Un esercito di ‘volenterosi’ sulle panchine ai giardinetti, a sbirciare da lontano il cantiere della pace in Ucraina. Nelle ore cruciali delle trattative asimmetriche in Arabia saudita tra Usa, Ucraina e Russia, alla ricerca di una tregua nella guerra che va avanti da oltre tre anni, l’Amministrazione Usa non è mai stata così accomodante con la Russia – e così velenosa e scostante coi suoi (ex?) alleati -.
L’obiettivo dichiarato è un cessate-il-fuoco per Pasqua, che quest’anno cade per tutti il 20 aprile, cattolici e ortodossi: altre tre settimane abbondanti di bombe e combattimenti, di caduti al fronte e di morti ammazzati nelle città. Gran Bretagna, Francia, una trentina di Paesi offrono i loro servizi, per garantire il rispetto degli accordi che verranno e la sicurezza dell’Ucraina. Nè Usa né Russia paiono, per ora, interessati.

Ci sono i ‘niet’ del presidente russo Vladimir Putin. E ci sono le dichiarazioni di Donald Trump, che tesse soprattutto le lodi di se stesso: “Ho – dice – un buon rapporto con Putin e Zelensky – s’è visto!, il 28 febbraio nello Studio Ovale -… Nessun altro, a parte me, può fermare la guerra in Ucraina”. Trump è convinto che se fosse un democratico riceverebbe il Nobel per la Pace, una volta fatta l’intesa tra Mosca e Kiev. “Obama – dice – lo ottenne senza avere fatto niente”; e recrimina di non essere stato premiato in passato “per tre o quattro cose, tra cui gli accordi di Abramo”.
Il suo negoziatore Steve Witkoff, parlando con Tucker Carlson, giornalista troppo trumpiano anche per la Fox, riempie di complimenti Putin, che “è molto intelligente, non è una persona cattiva e non vuole conquistare tutto il Vecchio Continente”, dove lo scenario è “molto diverso da quello della Seconda guerra mondiale” e dove l’Ucraina è “un falso Paese”.

Quanto ai ‘volenterosi’, Witkoff li liquida in modo quasi sprezzante. La forza di pace internazionale, 30 mila uomini, che il premier britannico Keir Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron cercano di mettere insieme è frutto d’una visione “semplicistica”, è “una posa”: “In Europa tutti si atteggiano a Winston Churchill”. Del presidente ucrainlo Volodymyr Zelensky, Witkoff lascia intendere che la sua sorte è segnata: “In Ucraina, ci saranno nuove elezioni”.
Ucraina: Ue, la scelta del rinvio
Del resto, come essere presi sul serio se l’incertezza tra lampi di pace in Ucraina e fuochi di guerra in Medio Oriente e le divisioni sul piano “di riarmo” dell’Ue da 800 miliardi di euro hanno appena indotto i leader dei 27, riuniti a Bruxelles la scorsa settimana, alla scelta sempre loro più congeniale: il rinvio. Le decisioni sul piano “di riarmo”, ‘ribattezzato’ in tutta fretta ‘Readiness2030’ – desta meno ostilità, anche perché non si capisce cos’è -, restano congelate almeno fino al 26 e 27 giugno, quando tutti sperano che gli orizzonti internazionali si siano rischiarati e che l’urgenza si sia stemperata.
Un esercizio d’attendismo – e d’ottimismo – che stona con la drammaticità del momento, con l’Ue nella morsa tra la minaccia russa e l’ostilità degli Usa di Trump. Nelle conclusioni del vertice, resta la ribadita vicinanza europea all’Ucraina (neppure unanime, perché l’Ungheria si dissocia di nuovo dai partner). Ma, oggi, è un’affermazione retorica e sostanzialmente vuota.
In parallelo ai tentennamenti dei 27, vanno avanti i negoziati fra i ‘volenterosi’, una trentina di Paesi pronti a contribuire alla sicurezza dell’Ucraina e a garantire il rispetto delle condizioni della tregua che verrà: dopo quella di Londra il 20, hanno in programma un’altra riunione a Parigi giovedì 27.
Il presidente Macron sprona: “Dobbiamo mostrare d’essere decisi a sostenere la resistenza dell’Ucraina e dobbiamo essere pronti il giorno che verrà firmata la pace”. La premier italiana Giorgia Meloni ci sarà, ma lei gioca contro l’iniziativa: il suo ruolo è da piccola vedetta dell’Amministrazione Trump.
Una smentita cinese gela le speranze suscitate da un’indiscrezione tedesca, secondo cui diplomatici di Pechino a Bruxelles “stanno sondando il terreno” per capire se l’Ue auspichi “un coinvolgimento della Cina” fra i ‘volenterosi’. “La partecipazione cinese – commentano deluse fonti Ue – poteva dare forza al progetto e facilitare l’accettazione, da parte della Russia, di una presenza di truppe” di peacekeeping sul territorio ucraino.
Nella prospettiva del superamento della guerra, quel che più conta sono i negoziati nel triangolo Usa – Ucraina – Russia: obiettivo, trasformare la tregua molto ridotta e quasi impalpabile scaturita dalla telefonata di martedì 18 tra i presidenti Usa Trump e russo Putin in un cessate-il-fuoco più sostanzioso, di terra, di mare e di cielo.
Ucraina: una trattativa sbilenca
Quello a tre gambe, con l’Ue esclusa, è un tavolo di trattaiva sbilenco, che offre un’unica certezza, non essenziale ai fini dell’esito dei negoziati: l’Arabia saudita è tornata protagonista, il suo principe ereditario Mohammad bin Salman è di nuovo il punto di riferimento in Medio Oriente – e non solo – di Trump. Jamal Khashoggi, chi era costui?
Zelensky da Kiev chiosa: “Bisogna spingere Putin a fermare i raid aerei e a bloccare l’invasione… Chi ha scatenato questa guerra deve cancellarla”. Trump la mette sull’umanitario: “Voglio impedire che muoiano altri soldati, anche se non sono americani, perché tutto questo può portare alla terza guerra mondiale”.
L’Unione europea resta nell’ambiguità tra uno sforzo per aumentare le spese per la difesa, magari comprando più armi americane, così da venire incontro alle pretese di Trump, e un progetto, ambizioso, ma vago, di difesa europea utopico a 27 e senza l’abbandono del vincolo dell’unanimità sulla politica estera e di sicurezza.
I commenti al vertice di Bruxelles non sono lusinghieri. Politico contrappone i “giochi sporchi”, o “giochetti”, dell’Ue ai “giochi di guerra in Europa” e si fa un po’ beffe dell’improvvisa fretta di fare dell’Unione “una super-potenza militare”: i leader dei 27, che volevano accelerare le spese militari, dare sostegno all’Ucraina, stimolare la competitività, discutere di Medio Oriente e d’immigrazione, sono tornati a casa con un sacchetto di parole.
Le Monde rileva che il dibattito sul piano presentato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen s’è focalizzato più sulle modalità di finanziamento che sulla destinazione degli investimenti: “Gli animi dei leader dei 27 si agitano sulla prospettiva di un nuovo grande prestito comune”, di dimensioni più ridotte – 150 miliardi di euro -, ma concettualmente simile, a quel NextGenEu con cui l’Ue uscì dalla pandemia.