a una convention ebraica a Las Vegas in aprile aveva detto “il vostro premier”.
Jonathan Greenblatt, leader della Anti-Defamation League, lobby ebraica conservatrice, e J Street, lobby ebraica progressista, sono per una volta allineati nel criticare il concetto della doppia lealtà. Ma J Street va oltre: “La grande maggioranza della nostra comunità aborre la xenofobia, il razzismo e l’estremismo di Trump e dei suoi alleati”.
In procinto di partire per l’Europa, dove parteciperà al Vertice del G7 di Biarritz in Francia, e dove avrà molti bilaterali, il magnate ‘mette in castigo’ la Danimarca, che non gli vende la Groenlandia. Offeso dal prevedibile ‘no’ a quella che tutti credevano più una boutade che un progetto, Trump cancella la visita prevista dal 2 al 4 settembre: “Visti i commenti del premier Mette Frederiksen rinvierò il nostro incontro a un’altra volta”.
La premier danese aveva definito l’idea della vendita della Groenlandia agli Stati Uniti “assurda”, dopo che il magnate aveva confermato l’intenzione di parlargliene: “La Groenlandia non è danese, è groenlandese. Spero che ciò sia qualcosa che non venga davvero preso sul serio”. A Copenaghen, Trump doveva incontrare anche Kim Kielsen, il premier della Groenlandia, che nei giorni scorsi aveva chiarito che “la Groenlandia è aperta agli affari, ma non è in vendita”.
A riprova d’essersi ormai affezionato all’idea, il magnate aveva postato su Twitter un fotomontaggio con una Trump Tower nella campagna groenlandese e il messaggio “Prometto di non farlo”. I reali di Danimarca, che nei giorni scorsi erano stati più diplomatici della premier, ma ugualmente fermi, esprimono “sorpresa” per la visita annullata. La Fredriksen è “delusa e sorpresa”. La Commissione dell’Ue “sostiene a pieno la posizione espressa dalla premier danese e dal governo groenlandese”.
Tweet dolci, invece, per la Cina – ”Stiamo andando bene” – e per la Russia, che al G7 del 2020, negli Usa, potrebbe essere riammessa fra i Grandi. “L’unico problema che abbiamo – assicura Trump – è Jay Powell e la Fed”: “Competiamo con Paesi che hanno tassi di interesse decisamente più bassi. E’ ora che Powell e la Fed si sveglino”: parole dette prima dell’apertura a Jackson Hole, nel Wyoming, dell’annuale appuntamento informale fra rappresentanti delle banche centrali.
Chi, al solito, si sottrae agli strali di Trump è la Nra, la lobby delle armi: la stretta dei controlli su chi acquista pistole, fucili, munizioni non si farà. Il presidente lo avrebbe garantito in una telefonata al leader dell’associazione Wayne LaPierre, preoccupato per la richiesta di norme più rigide fattasi più insistente dopo le stragi di El Paso e Dayton. Trump è già tornato alla sua posizione standard, che non sono le armi che uccidono, ma le persone cattive, o malate di mente, che le usano (e cui, comunque, continueranno a essere vendute).