Trump 2 – Uno dei tanti grandi misteri, certo non gloriosi, di Donald Trump, è che si presenta come difensore della libertà di espressione – e riesce a convincere i fans di esserlo -, mentre la sua intolleranza nei confronti della libertà di stampa è altissima: al punto da chiedere che vengano cacciati giornalisti e sospesi programmi critici nei suoi confronti.
Il problema non è che lui lo chieda. Il problema è che l’ottiene, perché gli editori negli Usa stanno dimostrando, come i giganti dell’hi-tech e i signori della Corporate America, di avere la schiena poco diritta e di anteporre il profitto ai valori. Lo si era già capito in campagna elettorale, quando Jeff Bezos – Washington Post – e Patrick Soon-Shiong – Los Angeles Times -, due che non hanno certo bisogno dell’elemosina di Trump, avevano bloccato gli endorsements a Kamala Harris.
Da quando è tornato alla Casa Bianca, quasi otto mesi or sono, gli episodi si sono susseguiti e sono stati numerosi. Alcuni esempi, tutti ben noti: i giornalisti dell’Ap esclusi dai briefing perché scrivono Golfo del Messico e si rifiutano di adottare il cambio di nome deciso per decreto da Trump in Golfo d’America; i corrispondenti dei media tradizionali, tendenzialmente critici, spesso posposti nei pool e nelle interviste a quelli dei new media e, soprattutto, a quelli del mondo Maga; richieste d’indennizzo intimidatorie anche ad editori amici – un miliardo di dollari chiesto a Rupert Murdock perché il Wall Street Journal aveva fatto uno scoop (vero) sui rapporti tra il magnate presidente e Jeffrey Epstein, magnate pedofilo -.
In un crescendo di cifre da mettere paura (agli editori), la richiesta, questa settimana, di un miliardo e mezzo al New York Times perché un libro e diversi articoli – quasi tutti quelli che lo riguardano, a dire il vero – lo mettono in cattiva luce. Ma a cercare di essere oggettivi è difficile fare altrimenti.
Per contro, a Trump non si può contestare la mancanza di disponibilità: Trump parla coi giornalisti sempre e dovunque, nello Studio Ovale, in conferenza stampa, durante le riunioni del governo, mentre gioca a golf, sul prato della Casa Bianca e sull’AirForceOne; e, quando non parla, posta news e commenti sul suo social Truth.
Trump parla con i giornalisti, ma li bistratta anche, quando le domande non gli aggradano. Durante il primo mandato, se la prendeva in modo generico con i ‘fake news media’; adesso, insulti e allusioni minacciose sono spesso personalizzati. Come mercoledì in Gran Bretagna: racconta la Bbc che il collega australiano John Lyons della Abc australe ha avuto l’ardire di chiedere al magnate quanto si sia arricchito da quando è presidente; la risposta è stata evasiva, ma, prima di zittirlo, Trump ha accusato il reporter di mettere a repentaglio le relazioni tra Usa e Australia e gli ha detto che evocherà la questione con il premier australiano Anthony Albanese.
Trump 2: media, un clima peggiorato dopo omicidio Kirk

Dopo l’uccisione nello Utah dell’attivista conservatore Jeffrey Kirk, il coro Maga d’intolleranza e falsità è cresciuto d’intensità e di volume. Sta accadendo in America e nel resto del Mondo, anche in Italia: partendo dall’assassinio di Kirk, i conservatori lanciano campagne contro la sinistra che alimenterebbe l’odio e la violenza, nonostante il giovane assassino sia espressione del loro ‘brodo’ socio-culturale fatto di integralismo religioso, ossessione libertaria e culto delle armi.
Ieri, mercoledì 17 settembre, l’episodio forse più rivelatore e più grave in assoluto: Walt Disney, colosso dell’infotainment, cui fanno capo Abc, una delle tre grandi tv generaliste Usa, e Nexstar, network di tv locali, ha sospeso a tempo indeterminato il ‘Jimmy Kimmel Live!’, lo show condotto da Jimmy Kimmel, per quello che il comico e conduttore più famoso d’America aveva detto lunedì a proposito dell’uccisione di Kirk e del presunto assassino Tyler Robinson.
Queste le parole di Kimmel: “Abbiamo raggiunto nuovi minimi durante il fine settimana, coi Maga che stanno cercando di caratterizzare il ragazzo che ha ucciso Kirk come qualcosa di diverso da uno di loro e hanno fatto di tutto per ottenerne vantaggi politici”.
La decisione della Disney è stata salutata con rabbiosa soddisfazione dalla Casa Bianca (“Abc sta facendo un favore ai suoi telespettatori”, sull’account ufficiale su X Rapid Response). Trump, pur visibilmente compiaciuto dallo sfarzo della visita di stato in Gran Bretagna, ha astiosamente postato su Truth: “E’ una grande notizia per l’America. Congratulazioni ad Abc per avere finalmente avuto il coraggio di fare quello che andava fatto… Kimmel ha zero talento e rating peggiori di Colbert, se possibile”.

Stephen Colbert era il conduttore di The Late Show sulla Cbs, altro programma inviso al presidente, che a luglio ne aveva ottenuto la cancellazione. Ora, Trump mette nel mirino, altri due suoi critici, Jimmy Fallon e Seth Meyers, “due perdenti i cui rating sono orribili”, e invita la Nbc a ‘farli fuori’. I due non devono stare tranquilli. Quando Colbert aveva annunciato la chiusura del suo show, Trump aveva postato: “Si dice che Jimmy Kimmel sarà il prossimo ad andare via … e poi Fallon”.
Nexstar, il maggior proprietario di stazioni televisive locali negli Usa con oltre 200 stazioni proprie o in partnership – raggiunge quasi l’80% delle famiglie americane con le sue emittenti – considera “offensivi” i commenti di Kimmel sul caso Kirk: parole “senza delicatezza in un momento cruciale del nostro discorso politico nazionale”. Il presidente di Nexstar Andrew Alford dice che Kimmel “non riflette lo spettro di opinioni, vedute o valori delle comunità in cui siamo posizionati”.
Ma Nextstar sta aspettando il via libera dell’Amministrazione Trump per una fusione da 6,2 miliardi di dollari con Tegna, Assorbendo Tegna, Nexstar diventerebbe proprietaria di oltre 260 stazioni tv in 44 Stati Usa.
Lo stop a Kimmel fa seguito alle minacce del presidente dell’organo di controllo federale, l’Fcc (Federal Communications Commission), Brendan Carr, un ‘trumpiano doc’, che, in un podcast, aveva parlato di possibili azioni contro Disney e Abc per i commenti dopo l’uccisione di Kirk. E spetta all’Fcc dire la sua sulla fusione Nextstar – Tegna.
Nei mesi scorsi, le grandi tv Usa avevano già dimostrato la loro acquiescenza, come aziende, all’arroganza di Trump, accettandone i diktat. Un primo esempio piuttosto clamoroso: a dicembre, Abc ha preventivamente concordato un pagamento di 15 milioni di dollari al presidente eletto perchè avere riportato in modo impreciso la sua condanna nel processo per diffamazione intentatogli dalla scrittrice E. Jean Carroll.

Un secondo ancora più clamoroso: a luglio, pur senza riconoscere di avere commesso alcun errore, Cbs ha concordato di versare 16 milioni alla biblioteca di Trump. Per il presidente avere ‘editato’ un’intervista a Kamala Harris, rilasciata al giornalista George Stephanopoulos, un ex portavoce della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, durante la campagna elettorale.
Nel suo show, Colbert aveva criticato quel patteggiamento come “una grossa tangente” per favorire la fusione di Paramount, la major di Hollywood, cui fa capo la Cbs, con Skydance Media: fusione che, per andare in porto, doveva ricevere il ‘nulla osta’ dell’Amministrazione. Il presidente di Cbs George Cheeks aveva però negato pressioni politiche e aveva addotto ragioni “esclusivamente finanziarie” dietro la “sofferta” scelta di mandare a casa il comico e il suo “incredibile team”.