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Guerre, punto: i lampi di festa del 4 Luglio non sono lampi di pace

Scritto lo 02/07/2025, facendo crasi di vv pezzi, per La Voce e il Tempo uscita lo 03/07/2025 in data 06/07/2025 e, in versioni diverse, per il Corriere di Saluzzo dello 03/07/2025 e per la newsletter di Media Duemila dello 04307/2025 https://www.media2000.it/i-fuochi-dartificio-del-4-luglio-sono-lampi-di-guerra/

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Guerre, punto – I fuochi d’artificio del 4 Luglio sul Mall di Washington e in tutte le città degli Stati Uniti getteranno squarci di luce sulla legge “grande e bella” voluta dal presidente Usa Donald Trump per gratificare, con tagli delle tasse, i ‘paperoni d’America’, ma non illumineranno la pace né nella Striscia di Gaza né in Ucraina, dove, anzi, i lampi restano di guerra.

Sul fronte della Striscia di Gaza, Trump preannuncia il sì di Israele a una tregua, in attesa, però, che Hamas si pronunci. La svolta potrebbe avvenire in coincidenza con l’incontro a Washington, lunedì 7 luglio, tra Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ma è già accaduto che i negoziati, mediati da Egitto e Qatar, arrivassero a un passo dall’intesa e poi tornassero alla casella di partenza.

Sul fronte dell’Ucraina, l’ultima novità è lo stop alla fornitura a Kiev d’armi e munizioni americane: non è chiaro che cosa ciò significhi, nel breve e nel medio termine, per le capacità di resistenza ucraine all’invasione russa.

Appare ormai evidente, però, che Trump non ha più, ammesso che l’abbia mai avuta, una strategia di pace complessiva. A menare le danze, sono Netanyahu in Medio Oriente e il presidente russo Vladimir Putin in Ucraina. A Washington, il magnate presidente procede a zig-zag e sposta sempre l’attenzione sul terreno a lui più congeniale: quando sale la temperatura delle proteste all’interno, bombarda l’Iran; quando si scopre impastoiato nei contenziosi internazionali, punta i riflettori sull’economia e sui dazi – è imminente la scadenza del 9 luglio, quando la tregua unilateralmente dichiarata il 9 aprile dovrebbe scadere, con la Cina, l’Ue, il Giappone e l’Universo Mondo -..

Le guerre che dovevano cessare in un giorno dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca vanno avanti e, anzi, si allargano. Ma, sui fronti interni, l’Amministrazione Trump 2 colleziona vittorie, legislative, giudiziarie, nella caccia ai migranti da deportare. Atenei, media, studi legali s’arrendono alle soperchierie nel timore di conseguenze peggiori.

Guerre: Gaza, Israele dice sì a tregua, Hamas deve rispondere, massacro continua
250529 - guerre - Gaza
Scena di vita quotidiana a Gaza (Fonte: Euronews)

Secondo Trump, Israele accetta le sue condizioni per una tregua di 60 giorni a Gaza, che comporta il rilascio di tutti gli ostaggi catturati il 7 ottobre 2023 e non ancora resi alle loro famiglie (si pensa che siano una cinquantina degli oltre 250 presi, di cui solo una ventina in vita).

Il presidente sollecita Hamas ad avallare l’accordo, “prima che le condizioni diventino peggiori”. L’annuncio fa seguito a contatti nella capitale Usa fra esponenti dell’Amministrazione Trump 2 ed emissari israeliani.

Israele, intanto, non allenta la pressione sui palestinesi nella Striscia: ordina evacuazioni di massa dal nord, dove pianifica di espandere le operazioni militari. Le fonti sanitarie locali segnalano decine di vittime, nelle code per gli aiuti o in strutture che ospitano sfollati, in scuole o in ospedali. Domenica, c’è stata la cosiddetta ‘strage dell’internet caffè’ sul mare, un locale abitualmente frequentato dai giornalisti (decine i morti); e fra lunedì e martedì, si sono contati oltre cento morti. E testimoni riferiscono di spari di Hamas sui manifestanti che protestano contro le scelte dell’organizzazione terroristica.

Il magnate presidente resta, però, ottimista e sostiene di lavorare ad un allargamento degli Accordi di Abramo, che comporterebbe un coinvolgimento di alcuni Stati arabi nella gestione della Striscia dopo la fine delle operazioni militari israeliane – resta tutto molto fluido e indeterminato –.

Lunedì, Trump ha pure firmato l’ordine esecutivo che rimuove le sanzioni alla Siria e ‘sdogana’, dunque, il nuovo regime siriano, pur esercitato da ex ‘tagliagole’ dell’Isis. La decisione è maturata in tempi piuttosto rapidi, dopo il cambio di regime a Damasco del dicembre scorso, e mira – citiamo la Casa Bianca – “a sostenere il Paese nel percorso verso la stabilità e la pace”. Che questo fosse l’orientamento degli Usa s’era capito quando Trump, in missione in Arabia saudita a metà maggio, aveva incontrato il nuovo ‘uomo forte’ siriano Ahmed al-Sharaa. Restano le sanzioni ‘personali’ contro il deposto presidente siriano Bashar al-Assad, nel frattempo riparato a Mosca, e il suo staff.

Guerre: Iran, incertezze su sviluppi dopo ‘guerra 12 giorni’
250619 - Israele - Iran - guerra
Israeli air defense systems fire to intercept missiles during an Iranian attack over Tel Aviv early Wednesday (Reuters)

In Iran, centinaia di migliaia di persone hanno partecipato, nel fine settimana, ai funerali di massa per i comandanti militari e gli scienziati nucleari vittime del conflitto con Israele. Lo stato dell’arte dei programmi nucleari iraniani resta incerto: Trump ripete che sono stati “obliterati” dalle bombe ‘bunker buster’ americane e smentisce indiscrezioni giornalistiche su concessioni finanziarie prospettate al regime teocratico per un’intesa negoziale.

Per il Washington Post, dopo l’attacco Usa tra il 21 e il 22 giugno agli impianti nucleari iraniani, “ci sono più ragioni di temere un conflitto atomico”. L’intelligence ha intercettato una conversazione fra due esponenti iraniani, nella quale si dice che l’azione americana ha avuto “un effetto meno devastante del temuto”. Non è però chiara l’attendibilità dell’informazione, che potrebbe anche essere un tentativo di disinformazione. La Casa Bianca ne sminuisce il significato.

Secondo la Cnn, la notte tra il 21 e il 22 giugno le forze Usa non hanno usatole cosiddette bombe ‘bunker buster’ su Isfahan, uno dei tre impianti nucleari iraniani bombardati, perché la struttura ha un livello di profondità tale che quegli ordigni sarebbero risultati inefficaci. Gli esperti statunitensi ritengono che nel sito si trovino circa il 60% delle scorte di uranio arricchito iraniane.

L’Iran ha intanto deciso, con legge approvata dal suo Parlamento, si non permettere più all’Aiea, l’agenzia dell’Onu per l’energia atomica, di visitare i suoi impianti nucleari e di installarvi telecamere. Il provvedimento è stato adottato dopo che Teheran aveva ripetutamente criticato l’Aiea per le osservazioni mosse ai suoi programmi nucleari che avevano in qualche misura innescato l’attacco israeliano. E sempre l’Iran esclude “una rapida ripresa” dei negoziati nucleari con gli Usa e/o altri.

Guerre: Ucraina, stop a forniture di armi e munizioni dagli Stati Uniti
250312 - guerre - Ucraina - manifestanti
Manifestazione pro – Ucraina (Fonte: Euronews)

Washington non manderà più all’Ucraina armi e munizioni promesse a Kiev dall’Amministrazione Biden, come effetto di una revisione dell’assistenza militare internazionale condotta dal Pentagono. Lo stop all’invio “riflette le nuove priorità dell’Amministrazione Trump 2”: “La decisione è stata presa per mettere al primo posto gli interessi americani, nell’ambito d’una revisione dell’assistenza militare fornita ad altri Paesi in tutto il Mondo”, spiega la Casa Bianca.

In Ucraina, le ipotesi di tregua non paiono attuali: da Mosca e da Kiev, vengono solo atti di guerra. Si combatte sul terreno, dove le forze russe avanzano verso Sumi -, si attacca dal cielo con droni e missili; e si ricorre alle mine anti-uomo, nonostante siano proibite dal diritto internazionale.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato il decreto che rende effettiva la decisione del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale di ritirare Kiev dalla Convenzione di Ottawa, il trattato internazionale che proibisce l’uso, lo stoccaggio e la produzione di mine anti-uomo. Via libera, dunque, a sotterrare mine per decimare i nemici di oggi e i civili di domani.

La Russia ha compiuto, tra sabato e domenica, l’attacco aereo notturno più massiccio di sempre sulle città ucraine. La prospettiva di un terzo incontro negoziale russo-ucraino resta incerta, mentre c’è stata, martedì, una lunga, ma non conclusiva, conversazione telefonica tra Putin e il presidente francese Emmanuel Macron: la prima in oltre tre anni.

Putin trova modo di rinsaldare il rapporto di fiducia con Trump adeguandosi all’adulazione europea e lo definisce “uomo coraggioso che cerca seriamente la soluzione del conflitto” – tradotto, che gli lascia fare quel che vuole -. Il leader russo esclude che la Russia sia una minaccia per la Nato.

Trump 2: la legge “grande e bella” una maledizione politica per i repubblicani?

Negli Stati Uniti, le guerre fanno meno titolo dell’approvazione, da parte del Senato, martedì notte, della legge finanziaria “grande e bella”, voluta e così definita dal presidente Trump: il voto è stato drammatico – “turbolento”, riferiscono i giornali -, con il Senato spaccato a metà, 50 sì e 50 no. Decisivo per rompere lo stallo è stato il sì del presidente del Senato, il vice-presidente J.D. Vance: evento non eccezionale e previsto nell’ordinamento statunitense.

La legge rende permanenti diversi sgravi fiscali pro-ricchi e introduce la detassazione delle mance per chi lavora nella ristorazione e nel turismo o anche nei casinò di Las Vegas; e comporta tagli delle spese per i programmi a favore dei meno abbienti, specie nella sanità. Fra gli effetti previsti, un aggravio del debito federale superiore ai tremila miliardi di dollari, nell’arco di dieci anni, e fino a dieci milioni di cittadini americani in più senza alcuna copertura sanitaria.

Tre dei 53 senatori repubblicani hanno votato no: Thom Tillis della North Carolina, Susan Collins del Maine e il libertario e Rand Paul del Kentucky. Tillis ha già annunciato che lascerà la politica alla scadenza del suo mandato, l’anno prossimo: non si ricandiderà. Farlo, sarebbe inutile, perché, per ‘farlo fuori’, Trump gli avrebbe messo contro, nelle primarie, un suo scagnozzo.

Siccome la versione della legge approvata dal Senato è diversa da quella già votata dalla Camera, il provvedimento è ora tornato alla Camera, impegnata, per parte repubblicana, in una corsa contro il tempo per vararla entro il 4 Luglio, come chiede Trump (in realtà, non c’è nessuna reale scadenza).

Per il New York Times, i repubblicani “mettono in gioco con questa legge il loro destino politico e la loro sopravvivenza”. E, in un’analisi, il Financial Times considera la legge “grande e bella” “una maledizione politica” per i repubblicani. Sembrano più auspici democratici che analisi razionali: difficile che il ‘popolo di Trump’, che se ne beve le fandonie più palesi, si metta ad analizzare in dettaglio i contenti della legge finanziaria.

Trump 2: tensioni con Musk e accordo con Cbs

In una giornata ricca di risvolti politici negli Stati Uniti, c’è da segnalare un ritorno di fiamma delle tensioni tra Trump ed Elon Musk, che criticare di nuovo la legge “grande e bella” e prospetta la creazione di un nuovo partito politico alternativo ai repubblicani. Trump replica rimettendo in discussione i rapporti dell’Amministrazione pubblica con le aziende di Musk e minacciandolo di deportazione – Musk è immigrato dal SudAfrica, ma è ora cittadino Usa -.

 

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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