Non chiamiamola pace, perché pace ancora non è. Chiamiamola tregua; e speriamo che tenga. Pretesti per incrinarla sarà facile trovarne a Gaza dall’una e dall’altra parte. Più difficile invece sarà fare progressi per renderla stabile e duratura.
Una via la indicano, quasi all’unisono, Papa Leone XIV e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Due Stati unica possibilità di pace”, dicono, dopo la visita al Quirinale del pontefice questo martedì. Improbabile che siano ascoltati, nell’immediato: diplomatici europei confidano a Politico i loro timori sul fragile cessate-il-fuoco, convinti che sia necessario mantenere le pressioni su Israele e su Hamas perché i patti siano rispettati.

Già nelle 48 ore successive al pomposo vertice di Sharm-el-Sheikh, Israele denuncia le lentezze d’Hamas nella restituzione delle salme degli ostaggi deceduti in cattività; e si contano di nuovo decine di vittime nella Striscia – molte, però, dovute a faide interne alle fazioni palestinesi armate -.
La missione di Trump in Israele e in Egitto, lunedì, è stata un’esaltazione di un risultato raggiunto sciorinando la forza: quella di Israele, armata dagli Stati Uniti; e quella americana, nell’attacco all’Iran durante la ‘guerra dei 12 giorni’. Adesso, si tratta invece di avere la volontà di trarre forza dalla pace: sforzo contro-natura per leader come Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu e anche per Hamas e altri gruppi terroristici palestinesi, usi a trarre forza dall’odio.
MO: Gaza, i opunti caldi
Consegna delle salme e deposizione delle armi da parte di Hamas sono i punti caldi in questa fase. Il Washington Post riprende una frase detta in Egitto dal presidente Usa Donald Trump, salutando “l’alba di un nuovo giorno” in Medio oriente, e avverte che potrebbe trattarsi “di una falsa alba”. Per il Teheran Times, l’offerta di negoziati all’Iran è “un ramoscello d’olivo fra i denti del lupo”.

Sulla consegna delle salme, Hamas ne ha date ieri altre quattro, dopo le prime quattro di lunedì – una, però, non sarebbe di un ostaggio -; e dovrebbe darne altrettante oggi. Ne resterebbero 16: Mezzaluna Rossa e specialisti egiziani che collaborano alla ricerca confermano quanto sia difficile recuperare i resti, talora sotto le macerie d’edifici crollati. Israele minaccia di dimezzare il flusso degli aiuti se l’impegno della restituzione non sarà rispettato: per ogni salma di ostaggio, Israele dà dieci corpi di palestinesi uccisi.
Il contenzioso più delicato è, però, quello della deposizione delle armi. Trump dice che gli Usa disarmeranno loro Hamas, anche con la forza, se il gruppo non consegna le armi. E Netanyahu è pronto “a scatenare l’inferno”. Hamas non s’è ancora impegnata esplicitamente a firmare un’intesa di disarmo, ma Trump lascia intendere d’avere ricevuto assicurazioni verbali in tal senso.

Il New York Times racconta i retroscena del vertice di Sharm sotto il titolo “un grande giorno”, che è una citazione di Trump: “Come Stati Uniti e Mondo arabo hanno fatto squadra per suggellare l’accordo su Gaza: i negoziati in Egitto per il cessate-il-fuoco hanno di mostrato che, esercitando pressioni gli uni su Israele e gli altri su Hamas, enormi ostacoli possono essere superati o almeno accantonati”.
Il Wall Street Journal punta sul fatto che, dopo il ritiro di Israele, “Hamas sta compiendo ritorsioni sui suoi rivali e sui ‘collaborasionisti’ veri o presunti: scontri a fuoco ed esecuzioni pubbliche sollevano preoccupazioni per violenze interne omicide”. Una testimone riferisce: “Sento sparare dovunque”.
Ma il titolo principale del quotidiano economico è sulla Cina, che sarebbe convinta di poter vincere una guerra commerciale con gli Usa e, per questo, “gioca duro”: “Il presidente cinese Xi Jinping pensa che Trump cederà prima d’applicare i nuovi dazi, che devono scattare il 1° novembre e che potrebbero scombussolare i mercati”.