‘Shutdown’, letteralmente la serrata, cioè la parziale chiusura dei servizi pubblici dell’Amministrazione federale, dopo che il Congresso non ha trovato un’intesa, entro la mezzanotte di ieri, per garantire il finanziamento della spesa pubblica. Così, alle 24.00 di Washington, le 06.00 del mattino in Italia, lo shutdown è iniziato: se ne ignora al momento la portata e la durata, ma centinaia di migliaia e forse milioni di dipendenti federali potrebbero perdere il posto di lavoro o restare a casa senza soldo o essere obbligati a lavorare senza essere pagati.
Mentre il dollaro s’indebolisce ancora e l’oro acquista valore, ecco una carrellata dei titoli dei principali media Usa: New York Times, “Inizia lo shutdown, può causare licenziamenti di massa e tagli”; Washington Post, “Iniziato lo shutdown, fra accuse reciproche e acrimonia”; Politico, “L’Amministrazione chiude, Congresso in stallo”; Cnn, “L’Amministrazione chiude”, non è chiaro a chi possa politicamente giovare questa situazione; Fox, “Inizia lo shutdown, Trump avverte i democratici che ci saranno ‘conseguenze irreversibili’”.
Trump 2: shutdown, il primo dopo sette anni
Più volte sfiorato ma sempre evitato negli ultimi anni, questo shutdown è il primo dal 2018/’19, quando era presidente, al primo mandato, Donald Trump: pareva già inevitabile da lunedì, dopo il fallimento di un tentativo di trovare un compromesso alla Casa Bianca con i leader del Congresso repubblicani e democratici. Sia Trump, e di conseguenza i repubblicani, che i democratici erano apparsi rigidi sulle rispettive posizioni, quasi alla ricerca di un incidente di cui ora s’incolpano vicenda.
E Trump pare deciso a enfatizzarne la portata della parziale serrata, estendendo la gamma dei servizi sospesi, di solito quelli non essenziali, come l’apertura dei parchi nazionali, a settori come l’istruzione e soprattutto la sanità.
Proprio la sanità è stata la linea di resistenza dei democratici, impegnati a tutelare i benefici per chi non dispone di un’assicurazione al di là della loro attuale scadenza a fine anno. I repubblicani li accusano “di tenere il governo in ostaggio”.
L’ultima possibilità di sventare lo shutdown è fallita ieri sera, quando in Senato un provvedimento per protrarre la copertura finanziaria per sette settimane, e consentire ulteriori negoziati, non ha superato la soglia dei 60 voti necessari: 55 voti a favore, i repubblicani più due democratici, e 45 contro, tutti gli altri democratici.
Non è chiaro a chi politicamente giovi questa situazione né quale sarà l’impatto dello shutdown, che un’Amministrazione normalmente cerca di minimizzare, mentre Trump lo vuole amplificare con licenziamenti e chiusure di servizi di cui di solito usufruiscono gli elettori democratici. La Cnn si chiede se la situazione non accresca il potere del presidente, mentre gli economcisti calcolano una pedita di 10/20 miliardi di dollari sul Pil se la serrata dovesse protrarsi per due settimane.
Trump 2: lavoro, ritirata candidatura sostituto statistica licenziata
Nel panorama quasi uniforme della stampa Usa questa mattina, l’unica eccezione è il Wall Street Journal, che apre con la decisione della Casa Bianca di ritirare la designazione del nuovo capo dell’Ufficio dello Statistiche del Lavoro. Dopo avere licenziato Erika McEntarfer, perché i dati pubblicati sotto la sua direzione non gli piacevano, Trump aveva designato E.J.Antoni, il cui avallo da parte del Senato appariva però incerto perché scarsamente qualificato per quel posto. Annunciando il ritiro della candidatura, la Casa Bianca fa sapere che un nuovo candidato sarà presto designato, mentre McEntarfer contesta in giustizia il suo licenziamento.
Trump 2: l’adunata dei generali silenti
Lo shutdown ha probabilmente obliterato nei titoli l’insolita adunata di centinaia di generali e ammiragli, ieri, alla base dei marines di Quantico, in Virginia, convocati con breve preavviso e senza una precisa motivazione – al punto da suscitare interrogativi e inquietudini – dal segretario alla Difesa – anzi, ormai alla Guerra – Pete Hegseth. I circa 800 alti ufficiali hanno ascoltato discorsi motivazionali di Hegseth e del presidente Trump, che, accolto senza applausi, e trovandosi davanti una platea per lo più silente, se n’è lamentato.
Parlando per quasi un’ora Trump ha prospettato l’uso delle città come “terreno d’addestramento” delle forze armate, in una guerra contro “l’invasione dall’interno”, cioè l’immigrazione illegale: è stato un discorso auto-celebrativo, in cui il presidente ha di nuovo rivendicato di meritarsi il Nobel per la Pace; ma è stato anche un discorso che ha scosso, con toni partigiani, principi fondamentali, come quello che i militari non hanno ruolo nelle vicende interne.
Hegseth, dal canto suo, ha dichiarato la fine della ‘woke culture’ nelle forze armate, da cui ha già escluso i transgender, e del ‘politically correct’ e ha annunciato nuove direttive per le truppe, che includono standard fisici “di livello maschile” e uguali per uomini e donne, il che potrebbe portare all’esclusione di molte donne. E chi non è d’accordo – ha aggiunto il segretario alla Guerra – “faccia ciò che è onorevole: si congedi”.
L’appello di Trump alla guerra al nemico interno coincideva con la sentenza di un giudice federale di Boston, William Young, che ha bollato come incostituzionale il tentativo dell’Amministrazione di deportare studenti stranieri residenti negli Usa, ‘colpevoli’ di avere manifestato contro il conflitto a Gaza e per i diritti dei palestinesi. Per il giudice, che ha accolto il ricorso di diverse associazioni universitarie, la deportazione ‘ideologica’ viola la libertà d’espressione tutelata dal 1° emendamento della Costituzione statunitense e l’Amministrazione Trump userebbe la minaccia di deportazione per intimidire in modo sistematico i manifestanti nei campus e indurli al silenzio.














