Israele – Iran – Il bombardamento statunitense di tre siti nucleari iraniani, la notte tra sabato e domenica, ha portato indietro “solo di pochi mesi” il programma atomico iraniano, ma non l’ha annientato o “obliterato”, come aveva inizialmente affermato il presidente Usa Donald Trump. Un rapporto del Pentagono, destinato a rimanere segreto e ovviamente contestato da Trump, riferisce che l’attacco con le bombe di profondità, che solo gli Usa hanno, ha distrutto gli ingressi di due dei tre siti, ma non ha distrutto gli ambienti sotterranei e ha anzi lasciato intatte le componenti essenziali del programma iraniano d’arricchimento dell’uranio.
Secondo la Defence Intelligency Agency, l’agenzia di intelligence del Pentagono, le prime stime avevano sopravvalutato i danni inferti. Come molti altri media, anche Fox News, conservatrice e vicina a Trump, titola sul rapporto del Pentagono, ma lo mette in positivo: “Le immagini dei satelliti mostrano prove irrefutabili dei danni inferti ai siti nucleari iraniani”.

Di fatto, il rapporto significa che l’Iran impiegherà più tempo per dotarsi dell’atomica, se davvero lo voleva e se lo vuole ancora fare, ma conserva la capacità di farlo. Il che, a parere di molti media Usa, rende “traballante” la tregua tra Israele e Iran annunciata da Trump e confermata, nonostante qualche esitazione e numerose violazioni, sia dal presidente iraniano Masoud Pezeshkian che dal premier israeliano Benjamin Netanyahu.
E “traballante” è pure considerata la leadership esercitata dagli Stati Uniti sull’Alleanza atlantica: l’accordo sull’aumento delle spese per la difesa dal 2 al 5% del Pil entro il 2035 (l’intesa prevede 3.5% di spese militari e 1,5% per la sicurezza) è un successo di Trump, al di là delle reticenze, che lo irritano, della Spagna, ma appare più una concessione che una convinzione. E sia la verifica dell’accordo, al 2029, che l’attuazione, al 2035, vanno oltre i mandati di tutti gli attuali leader Nato. Quindi, il rispetto dell’impegno non sarà loro responsabilità. Senza contare che l’intesa non è sufficiente a garantire agli alleati europei degli Stati Uniti maggiore sicurezza, fin quando l’interlocutore è Trump.
Israele-Iran: la controversa accettazione del ‘cessate-il-fuoco’
Ieri, a sperimentare l’ira del magnate presidente, è stato l’israeliano Netanyahu, non convinto dell’opportunità del cessate-il-fuoco con l’Iran. Secondo fonti anonime citate dalla Ap, Trump, durante una telefonata concitata, ha chiarito a Netanyahu che era ora di cessare la guerra e di tornare alla diplomazia e che gli Stati Uniti non avrebbero più compiuto azioni offensive contro l’Iran.
In precedenza, Trump aveva definito “ridicolo” l’atteggiamento di Israele e Iran, che continuavano ad accusarsi a vicenda di violazioni della tregua, e aveva detto che i due Paesi dovevano “calmarsi”, ammettendo di essere “irritato” dalla situazione venutasi a creare – in realtà, creata da lui stesso -.
Dopo la conversazione con Trump, Netenyahu s’è impegnato a sospendere gli attacchi e a rispettare la tregua, dichiarando di avere raggiunto i propri obiettivi – il che non è vero, stando al rapporto dell’intelligence militare statunitense -. Lo stesso s’è poi impegnato a fare Pezeshkian, annunciando “la fine della guerra dei 12 giorni” e mutuando la formula di Trump..
Un sondaggio condotto dal Washington Post mostra che una maggioranza di elettori americani resta contraria all’attacco all’Iran pero – Israele nella notte tra sabato e domenica, ma che la percentuale dei favorevoli fra i sostenitori di Trump è in aumento.
Nato: l’accordo sull’aumento delle spese per la difesa

Al vertice della Nato che si chiude oggi e dove ieri Trump è giunto giusto in tempo per la cena data ai suoi ospiti dal re d’Olanda Willelm-Alexander, sono tutti d’accordo, con dei distinguo da Spagna e anche Slovacchia: la spesa per la difesa dei Paesi dell’Alleanza deve salire dal 2 al 5% del Pil, come chiede il magnate presidente.
L’Ucraina, invece, è motivo di divisione: i Paesi dell’Ue vogliono dare sostegno militare a Kiev, Trump è propenso al dialogo con il presidente russo Vladimir Putin. Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky potrebbero oggi incontrarsi, per parlare di sanzioni alla Russia e di sostegno all’Ucraina.
Fra le richieste di Zelensky ci sono l’ingresso nella Nato e la fornitura di armi. Il segretario generale della Nato Mark Rutte dice: “Abbiamo ragione di pensare che nel 2025 ci saranno più aiuti militari dell’anno scorso, oltre 50 miliardi”. Al fianco di Zelensky ci sono Regno Unito, Francia e Germania, i cui leader si sono visti all’Aia prima dell’inizio del Vertice.
L’Europa affianca il riarmo alla diplomazia, timorosa che Putin sia alle porte. “La Russia potrà mettere alla prova i nostri impegni di difesa nei prossimi cinque anni”, dice Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, parlando all’Aja. Per il cancelliere tedesco Friedrich Merz, “dobbiamo temere che la Russia voglia continuare la guerra oltre l’Ucraina”. E Merz promette “l’esercito convenzionale più forte d’Europa”.
(1) Oggi le circostanze ucraine hanno aiutato ad individuarlo nella Russia di Putin, e già qui con molti distinguo, ma fra dieci anni? Se il nemico fosse un altro? Quanti oggi con il sovranismo montante sono pronti a scommettere sulla solidità del patto di sostegno reciproco costituente il motivo che, in altri tempi e circostanze, ha portato alla fondazione dell’Alleanza Atlantica? Il fatto è che i corretti investimenti per la difesa dovrebbero essere indirizzati ad eliminare le cause delle ingiustizie che provocano le guerre (vignetta e dida di Gianfranco Uber).