Avevamo pensato a un Vertice melina. Invece, è stato un Vertice spartiacque. Merito, o colpa, della grossolana arroganza del presidente Trump e della irritata fermezza della cancelliera Merkel che se n’è andata da Taormina con una convinzione: “Non è più in tempo in cui potevano fare affidamento sugli altri – sugli americani, ndr – … Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani”.
In realtà, tutta la prima missione internazionale del presidente Trump è stata uno spartiacque: prima il ‘pellegrinaggio’ tra i monoteismi e poi gli incontri all’Ue, alla Nato, con i Grandi dell’Occidente. Le parole brusche e gli atteggiamenti intolleranti del magnate presidente sono inequivocabili: su tutti i fronti, dalla guerra al terrorismo al Medio Oriente, dalla difesa al clima, l’America di Trump è diversa da quella dialogante ed esitante di Barack Obama, come da quella ferita e belligerante di Bush II e degli altri suoi predecessori, è insofferente del prossimo e attenta solo a se stessa.
Al Vertice del G7, la risposta dei partner è stata corale sul clima; e la posizione europea, capitolo per capitolo, è stata più coesa del solito, con l’ovvia eccezione della Gran Bretagna di Theresa May, allineata con qualche imbarazzo sulle posizioni americane e alla ricerca di sponde d’approdo post Brexit – sempre che le elezioni politiche dell’8 giugno non disegnino altri scenari -. Su scambi e immigrazione, Ue, Germania, Francia, Italia sono in sintonia. Qualche scollamento c’è tra la Merkel – la decana – e il presidente francese Emmanuel Macron – uno degli esordienti – sulla valutazione dell’atteggiamento statunitense: Angela è drastica; Emmanuel, che forse fa l’amico del giaguaro, concede un’apertura di credito quasi paradossale – “Mi pare uno che ascolta”, dice di Trump -.
Al ritorno a Washington, chiusa la parentesi internazionale, l’Amministrazione si resetta subito sulla politica interna: alza cortine fumogene e tiene su la tensione con gli alleati europei; annuncia l’offensiva per liberare Raqqa – capitale in Siria del sedicente Stato islamico -; cambia le pedine della comunicazione e lascia trapelare rimpasti; tutto purché si parli poco del Russiagate, l’inchiesta sui contatti tra consiglieri del presidente ed emissari del Cremlino prima del voto dell’8 novembre.
Trump se la prende ancora con la Merkel, ormai divenuta la sua arci-nemica, criticando il disavanzo commerciale tedesco nei confronti degli Usa e il braccino corto nelle spese per la Nato (“Tutto questo cambierà”). E fa vantare dal suo portavoce un’improbabile sintonia con Papa Francesco. Ma dimissioni e avvicendamenti nella squadra presidenziale tradiscono un palese malessere: la strategia di comunicazione della Casa Bianca è fragile, soprattutto per le contraddizioni tra un presidente che improvvisa e portavoce che seguono un copione.
Le beffe di Trump ai Grandi – Rivediamo in sintesi il film del Vertice di Taormina, lo spartiacque dove Trump s’è fatto beffe dei Grandi e dei partner: … di qui in avanti, il pezzo è sintesi dei servizi del 28 e 27 maggio …