Donald Trump è uno che di dubbi ne ha pochi. Questa volta, ne ha meno del solito: per lui, “l’Iran è responsabile dell’attacco alle petroliere”, una giapponese e una norvegese, in fiamme giovedì nel Golfo di Oman all’uscita dello Stretto di Hormuz. Che cosa faranno gli Stati Uniti? “Vedremo che cosa accadrà”, è la risposta, vaga ma non tranquillizzante.
Di sicuro – Trump l’ha già detto più volte ed è posizione consolidata d’ogni Amministrazione Usa -, gli Stati Uniti non vogliono permettere che il traffico navale da e per il Golfo Persico, snodo chiave del commercio petrolifero mondiale, sia bloccato: l’Iran subirà “gravi conseguenze”, se gli interessi dell’America e dei suoi alleati regionali, l’Arabia saudita e Israele, saranno lesi. E Washington non vuole che l’Iran si doti di armi nucleari, anche se le decisioni e l’atteggiamento di Trump e dei suoi consiglieri, specie quello per la sicurezza nazionale John Bolton, paiono proprio spingere Teheran in quella direzione.
Per l’episodio di giovedì, le certezze americane si basano su un video in bianco e nero e piuttosto confuso, fatto circolare dal Pentagono: vi si vede un’imbarcazione, che sarebbe dei Pasdaran, cioè dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, i cui marinai starebbero rimuovendo una mina magnetica inesplosa dal fianco della petroliera giapponese, la Kokuka Courageous, danneggiata – è un’ipotesi – da un’altra mina. “E’ la firma dell’Iran”, dice Trump.
Nella ricostruzione del Pentagono, il video dimostra che gli iraniani volevano rimuovere le prove del loro coinvolgimento. Il segretario di Stato Usa Mike Pompeo dichiara la responsabilità iraniana “in attacchi non provocati” alle due petroliere. Il mese scorso, Washington aveva già accusato l’Iran per analoghi attacchi a quattro petroliere, allora un po’ più a nord, dentro lo stretto di Hormuz.
In realtà, le testimonianze raccolte sono discordanti e non conclusive. C’era chi parlava di un siluro. E l’armatore giapponese proprietario della Kokuka Courageous dice d’avere notato “oggetti volanti” prima dell’esplosione, escludendo che a causare i danni siano state mine. E se i sauditi e gli emirati accusano l’Iran, Russia e Cina sono estremamente riluttanti ad attribuire colpe. L’Italia esprime “preoccupazione” per bocca del ministro degli Esteri Enzo Moavero, ma “condivide” la posizione degli Uxsa, nelle parole del vice-prermier Matteo Salvini.
L’Iran, che respinge ogni responsabilità, azzarda l’ipotesi che si sia trattato di un incidente, più che d’un attacco, ma se la prende soprattutto con gli Stati Uniti, che starebbero conducendo “un’altra campagna iranofobica”. In una nota la missione dell’Iran all’Onu, dove c’è stato uno scambio d’opinioni vivace, scrive: “Gli Stati Uniti e i loro alleati regionali devono porre fine all’atteggiamento guerrafondaio, ai complotti maligni, alle azioni sotto false bandiere”.
Per Teheran, l’episodio è “sospetto”, soprattutto se analizzato dal punto di vista del ‘cui prodest’: infatti, le due petroliere sono state incendiate mentre era in visita in Iran il premier giapponese Shenzo Abe. Il Giappone è un Paese i cui approvvigionamenti energetici dipendono in larga misura dalla liberà di navigazione dal Golfo Persico al Golfo di Oman via lo stretto di Hormuz.
Il ministero degli Esteri di Teheran osserva: “Pare che accusare l’Iran di coinvolgimento sia la cosa più facile e più semplice che il segretario di Stato Pompeo e altri funzionari americani possano fare. Quali sono state le mani nascoste dietro l’indebolimento degli sforzi per risolvere la crisi?, chi ne trarrà più beneficio?”. L’Iran ribadisce l’impegno a garantire la sicurezza del traffico marittimo nello stretto di Hormuz e sottolinea: nell’episodio di giovedì, “abbiamo dimostrato che possiamo condurre operazioni di salvataggio nel minor tempo possibile”. Parte dei marinai sono stati infatti tratti in salvo da imbarcazioni iraniane e parte da una unità americana.
Ieri, il presidente iraniano Hassan Rohani era in Kighizistan al Vertice della Sco, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, e ha avuto modo di incontrare i presidenti cinese Xi Jinping e russo Vladimir Putin. L’accanimento degli Usa contro l’Iran, il cui punto di partenza fu la denuncia dell’accordo sul nucleare, confermato da tutti gli altri contraenti, con il ripristino delle sanzioni, sta consolidando l’asse di Teheran con Pechino e con Mosca. Rohani ha detto: “L’Amministrazione Usa, usando i suoi strumenti economici, finanziari e militari, ha adottato una politica aggressiva ed è diventata una seria minaccia per la stabilità dell’area e del mondo”, mentre l’accordo sul nucleare, raggiunto nel 2015, aveva dimostrato che, “se c’è una volontà politica, si possono risolvere i problemi”. Ma con Trump, che è “un bugiardo”, Rohani non intende trattare.