I leader del G7 esprimono sostegno all’Ucraina, tramite il presidente di turno, il premier canadese Mark Carney, ma non pubblicano un documento condiviso. Intanto, il presidente Donald Trump, che aveva lasciato il Vertice dopo la prima giornata, valuta se attaccare l’Iran e intima al regime degli ayatollah, tutto maiuscolo, sul suo social Truth, “RESA INCONDIZIONATA”.
Facendo la sintesi dei lavori del Vertice del G7, conclusosi ieri sera a Kananaskis (Alberta, Canada), quando in Italia era notte fonda, il premier Carney ha letto: i leader dei Sette Grandi “hanno espresso sostegno agli sforzi del presidente Trump per raggiungere una pace giusta e duratura in Ucraina. Hanno riconosciuto che l’Ucraina si è impegnata a un cessate-il-fuoco incondizionato e hanno concordato che la Russia debba fare altrettanto. Essi intendono esplorare tutte le opzioni per massimizzare la pressione sulla Russia, comprese le sanzioni finanziarie”.

E ancora: “Il G7 ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy e il segretario generale della Nato Mark Rutte per discutere il sostegno a un’Ucraina forte e sovrana, inclusi il sostegno al budget per la difesa, la ripresa e la ricostruzione”. Trump, partito prima, non ha visto né Zelensky né Rutte.
Secondo fonti mediatiche concordi, i leader dei Grandi non sono però riusciti a tradurre queste linee guida, che pure si aprono con un appoggio all’azione di pace di Trump – per altro, finora sterile e attualmente ferma -, in un testo comune per la ritrosia degli Usa. L’assenza del magnate presidente a buona parte del Vertice ha ridotto l’incisività e la rilevanza di molte conclusioni. E, a margine del G7, Usa e Ue non sono addivenuti a un’intesa sui dazi: Washington respinge l’offerta di Bruxelles di dazi al 10% su tutto l’export europeo verso gli Stati Uniti.
G7: dichiarazioni a Vertice concluso

Nella conferenza stampa di fine Vertice, Carney, ha glissato sulle domande dei giornalisti sul no degli Usa a una dichiarazione pro Ucraina: ha risposto, in inglese e in francese, “nessun problema” con il presidente Trump. “Si sono verificati eventi tragici in Medio Oriente ed era più importante per il G7 avere una dichiarazione sulla situazione in Iran” – quella di ieri -.
L’importanza attribuita dai Sette Grandi alla guerra tra Israele e Iran è testimoniata da quanto detto dal cancelliere tedesco Friedrich Merz: Israele “sta facendo il lavoro sporco per tutti noi” in Iran – parole che riflettono un diffuso ‘giustificazionismo’ dell’aggressione di Israele all’Iran, nonostante l’intelligence non confermi l’imminenza della minaccia nucleare iraniana -. Il presidente francese Emmanuel Macron, che non commenta le parole scortesi nei suoi confronti del presidente Trump, avverte che un cambio di regime violento a Teheran potrebbe innescare “il caos”.
Carney ha pure annunciato ulteriori passi dei Sette Grandi contro la Russia, fra cui nuove sanzioni canadesi ed europee – ma non statunitensi -. Nei confronti del presidente russo Vladimir Putin, è evidente la differenza di atteggiamento di Trump, che ne lamenta l’assenza al tavolo del G7, che avrebbe dovuto rimanere un G8, e che lo indica come mediatore tra Israele e Iran.
In proposito, il New York Times segnala che Mosca condanna l’attacco di Israele all’Iran, ma, parole a parte, “è scomparsa” dalla scena mediorientale, nonostante i suoi stretti rapporti con Teheran. Nell’analisi delle fonti del giornale, Putin non vuole che l’Iran abbia l’atomica e vuole continuare a migliorare i rapporti con Trump e mantenere buone relazioni con altri suoi partner mediorientali, che l’hanno fin qui aiutata a sopravvivere alle sanzioni occidentali. Inoltre, la Russia sta beneficiando dell’aumento dei prezzi del petrolio conseguente alla crisi.
Gli analisti sono convinti che Putin non si farà coinvogere militarmente nel conflitto e non armerà l’Iran in modo aggressivo, in parte nel timore ‘ alienarsi gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Piuttosto, Putin si sta posizionando per essere rilevante nelle trattative per porre fine al conflitto: è un atteggiamento differente da quello tenuto dieci anni or sono in Siria, quando la Russia organizzò un intervento militare per sostenere il contestato regime del suo alleato Bashar al-Assad.
Israele – Iran: Pentagono rafforza presenza militare, mentre Trump considera opzioni

In Medio Oriente, il Pentagono continua a espandere la presenza militare, portaerei, aerei, uomini, in un’area dove gli Stati Uniti già dispongono di 40 mila effettivi, mentre Israele e Iran intrecciano attacchi reciproci senza sosta da cinque giorni. Il Washington Post rileva che, con Trump dalla sua, il premier israeliano Benjamin Netanyahu dispone “di una chiara egemonia” in tutta la Regione.
Trump, oltre a intimare all’Iran “resa incondizionata”, minaccia il leader supremo Ali Khamenei: dice di sapere “esattamente” dove si trova. “È un bersaglio facile, ma non abbiamo intenzione d’eliminarlo, almeno per ora”, afferma. Secondo suoi collaboratori, il magnate presidente sta seriamente considerando di entrare in guerra contro l’Iran.
Le sue frasi su Truth e ai giornalisti sono sintomatiche: “Abbiamo il controllo dello spazio aereo iraniano”, come se gli Stati Uniti fossero protagonisti delle operazioni nei cieli di Teheran. E’ opinione concorde, del resto, che Washington fornisca a Israele supporto d’intelligence e partecipi alla difesa aerea del territorio israeliano. Mentre una settimana fa Trump sembrava volere frenare Netanyahu, puntando a un accordo con l’Iran di desistenza dal nucleare, ora sembra volere ‘salire sul carro del vincitore’ e mettere il suo sigillo sulla vittoria israeliana.
Prima di parlare al telefono con Netanyahu a notte fonda, Trump aveva ricordato che solo gli Usa hanno bombe che possono colpire in profondità i laboratori e gli impianti nucleari iraniani. Israele, dal canto suo, ha annunciato di essere sul punto “di distruggere oltre 10 obiettivi nucleari e strategici a Teheran”. Da venerdì almeno 224 iraniani sono morti negli attacchi israeliani – secondo fonti dell’opposizione sarebbero almeno il doppio -, cui l’Iran ha risposto con oltre 370 missili e centinaia di droni su Israele, che hanno fatto 24 morti e oltre 500 feriti.
Per quanto riguarda la situazione interna iraniana, poco è dato di sapere per certo. Fonti dell’opposizione dicono che Khameney avrebbe trasferito parte dei suoi poteri ai pasdaran e starebbe cercando un salvacondotto per sé e la sua famiglia e ipotizzano un collasso del regime. Altri fanno rilevare che un Paese attaccato spesso consolida la coesione interna.