Mancava l’Europa alla collezione di letterine sui dazi mandate in settimana dal presidente Usa Donald Trump. E la lacuna è stata colmata, con modalità analoghe a quella delle oltre 20 lettere già spedite: l’annuncio dell’imposizione unilaterale di dazi del 30% su tutto l’import degli Usa dall’Ue. L’importo è nettamente superiore al 10% cui gli europei si erano quasi già ‘assuefatti’, nelle more di negoziati che non sono finora approdati a un accordo.
L’entrata in vigore delle tariffe è fissata al 1° agosto: il che, di fatto, lascia alle trattative uno spazio di tre ulteriori settimane e allunga l’incertezza e la fibrillazione dei mercati finanziari. Tutti sanno, ormai, che gli ultimatum e le scadenze, con Trump, hanno un significato relativo: a questo punto, s’è arrivati dopo un percorso fatto di annunci altisonanti e di repentine marce indietro: il 2 aprile, ‘giorno della liberazione’, una dichiarazione di ‘guerra dei dazi universale’; il 9 aprile, una tregua altrettanto universale di tre mesi, che scadeva il 9 luglio; ora, lo slittamento al 1° agosto.

La lettera indirizzata all’Unione europea, ampollosa oltre i limiti del ridicolo anche per gli standard diplomatici e protocollari, ma resa pubblica sul social privato del presidente Trump, Truth, invece che tramite i canali ufficiali della Casa Bianca, è partita insieme a quella per il Messico – il Canada aveva già ricevuto la sua, con dazi al 35% -. Ue, Messico e Canada sono, con la Cina, i maggiori partner commerciali degli Stati Uniti.
La comunicazione ha sorpreso sia per la tempistica – nel fine settimana – che per i contenuti – l’ipotesi del 10% circolava da giorni -. E Trump minaccia di raddoppiare i dazi, se l’Ue ardisse mai decidere ritorsioni: l’unico modo di evitare i dazi Usa – dice – è andare a produrre negli Stati Uniti.
L’iniziativa, scrivono i media Usa, è destinata a sconvolgere le relazioni tra Usa e Ue, da settimane impegnate in negoziati che, secondo quanto detto in settimana dallo stesso Trump, stavano andando bene – “Gli europei, adesso, sono molto gentili con noi”, aveva detto il magnate presidente -.
Dazi: Ue riunisce ambasciatori, allestisce contromisure

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen paventa una possibile interruzione delle catene di approvvigionamento Usa e Ue, “a scapito di imprese, consumatori e pazienti dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico”. La linea del ‘doppio binario’ – trattative e approntamento di contro misure – è confermata, ma aumentano da parte europea la diffidenza e la preoccupazione.
Gli ambasciatori dei 27 si riuniscono oggi d’urgenza a Bruxelles e discutono una gamma d’opzioni di ritorsioni equivalenti al potenziale impatto commerciale subito dall’Ue, da tenere pronte in caso si arrivi senza intesa alla scadenza del primo agosto – le liste sono pronte da mesi nei cassetti della Commissione -.
Un primo pacchetto dei possibili contro-dazi, congelato da aprile, colpirebbe beni-simbolo dell’America profonda e repubblicana, anzi ‘trumpiana’: Harley-Davidson, Levi’s, burro d’arachidi, mais e soia, per un valore stimato di quasi 21 miliardi di euro. Un secondo pacchetto, in fase d’elaborazione avanzata, potrebbe comportare dazi su high-tech e automotive, fino a 72 miliardi. E c’è sempre il ‘bazooka’ delle sanzioni alle Big Tech Usa.
Il primo pacchetto doveva scattare automaticamente il 14 luglio, se i dazi statunitensi fossero stati attivati, come previsto, il 9 luglio. Visto lo slittamento delle misure Usa al 1o agosto, anche le contro-misure europee sono state rinviate a quella data.
La Francia è per una risposta non condiscendente. La Germania prospetta trattative “pragmatiche”. L’Italia ribadisce “pieno sostegno” agli sforzi negoziali dell’Ue e auspica “un accordo equo, che possa rafforzare l’Occidente nel suo complesso”, sostenendo che “non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale” – come se lo scontro commerciale non lo avesse già scatenato, unilateralmente, l’America di Trump e come se esistesse ancora un Occidente inteso come comunità di valori -.
Anche il Messico ha criticato la minaccia di dazi al 30%, definendola un “trattamento ingiusto”. Venerdì, la presidente messicana Claudia Sheinbaum aveva contestato la “mancanza di coerenza” dell’Amministrazione Usa, che contesta al Messico i traffici di fentanyl alla frontiera – “non fa abbastanza per fermarli” – e dichiara organizzazioni terroristiche i ‘cartelli della droga’, ma poi patteggia con i loro leader, com’è appena successo con uno dei figli de El Chapo.
Alla Ue, Trump contesta il disavanzo nell’interscambio dovuto, a suo avviso, a barriere tariffarie e non tariffarie, e considerato “una grave minaccia per la nostra economia e, di fatto, per la nostra sicurezza nazionale”.
Questa settimana, Trump ha inviato lettere analoghe ad altri 23 partner commerciali, tra cui Brasile, Giappone e Corea del Sud, imponendo dal 1° agosto dazi generalizzati che vanno dal 20% al 50%, oltre a una tariffa del 50% sul rame.
In termini di introiti, il magnate presidente vanta i primi frutti dei suoi dazi. A giugno, la riscossione delle tariffe doganali è ancora aumentata per gli Usa superando per la prima volta in un anno fiscale i 100 miliardi e contribuendo a generare un sorprendente surplus di bilancio mensile di 27 miliardi. I dazi sono diventati la quarta maggiore fonte di entrate per il governo federale: in quattro mesi, la loro quota è più che raddoppiata, passando dal 2% al 5% circa.
Restano da vedere però, oltre alle reazioni delle Borse lunedì, i temuti rincari sui consumi interni e, quindi, gli effetti sull’inflazione: incognite che hanno finora indotto la Fed a non abbassare il costo del denaro, come Trump vorrebbe.