Guerre, punto – Donald Trump abbatte la sua “palla da demolizione” – il copyright è del Washington Post – su un’America più polarizzata che mai, ma anche su alleanze un tempo solide, e fa macerie dei valori tradizionali di un Occidente ormai smarritosi nei fanatismi e nell’oscurantismo della generazione Maga.
Ci sono macerie figurate. E ci sono macerie insanguinate, come quelle della Striscia di Gaza, dove l’esercito israeliano trasforma una città in detriti da rimuovere per costruire la Riviera che non è solo nei sogni dello ‘speculatore immobiliare in capo’, ma pure dei perversi leader dell’esaltata destra ultra-religiosa israeliana. Cui il premier Benjamin Netanyahu tiene bordone per garantirsi la sopravvivenza politica e sottrarsi alla giustizia.

Dopo l’uccisione dell’attivista conservatore Charlie Kirk, il 10 settembre, alla Utah Valley University di Orem, gli Stati Uniti hanno vissuto 10 giorni profondamente divisivi, persino più di quelli cui Trump l’aveva assuefatta. L’apoteosi è stata domenica la cerimonia funebre: “un misto tra la cerimonia funebre e adunata politica”, secondo il New York Times, presente “l’intera linea di successione presidenziale”, il presidente, il suo vice JD Vance, lo speaker della Camera Mike Johnson, nonostante Kirk fosse un privato cittadino, per di più poco noto fuori dalla cerchia Maga.
Le dimensioni e i livelli di sicurezza dell’evento sono stati comparabili a quelli d’un funerale di Stato. Dopo l’uccisione di Kirk, Trump e i suoi hanno sollevato un polverone, i cui echi sono giunti anche in Europa, specie in Italia, ergendosi a campioni della libertà d’espressione e dipingendo la sinistra come portatrice dell’odio e della violenza, nonostante l’assassino, Tyler Robinson, 22 anni, sia un giovane cresciuto in un ambiente fortemente conservatore, nel culto delle armi.
Un sondaggio per conto della Ap dice che sempre più americani sono perplessi sulle decisioni del presidente: sulla criminalità, coi militari della Guardia Nazionale inviati di città in città – dopo Los Angeles e Washington, Memphis e presto Chicago- ad arrestare migranti; sull’economia, con la crescita che non decolla e l’inflazione che può impennarsi; sulla sanità, con una serie di provvedimenti negazionisti che per gli scienziati rischiano di compromettere la salute dell’Unione. E una maggioranza di elettori pensa che i democratici debbano ottenere la maggioranza alla Camera nel voto di midterm previsto fra 13 mesi, per mitigare il potere del magnate.

Che, intanto, licenzia chi non gli aggrada, taglia i fondi a chi non accetta i suoi diktat e chiede (e ottiene da editori compiacenti) la testa di conduttori non ossequiosi al potere – che sarebbe lo standard minimo di un buon giornalista -. Capitano, però, sussulti di dignità: L’Abc, una delle tre grandi tv generaliste Usa, e la Disney, sua casa madre, richiamano in servizio, dopo una settimana di sospensione, Jimmy Kimmel, comico epurato per commenti non graditi, ma corretti, sulle speculazioni politiche della vicenda Kirk: probabilmente, temono che il biasimo del loro pubblico possa costare loro più caro delle ripicche di Trump.
Guerre: Onu, Trump cambia rotta sull’Ucraina, “potete riprendervi i territori e vincere”
Nel “tortuoso discorso” – la citazione è del New York Times – pronunciato martedì di fronte all’Assemblea generale dell’Onu, un panegirico di se stesso e un anatema contro l’Europa e “le inette” Nazioni Unite, Trump s’è preso per l’ennesima volta la scena mediatica planetaria.
Sull’Ucraina, l’inversione di marcia attuata ha sorpreso per primo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha incontrato Trump dopo l’intervento al Palazzo di Vetro. Trump è passato dal “non avete le carte”, e quindi arrendetevi, del 28 febbraio, nello Studio Ovale, all’odierno “potete vincere questa guerra e riprendervi tutti i vostri territori”.
Washington Post, Wall Street Journal e Cnn ci hanno fatto titoli quasi fotocopia: “Trump dice che l’Ucraina può sconfiggere la Russia con il sostegno della Nato” e “può riconquistare tutto il territorio invaso”.

Il New York Times sospetta, e lo scrive, attribuendo il cattivo pensiero a fonti diplomatiche, che Trump, in realtà, sull’Ucraina voglia prendere le distanze da un conflitto che prometteva di chiudere in fretta, angariando Zelensky e blandendo il presidente russo Vladimir Putin, ma di cui non è invece riuscito a districare la matassa.
Che Trump voglia sostanzialmente “lavarsene le mani”, lo conferma il fatto che non promette un maggiore e rinnovato sostegno Usa a Kiev: la linea, su questo, resta che gli alleati Nato europei devono comprare armi agli Stati Uniti e passarle all’Ucraina. Insomma, se la vedano europei e ucraini, è una loro guerra: se il conflitto non finisce, è colpa degli europei che comprano energia dalla Russia e che non sanzionano Cina e India che foraggiano la Russia.
E Trump vuole pure che gli europei abbattano droni e aerei russi che violano lo spazio aereo Nato, invece di limitarsi a intercettarli. Un incitamento pericoloso, che il segretario generale dell’Alleanza Marc Rutte attenua con considerazioni economiche. “Sparare un missile, che costa un sacco, contro un drone, che magari costa un migliaio di euro, non è sostenibile”, sempre che il drone sia innocuo, una provocazione o un test e nulla più.
Per il WSJ, la piroetta del presidente sull’Ucraina significa “dare le spalle alla Russia” e segue “mesi di sforzi senza esito per mediare un cessate-il-fuoco in Ucraina”. Il che non è propriamente vero perché, dopo il vertice di Ferragosto ad Anchorage in Alaska con Putin, Trump aveva abbandonato l’idea di una tregua per negoziare la pace e aveva anzi fatto proprio il progetto putiniano di una pace ‘tutta e subito’, che avrebbe però comportato un’immediata resa ucraina.
Resta da vedere quanto durerà la nuova postura del Trump stile “armatevi e partite”.
Guerre: Onu, su Gaza, asse con Israele tiene, ma ondata riconoscimenti Palestina
Sulla guerra condotta da Israele nella Striscia di Gaza, invece, gli Stati Uniti non cambiano linea e mantengono la loro postura filo-israeliana, nonostante che, dall’inizio della settimana, molti Paesi abbiano annunciato il riconoscimento dello Stato della Palestina: Gran Bretagna, Canada e Australia, domenica; Francia, Belgio, Lussemburgo, Portogallo e altri lunedì.

La frattura con Washington è per questi Paesi un fatto eccezionale. Il passo vuole esercitare pressione su Israele perché allenti la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, dove mancano viveri e medicinali, e accettare una tregua dei combattimenti: le vittime superano le 65.000, molte le donne e i bambini.
La scorsa settimana, l’esercito israeliano, stando alle cifre ufficiali, ha colpito 150 volte Gaza City, da cui circa mezzo milione di palestinesi, la metà della popolazione, sarebbe fuggito. Telefoni e internet sono fuori uso.
La reazione israeliana è stata totalmente negativa: chi riconosce lo Stato della Palestina – si dice – “premia il terrorismo di Hamas”. Dalla tribuna dell’Onu, Trump dice che riconoscere la Palestina “ricompensa i crimini di Hamas”.
Attualmente, sono circa 150 i Paesi dell’Onu che riconoscono la Palestina, quattro su cinque dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, tre su sette dei Paesi del G7, molti Paesi Ue e Nato. Per un sondaggio, sempre più americani pensano che Israele sia andata troppo lontano nella reazione agli attentati del 7 ottobre e sono allarmati per la situazione umanitaria nella Striscia.
Onu: le ‘sberle’ di Trump all’Europa e alle Nazioni Unite
All’Onu, la sequela dei discorsi dei leader di fronte all’Assemblea generale, aperta martedì, come da copione, dal segretario generale Antonio Guterres e dal presidente brasiliano Luiz Inacio ‘Lula’ da Silva, prosegue per tutta la settimana. L’intervento della premier italiana Giorgia Meloni era in calendario mercoledì notte – ora italiana -.
A margine dell’Assemblea generale, ci sono riunioni e iniziative multilaterali ed una miriade di bilaterali, fra cui quello tra il segretario di Stato Usa Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov.
Del discorso di Trump all’Onu, il New York Times mette in evidenza la frase: “I vostri Paesi andranno all’inferno”, rivolto in specie all’Europa e a quanti non condividono le sue scelte sull’immigrazione, sul negazionismo climatico e quant’altro. “Trump – recita un titolo – se la prende con l’Onu e con le istituzioni globali”.
La Cnn coglie un passaggio esemplare della boria trumpiana: “Io sono davvero bravo”, dopo l’annuncio in apertura che l’America sta vivendo “una età dell’oro”. Il discorso viene visto, dai commentatori statunitensi, come l’ennesimo avvertimento ad alleati e avversari: Trump non ha ripensamenti sull’ ‘America First’.
Rispetto, però, a quanto avvenne nel primo mandato del presidente Trump, le rodomontate del magnate non sono state accolte da risolini di compatimento, ma da un silenzio misto di noia e timore. Non c’è stata reazione neppure quando Trump ha detto, per l’ennesima volta, di avere messo temine, da quando è alla Casa Bianca, a sette guerre che nessuno aveva saputo chiudere – quali, lo sa solo lui – e s’è lamentato che nessuno dall’Onu gli abbia telefonato per congratularsi.
L’impressione è che la diplomazia internazionale si sia assuefatta al magnate presidente o, meglio, si sia rassegnata a questa ‘era trumpiana’ e cerchi di attraversarla indenne di qui al 2029.