In passato ci sono stati momenti in cui un frammento televisivo di particolare qualità ha ricevuto una doverosa attenzione in queste nostre riflessioni dedicate alla rappresentazione della commedia umana.
È capitato per la puntata sull’Inferno di Aldo Cazzullo su La 7. È capitato per le diverse Italie che la Rai racconta. È capitato per il format televisivo dell’apertura delle Olimpiadi a Parigi. Ed è anche capitato per il ritorno dopo 40 anni di E la nave va di Federico Fellini in televisione.
Oggi gli accenni sono fatti a due programmi televisivi, entrambi su La 7, a poca di distanza di giorni in quest’ultima settimana, dedicati ad opere altissime dell’arte e della cultura.
Mi riferisco alla Nona Sinfonia di Beethoven, nell’indagine di Corrado Augias.
E a ruota mi riferisco alla Pietà di Michelangelo (fonte di una catena di rimandi artistici e spirituali dei grandi del Rinascimento italiano) nella lettura dal vivo, in teatro, a ritmo teso di Vittorio Sgarbi. Ludwig van Beethoven – Michelangelo Buonarroti
La Nona Sinfonia nella Torre di Babele
Il primo episodio ha avuto come contesto l’anno del bicentenario della più celebre composizione di musica classica della storia, la Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven, nella pregevole puntata televisiva di Corrado Augias di lunedì 16 settembre 2024.
Il programma su La 7 che si intitola La Torre di Babele, è di un giornalista evergreen, un giornalista di vaglia come Augias, trasmigrato dalla Rai e con storico approccio alla connessione tra politica e cultura.
La Torre di Babele potrebbe essere in fondo anche il titolo di questa nostra rubrica.
Linguaggi, rappresentazioni, oggetti del dibattito pubblico tra spiegazioni, incomprensioni e conflitti.
Innanzi tutto, ottime le interviste che hanno costruito alcune sponde basilari alla narrazione dello stesso Augias. Che si intende di musica ma che questa volta esprimeva una rispettabile soggezione nei confronti della potenza narrativa e simbolica di quest’opera, restando misurato e a volte elegantemente confinato rispetto alle tante cose interessanti dette dagli intervistati.
Ha primeggiato in studio il maestro Michele Dall’Ongaro, musicologo, compositore e conduttore radiofonico su Rai3. Dal 2015 presidente dell’Accademia di Santa Cecilia.
Pacate parole le sue per annodare la chiave musicale e quella civile dell’ultima composizione in vita di quel genio tedesco ed europeo che fu Beethoven, con i piedi nel Settecento, la passione nell’ Ottocento, per metà della sua limitata vita sordo e quindi obbligato a far risuonare la musica dentro di sé. E poi gli inserti a tu per tu e nelle prove d’orchestra di Daniele Gatti, con i tratti pedagogici al piano che mi hanno ricordato le affabilità di Roman Vlad, essendo comunque oggi il maestro Gatti tra i direttori d’orchestra più disputati dai maggiori teatri europei.
Wim Wenders e la questione tedesca
Il tempo due del programma, grazie al regista tedesco Wim Wenders e alle contestualizzazioni sulla questione tedesca di Tonia Mastrobuoni corrispondente da Berlino di Repubblica, è stato giustamente dedicato al passaggio dalla musica alla politica. E quindi dai valori simbolici dell’Inno alla Gioia all’interpretazione di ciò che, nel cuore di quell’opera e al tempo stesso nel cuore dell’Europa, ci interroga. Oggi ad un punto, diciamo la verità, drammatico della sua evoluzione. Cioè, l’Europa pressoché fermata e comunque dilaniata rispetto alla possibilità di considerare sé stessa, per tutti gli europei, come una naturale soluzione rispetto al vissuto di due millenni di guerre fratricide e per gli ultimi secoli rispetto a bellicosi nazionalismi. Nazionalismi che hanno perpetrato un immenso e prolungato conflitto tra la violenza di Stato e la filosofia della Libertà.
Freude, schöner Götterfunken, “Gioia bella scintilla divina”. Quella Gioia che Leonard Bernstein rimaneggiò a Berlino nel Natale del 1989, dunque per festeggiare la caduta del Muro di pochi giorni prima, sostituendo la parola Freude (Gioia) con la parola Freiheit (Libertà). Augias ha creato le condizioni per far comprendere quello che Wim Wenders ha esposto nella sua intervista, parlando di “pilastri emotivi”.
Corrado Augias e la saldatura di due passioni, la musica e la politica
Pilastri emotivi come quello rappresentato dalla Nona Sinfonia – che non va dimenticato, non è solo l’Inno adottato ufficialmente dall’Unione Europa dal 1985, è anche uno spartito e un testo dichiarati dall’Unesco “memoria del mondo”, una sorta di riabilitazione definitiva, in avvio del XXI secolo, per la Germania.
Dunque, pilastri emotivi che ora servirebbero molto, con il coinvolgimento di tutte le culture complementari di una Europa che è arrivata a considerare come patrimonio comune ciò che per molto tempo è stato patrimonio divisivo. Nessuno oggi potrebbe attribuire veramente Chopin alla sola Polonia, paese in cui è nato. E lo stesso vale per Shakespeare, Picasso, Dante, Voltaire, Kant. E mille altre grandi voci che possono trovare la forma di essere un potente antidoto al ripiegamento nazionalistico che l’urto della globalizzazione ma anche la pochezza di un certo ceto politico ha messo in campo per fermare il processo di fratellanza di cui proprio la Nona sinfonia di Beethoven è il paradigma forse più alto.
Ecco la saldatura delle due passioni dello stesso Augias, la musica e la politica. Ed ecco la prova che si può fare televisione di qualità senza togliere un grammo alla tecnica artistica e senza fare del messaggio civile una minestra retorica o una insopportabile propaganda.
Un appunto solo sull’intervista a Wim Wenders vorrei fare, che non toglie nulla al ruolo intellettuale e poetico di questo grande autore e produttore. Non mi è parsa solo una questione di tono di voce. Ho letto una certa rassegnazione sulla mancata evoluzione culturale e integrata dell’Europa. È il pensiero di tanti, naturalmente, per quel poco che conta anche il mio. Ma colpiva un po’ la forza del maestro Dall’Ongaro di leggere nella musica l’energia vivificante dei nostri grandi sentimenti civili e di avvertire in Wim Wenders una sorta di sentimento di sconfitta degli operatori culturali del nostro tempo. Diciamo, da parte dell’autore del programma, magari un’astuzia provocante.
Le competenze di secondo rango assegnate alla cultura nella nuova Commissione europea
Intanto potremmo dire, partendo da notizie del giorno, che le competenze assegnate dalla presidente Ursula von der Leyen mettono la parola “Cultura” in evidente secondo rango – secondo per linea strategica dei dossier assegnati e più che secondo rango per rilievo del commissario – cioè, dopo il tema “Equità intergenerazionale” e altre cose del genere, affidata ad un funzionario maltese Glenn Micaleff, elevato ora a rango politico, che per il momento non brilla per statura da protagonista. Il contesto peggiora le cose. La competenza “Educazione” è del tutto saltata, sostituita da “Skills e preparazione” (cioè, diciamo tecniche educative) che è la materia assegnata alla commissaria rumena Roxana Minzatu. È esagerato dire che non si vede annunciata la battaglia culturale come strategica per il futuro dell’Europa?
Sgarbi e la Pietà di Michelangelo. Un altro uso della televisione per raccontare tanti nessi e tasselli
Il secondo episodio ha riguardato, anch’esso in onda in seconda serata sulla 7, mercoledì 18 settembre 2024, la ripresa televisiva dal Teatro Sociale di Sondrio dedicata a Michelangelo e, in partenza, alla sua Pietà, databile tra il 1497 e il 1499, considerata il primo capolavoro dell’artista, allora poco più che ventenne, nonché una delle maggiori opere d’arte che l’Occidente abbia mai prodotto. Uno Sgarbi accuratamente ripulito da qualunque sfrenatezza e talvolta volgarità delle sue risse politiche televisive e restituito all’autorevolezza creativa dello studioso o, meglio, dell’interprete dei nessi tra arte e arte, tra arte e storia, tra arte e filosofia, tra arte e religione. Sgarbi, due facce ben contrastanti dell’uso che un intellettuale può fare della televisione oggi. Addirittura, strabiliante – nel commento a un centinaio di immagini, quasi tutte celebri – la tessitura dei rimandi tra invenzioni e trasformazioni dei più grandi artisti della storia (oltre a Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Piero della Francesca, Masaccio, Caravaggio e molti altri), scoprendo le trame delle reciproche influenze e ancor di più l’intreccio profondo tra la pittura e la scultura. Scovando non solo le influenze ma il senso filosofico del rimando tra due culture artistiche così diverse e così interdipendenti.
Pur nella cornice di un suo pensiero sul primato della civiltà cristiana, che obbliga anche a dire che c’è un pluralismo di tesi diverse e persino opposte al riguardo e che attribuire ai cristiani solo virtù d’amore per gli altri è quantomeno irrealistico, tuttavia la lettura sulla dimensione alta e spirituale dei grandi artisti ha anch’essa la sua verità. Così che la tensione narrativa del programma è – come quello dedicato alla grande musica – nel cogliere e spiegare le infinite sfumature di senso estetico che rendono quei sommi artisti non tanto indiscussi nei primati tecnici ma grandi nel partorire pensiero sull’evoluzione stessa dei processi di civilizzazione.
Non mi dilungo sui tasselli della dissertazione. Condotta con forza concettuale ma anche con narrative semplificate, dunque adattabili anche ai format televisivi. Tanto per dedicarsi al difficile paradigma fideistico (la verginità della Madonna), quanto per arrivare, alla fine, alla grande modernità del non finito di Michelangelo (la Pietà Rondanini di cui Sgarbi stigmatizza – a mio avviso con fondamento – il recente riallestimento al Castello rispetto a quello di BBPR[1] degli anni Cinquanta).
La 7 e il ritorno della pedagogia del racconto nei palinsesti televisivi e un ricordo lontano
Questa osservazione sulla natura disvelante e pedagogica del racconto si congiunge a quella fatta in precedenza a proposito della musica colta.
Che sia la 7 una rete di palinsesto neppure comparabile con le sue maggiori competitor a collezionare ora queste proposte e il loro successo (il dato della puntata di Augias di 620 mila spettatori in seconda serata da un canale comunque minoritario, penso si possa considerare un successo) in questa fase storica di evoluzione ma anche di declino della programmazione televisiva di massa apre alcune riflessioni. Che mi riportano alla provocazione di tanti anni fa, fatta da Paolo Grassi allora sovrintendente della Scala, poco prima di diventare presidente della Rai, che riuscì nel suo pressing sull’allora management della Rai a portare l’Otello in diretta dalla Scala in prima serata televisiva su Rai1, contro il parere di tutti. Ottenendo più di 10 milioni di telespettatori.
Conclusioni
Altri tempi, certo. Altre forme di concorrenza. Poche distrazioni di massa. Niente social media. Tutto vero. Ma certe prove hanno lo stesso senso metodologico. E ci pongono il problema di dare risposte di sistema anche su questi aspetti di contenuto, di prodotto, e non solo sulle questioni tecnologiche e finanziarie, quando si parla di riforma del sistema televisivo.
Già perché da noi come sempre di “riforme” se ne parla. Ma di recente l’unico ambito che incide sulle regole, anche dei media, è Bruxelles. Capiremo presto in che lingua si dovrà pronunciare l’eventuale riforma della tv.
22 settembre 2024
[1] BBPR è la sigla che indicava il gruppo di architetti italiani costituito nel 1932 da Gian Luigi Banfi (1910 – 1945), Lodovico Barbiano di Belgiojoso (1909 – 2004), Enrico Peressutti (1908 – 1976), Ernesto Nathan Rogers (1909 – 1969).