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Gaza e non solo, quando l’uomo più potente al Mondo è un immobiliarista spregiudicato

Scritto l'11/02/2025 per Toscana Oggi uscito il 13/02/2024 in data 16/02/2025

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Sarà pure il presidente degli Stati Uniti, ma Donald Trump tratta gli affari del Mondo con lo spirito dell’imprenditore immobiliare. La Striscia di Gaza è un terreno devastato, che costa poco acquisire con tutte quegli edifici distrutti e le macerie da smaltire: espelli gli abitanti, ridotti alla disperazione; bonifichi, valorizzi, ne fai “la Riviera del Medio Oriente”; e poi sfrutti o rivendi. Un affarone!

E che accade degli oltre due milioni di palestinesi cacciati? Qualcuno che se li prenda lo trovi: basta minacciare di tagliare gli aiuti ai Paesi che non ci stanno, tipo Egitto e Giordania – re Abdallah II se l’è sentito dire di persona, nello Studio Ovale, martedì 11 -. E che nessuno si faccia illusioni: non sarà un trasferimento momentaneo; loro lì non ci devono più tornare.

Con il passare dei giorni e il succedersi delle dichiarazioni, appare sempre più chiaro che il disegno di Trump per Gaza non è un piano per avvicinare la pace tra israeliani e palestinesi, ma al contrario è un piano per fare fallire la tregua in atto e ripiombare la Striscia nella guerra. Che è proprio quanto sta avvenendo.

Per Trump, Gaza “è l’ultimo obiettivo del destino manifesto degli Stati Uniti”, dopo i proclami d’annessione del Canada, d’acquisizione della Groenlandia, di controllo sul Canale di Panama. Per Ishaan Tharoor del Washington Post, il futuro della Striscia s’inserisce nel disegno neo-imperialista del magnate presidente.

Se Trump gioca al risiko dell’immobiliarista, il suo sodale Elon Musk rende più efficiente l’Amministrazione americana con i metodi a suo tempo usati per trasformare Twitter (una macchina per soldi abbastanza rispettosa della verità) in X (una macchina per soldi che fa fango): licenzia quanti assicurano la qualità del prodotto e mantiene quelli che servono alla redditività. Solo che l’Amministrazione pubblica non deve rendere ricco chi la gestisce, ma offrire servizi ai cittadini.

Gaza: un piano che suscita “una furia globale”
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Palestinesi nella Striscia di Gaza (Fonte: Awaaz)

Il piano di Trump per Gaza, che suscita “una furia globale” – l’immagine è di Politico –, è soltanto una delle tante iniziative controverse delle prime quattro settimane alla Casa Bianca del Trump 2, insieme alla guerra dei dazi, che procede a strappi – l’ultimo sussulto, un 25% di dazi sull’import d’acciaio e alluminio da ogni Paese -; alla deportazione dei migranti senza documenti nella prigione a cielo aperto di Guantanamo o in Paesi terzi; alla negazione dei diritti di genere ed all’abbandono del contrasto alle discriminazioni; alle purghe, agli scivoli e ai licenziamenti di decine e forse centinaia di migliaia di dipendenti pubblici, con lo smantellamento di intere agenzie federali, come quella per lo sviluppo, la USAid.

L’idea del presidente, accompagnata da sanzioni contro la Corte penale internazionale, che persegue i crimini di guerra di Israele, suscita indignazione nei Paesi arabi e in capitali europee “chiave” – soprattutto a Londra, Parigi, Berlino e Madrid – ed è “pericolosa”: compromette la tregua in atto, non solo le prospettive (già tenui) di una pace duratura.

L’Arabia Saudita, principale interlocutore degli Usa nel Mondo arabo, esclude una normalizzazione delle relazioni con Israele senza la creazione di uno Stato palestinese: un ostacolo, anzi un macigno, sulla via della ripresa dell’attuazione degli accordi di Abramo cui Trump tiene molto, perché né Stati Uniti né Israele vogliono la soluzione dei due Stati. Ne nasce un intreccio di provocazioni: Israele ipotizza uno Stato palestinese nel deserto saudita; e Teheran, che ritrova una sintonia con Riad, suggerisce che gli israeliani vadano a installarsi in Groenlandia.

Ovviamente, ci vuole altro per smontare la strategia declaratoria del presidente Trump, convinto che, a forza di ripeterle, le cose diventano vere anche quando sono palesemente false. Commentando le prese di posizione mediorientali e le oscillazioni sui dazi – messi, sospesi e rimessi -, la Cnn scrive: “Bisogna ricordare due cose, della presidenza Trump: la prima, che per lui conta apparire duro; la seconda, che nulla è davvero come sembra (e come viene detto)”.

Vale pure per l’Ucraina: Trump dice: “Abbiamo colloqui costruttivi… Parliamo con i russi e gli ucraini…”. Ma, in realtà, il recente baratto proposto a Kiev – 500 miliardi di dollari in terre rare per rimborsare gli aiuti – ha il qualche misura irrigidito la posizione russa, mentre, sul terreno, l’invasione avanza e i bombardamenti notturni continuano.

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Donald Trump (Fopnte: France 24)

L’Ap racconta che il piano di Trump ha lasciato “tutti basiti” in Medio Oriente; e passa in rassegna “i principali ostacoli” per cui non solo non può funzionare, ma può addirittura frenare, come sta realmente avvenendo, la liberazione degli ostaggi prevista dall’intesa tra Israele e Hamas in vigore dal 20 gennaio. Le sole reazioni positive sono quelle dell’estrema destra religiosa israeliana, che vuole riprendere il controllo della Striscia di Gaza – ancora meglio se svuotata, oltre che di Hamas, anche dei palestinesi – e pure della Giudea e della Samaria, cioè della Cisgiordania.

Il New York Times ricostruisce come ‘Trump abbia sorpreso “tutti su Gaza, dall”entourage a Bibi”, il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il giornale, citando varie fonti, rivela dei retroscena: l’annuncio sembrava formale e ponderato (nella conferenza stampa del 20 gennaio, il presidente aveva letto il suo piano da un foglio di carta), ma, in realtà, il suo staff non aveva potuto fare nemmeno “la pianificazione più elementare” per vagliare la fattibilità dell”idea. A Netanyahu, Trump avrebbe comunicato le sue intenzioni solo poco prima della conferenza stampa congiunta.

All’interno dell’Amministrazione, inoltre, non c’erano stati incontri con il Dipartimento di Stato e con il Pentagono, come normalmente accade per qualsiasi seria proposta di politica estera; e non c”erano stati gruppi di lavoro. Il Dipartimento della Difesa non aveva prodotto stime sul numero delle truppe eventualmente necessarie – Trump non ne esclude l’impiego -, o previsioni sui costi, o una bozza delle mosse da fare.

Passata la sorpresa, Netanyahu ha ben presto capito che la proposta di Trump, nella sua assurdità, è un’ancora di salvezza per il suo governo, che sta in piedi con la guerra, non con la pace: incattivisce i palestinesi, esaspera gli arabi, spiazza e potenzialmente divide gli occidentali; e se la tregua salta e il conflitto riprende, la maggioranza dietro al premier si ricompatta. Certo, le famiglie degli ostaggi strepitano, ma ne restano ‘solo’ un’ottantina, di cui una cinquantina dati per morti: il governo può reggerne la pressione.

Hamas accusa Israele di violare il cessate-il-fuoco e d’eludere le trattative a Doha sulla seconda fase che dovrebbe partire ai primi di marzo, E decide di sospendere la liberazione dei tre ostaggi prevista per sabato (in cambio della scarcerazione di un centinaio di detenuti palestinesi). Israele, che sta facendo melina al tavolo dei negoziati, coglie la palla al balzo: manda rinforzi alle truppe ancora schierate a Gaza, “per missioni difensive” viene specificato. “E’ stato deciso – spiega l’esercito – d’aumentare il livello di prontezza e posticipare il congedo di soldati combattenti e unità operative nel Comando meridionale”.

Le sceneggiate di Hamas al momento della liberazione degli ostaggi e lo stato di salute precario, oltre che i racconti raccapriccianti, dei tre uomini liberati sabato scorso peggiorano il contesto.

E Trump getta benzina sul fuoco: il suo piano comporta “la proprietà Usa” su un territorio sconvolto da 470 giorni di guerra e oltre 48 mila morti. I palestinesi non torneranno “perché staranno meglio” dove saranno – e, comunque, ci vorranno anni per rimuovere le macerie e ricostruire -. Il presidente neppure considera i rilievi giuridici delle Nazioni Unite, che evocano, come altri nel Mondo, scenari di “pulizia etnica” e palesi violazioni del diritto internazionale.

Vale pure per i dazi imposti e levati e poi re-imposti (del 25% su acciaio e alluminio da ogni dove), che segnano il ritorno al protezionismo che fa binomio con imperialismo. Un quadro da Anni Trenta del XX Secolo: un viatico per la guerra, altroché la pace.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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