Donald Trump è un maestro nello spostare la palla: quando un terreno gli diventa scivoloso, lui sceglie di cambiare campo e va a giocare là dove è certo di trovare il consenso dei suoi fans. Se le discussioni sull’impeachment interessano politici e intellettuali, i discorsi che riportano all’ ‘America First’, dazi, migranti, sicurezza, mandano su di giri rednecks e nostalgici, nucleo duro dei sostenitori del magnate presidente. Anche se i dazi possono essere un boomerang: piacciono a quelli che se ne sentono protetti, non a quelli che finiscono sotto il tiro delle ritorsioni; vanno bene in West Virginia, terra di miniere da chiudere, ma non nello Iowa, terra di agricoltori da esportazione.
Non a caso, nel giorno in cui incassa sul Russiagate un jab e un uppercut, Trump sceglie la West Virginia per smentire, sui dazi, se stesso e la sua Amministrazione e per tradire la fiducia – ammesso che ne avessero – degli europei nei suoi confronti. “Non entrerà negli Usa nessun’auto europea con un dazio inferiore al 25%”, promette a chi è venuto ad ascoltarlo a un comizio in vista del voto di midterm del 6 novembre per il rinnovo della Camera e di un terzo del Senato.
Aspettiamoci altri botti di questo genere nei prossimi 75 giorni: il presidente ha promesso che farà campagna per 40 giorni, dopo il Labour Day, lunedì 3 settembre. La minaccia di dazi fa inizialmente oscillare, ma non scuote più di tanto, le Borse, dove i titoli automobilistici aprono deboli, e non turba troppo l’Unione europea. Gli interlocutori dell’America di Trump, che siano la Cina o l’Ue, hanno ormai fatto l’abitudine all’altalena delle prese di posizione statunitensi.
Poco prima che Trump parlasse, il segretario al Commercio Wilbur Ross aveva rilasciato un’intervista al Wall Street Journal nella quale annunciava il rinvio della scadenza di agosto per la pubblicazione di un rapporto sui dazi automobilistici, visti i negoziati in corso con la Commissione europea, il Canada e il Messico.
In effetti, il 25 luglio, Trump e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in un incontro alla Casa Bianca, avevano trovato un’intesa per congelare dazi Usa e contromisure Ue durante le trattative per un accordo definitivo, fermo restando che il settore automobilistico è sempre oggetto di particolari attenzioni da Trump per motivi elettorali – nel 2016, i voti del Michigan e dell’Ohio manifatturieri gli valsero la Casa Bianca – e punitivi. I dazi sulle auto sono, infatti, visti come lo strumento principale per colpire la Germania, di cui Trump non sopporta l’efficienza commerciale e non ‘digerisce’ la Cancelliera.
L’andamento ondivago delle prese di posizione commerciali dell’Amministrazione americana trova conferma anche sul fronte cinese, dove, alle roboanti dichiarazioni dei giorni scorsi su imposizioni di dazi senza precedenti, ha fatto riscontro, in grande sordina, la ripresa dei negoziati – il che non impedirà l’entrata in vigore in queste ore di nuove tariffe su beni per 16 miliardi di import annuo -.
Anche dopo la sparata in West Virginia, fonti della Commissione europea assicuravano ai media che Ue e Usa “sono concentrate sull’attuazione della dichiarazione congiunta concordata dai presidenti Juncker e Trump”. Il Gruppo di lavoro esecutivo ad hoc continua ad avere contatti e incontri – ve ne sono pure questa settimana -.
Ulteriori incontri a diversi livelli sono previsti nelle prossime settimane. Verso inizio settembre sarà possibile un nuovo scambio tra la commissaria Ue al commercio Cecilia Malmstroem e il rappresentante Usa al commercio Robert Lighthizer, che si sono già parlati il primo agosto.
Lo scopo ultimo di tutte queste consultazioni è di preparare il terreno per l’avvio dei veri e propri negoziati commerciali tra Ue e Usa sui temi identificati da Juncker e Trump, e messi nero su bianco nella dichiarazione del 25 luglio. Fatte salve, ovviamente, le ‘sparate’ presidenziali.