Non ce n’era bisogno. Ma se qualcuno avesse mai voluto dare una patina di credibilità democratica all’ennesima elezione di Vladimir Putin a presidente russo, con quasi il 77% dei voti e un’affluenza alle urne superiore ai due terzi (il 67,5% degli aventi diritto), ecco servito l’esito del voto in Egitto: il presidente uscente Abdel Fattah Al-Sisi è stato confermato con il 97% dei suffragi validi e un’affluenza alle urne appena del 41,5%. Le schede annullate sono state il 7,2% dei voti espressi.
Non che ci fossero molti dubbi sul carattere autocratico, e pure autoritario, del potere di Putin ed Al-Sisi, cui fa (in)degna concorrenza il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ma uno non è tenuto a felicitarsi, e ancor meno a rallegrarsi, dei loro successi.
Dopo la rielezione di Putin, il 18 marzo, fece notizia il presidente Usa Donald Trump, prima perché non gli telefonò – subito -, poi perché gli telefonò congratulandosi (magari un po’ troppo) e concordando un vertice che non si sa ancora se e dove e quando si terrà, ma che – assicurano le diplomazie – si sta preparando. Il che non ha però impedito a Trump di avvilupparsi, meno di una settimana dopo, tra ‘guerra delle spie’ ed espulsioni di diplomatici incrociati, nella peggiore crisi Usa-Russia dell’ultimo quarto di secolo, cioè da quando l’Urss è tornata a essere Russia.
Adesso, suona stonato il messaggio d’auguri del presidente Sergio Mattarella all’egiziano Al-Sisi, pur ricordando gli impegni presi e mai rispettati perché sia fatta piena luce “sulla barbara uccisione di Giulio Regeni”, sequestrato, torturato e trucidato al Cairo tra il gennaio e il febbraio 2016. “Sono certo – scrive il presidente Mattarella – che il raggiungimento della verità, attraverso una sempre più efficace cooperazione tra organi investigativi, contribuirà a rilanciare e rafforzare il rapporto storico di assoluto rilievo tra i nostri Paesi”.
Il messaggio di Mattarella è misurato ed equilibrato. Ma ostinarsi a ritenere, o fingere di ritenere, Al-Sisi parte della soluzione del problema Regeni è di per sé un errore: Al-Sisi, generale golpista, presidente autoritario, repressore brutale dell’opposizione islamista – risospinta alla lotta armata – è parte del problema, e forse è il problema, perché copre i responsabili, se, in ultima istanza, non copre se stesso.
La verità su Giulio vale più di una concessione petrolifera o di qualche buon affare commerciale ed energetico. E la ‘real politik’ nei confronti dei satrapi pesa poco, come quella nei confronti degli zar e dei califfi. Rimandare l’ambasciatore al Cairo non è servito a molto; né – credo – servirà a molto il telegramma di Mattarella. Che, se non partiva, era a mio avviso meglio.