Quale che sia il presidente e il suo credo politico, negli Stati Uniti c’è sempre un “giudice ad Ovest del Pecos”, che interpreta la legge a modo suo e gli mette i bastoni fra le ruote. Sul fronte migranti, accadeva a Donald Trump con giudici ‘liberal’; e accade a Joe Biden, con giudici conservatori.
Drew Tipton è l’ultimo epigono del leggendario Roy Bean, che nell’ 800 era la giustizia in Texas, “ad Ovest del Pecos”, appunto: giudice federale del distretto meridionale del Texas, Tipton tenne fermo per 14 giorni il blocco delle espulsioni d’immigrati decretato dal presidente Biden appena insediatosi alla Casa Bianca.
Il giudice voleva vagliare nel merito un esposto del procuratore generale del Texas, Ken Paxton, contro lo stop di 100 giorni delle espulsioni. Anche i decreti di Trump sui migranti, ora ‘archiviati’ da quelli di Biden di segno opposto, avevano spesso incontrato l’ostilità di giudici ed erano stati oggetto di controversie giudiziarie fino alla Corte Suprema.
La damnatio memoriae
L’immigrazione è stata uno dei capitoli più corposi della ‘damnatio memoriae’ di Trump realizzata da Biden in meno di un mese alla Casa Bianca, con la revoca del ‘muslim ban’, lo stop all’erezione del muro al confine con il Messico; il blocco delle espulsioni degli immigrati – quello non piaciuto al giudice Tipton -. E una proposta di legge che agevoli l’accesso alla cittadinanza dei ‘dreamers’ e preveda un percorso in otto anni per gli illegali che già vivono e lavorano nell’Unione e che non si sono macchiati di reati violenti – circa 11 milioni -.
Decine di firme di Biden, nei primi giorni di lavoro nello Studio Ovale, hanno cancellato quasi tutto il lascito normativo del suo predecessore, affidato in larga parte a decreti facilmente rimpiazzabili con nuovi decreti di segno opposto – resta però la riforma fiscale, scritta dal Congresso nella pietra della legge -. Con un blitz da guerra lampo, in antitesi col nomignolo trovatogli dal suo rivale, Sleepy Joe, Biden ha varato una serie di decreti che riguardano pandemia ed economia, clima ed ambiente, disuguaglianze sociali e relazioni internazionali.
Entro la fine di gennaio, nel giro di dieci giorni, l’eredità di Trump è stata ‘rottamata’ con il ritorno degli Usa negli Accordi di Parigi sulla lotta contro il cambiamento climatico e nell’Oms; l’obbligo di mascherina negli edifici e sui mezzi di trasporto federali e l’accelerazione delle vaccinazioni anti-Covid – 100 milioni in cento giorni, l’ambizioso progetto -; la sospensione delle esecuzioni federali; la revoca del bando dei transgender nell’esercito; una moratoria di sfratti e fallimenti e del rimborso dei debiti per l’università; il blocco dell’oleodotto Keystone. E l’Amministrazione ha pure lavorato per varare in Congresso uno stimolo all’economia da 1.900 miliardi di dollari, malgrado il disturbo del processo d’impeachment a Trump – un buco nell’acqua dei democratici -.
Dopo i decreti, le riforme
Bruciati i decreti, Biden ha poi messo mano all’azione legislativa. E, anche stavolta, l’emigrazione è in primo piano: motivazioni umanitarie, certo, ma anche politiche, perché i ‘latinos’ costituiscono un serbatoio di voti democratici, nonostante una frangia di essi, circa un terzo, sia stata catturata, nell’Election Day, dalle sirene ‘trumpiane’; ed economiche, perché i migranti sono manodopera essenziale nell’agricoltura e nella manovalanza industriale e dei servizi.
A inizio febbraio, il presidente ha varato un pacchetto di proposte: creare una task force per riunire le famiglie di immigrati separate dall’Amministrazione Trump al confine con Messico; ma anche affrontare le cause delle migrazioni, ripristinare il diritto d’asilo e promuovere l’integrazione riabilitando il ruolo dei “nuovi americani”.
Il 46° presidente degli Stati Uniti, il più anziano mai eletto – ha 78 anni –, il secondo cattolico – John F. Kennedy, il primo, resta il più giovane mai eletto -, eredita una nazione divisa. E sa che l’immigrazione è tema divisorio: considera il blocco delle espulsioni come “una misura prioritaria”, ma incontra resistenze fra chi condivideva la linea dura di Trump; e potrebbe trovarsi in difficoltà se ci fossero ondate di migranti alle frontiere, con l’arrivo della carovana in marcia dall’Honduras. Cui fa sapere che “non è l’ora di arrivare”.
Claudio Salvalaggio, corrispondente dell’ANSA dagli Stati Uniti, racconta così le priorità di Biden: “Cancellare le politiche migratorie del suo predecessore, oltre 400 provvedimenti che hanno causato – parole sue – ‘caos, crudeltà e confusione’”. Il gesto più significativo fra quelli finora fatti è forse la costituzione d’una task force che dovrà ricongiungere i bambini ai genitori cui erano stati strappati al confine col Messico: decisione che aveva suscitato un’ondata d’indignazione mondiale, con le foto dei ragazzini in gabbia. L’Amministrazione Trump aveva separato oltre 5.000 famiglie: stando agli ultimi dati, sono ancora più di 600 i minori di cui non sono stati individuati i genitori.
“Un fallimento morale e una vergogna nazionale”, ha commentato un dirigente della Casa Bianca, secondo cui Biden “vuole ripristinare la compassione e l’ordine nella nostra immigrazione, correggendo le politiche divisive, inumane e immorali degli ultimi quattro anni”. La task force sarà guidata dal ministro dell’Interno Alejandro Mayorkas, un ispanico, che ha già ottenuto la conferma dal Senato e che sarà coadiuvato dal segretario di Stato Antony Blinken.
Una seconda mossa punta a lanciare un piano in tre punti per una “immigrazione sicura, legale e ordinata nella Regione” centro-americana, affrontando le cause del fenomeno (violenza, povertà, instabilità), sostenendo le capacità degli altri Paesi di dare protezione e opportunità più vicino a casa ai rifugiati e ai richiedenti asilo e garantendo a quest’ultimi l’accesso alle vie legali negli Stati Uniti, ripristinando pienamente il sistema d’asilo.
Sarà rivisto pure il programma ‘Remain in Mexico’, che costringe migliaia di migranti ad attendere in Messico le udienze per le richieste d’asilo. Da giovedì 19 febbraio, i richiedenti asilo accampati in Messico potranno entrare nell’Unione. Nel darne l’annuncio, Mayorkas ha detto: “E’ un passo verso la riforma di politiche migratorie non allineate con i valori della nostra Nazione”.
Una terza azione mira a promuovere l’integrazione e l’inclusione degli immigrati, con una task force sui ‘nuovi americani’, facilitando il processo di naturalizzazione e revocando la direttiva di Trump che penalizza le famiglie sponsor.
Le reazioni dell’Onu e del Messico
La scolta di Biden sull’immigrazione ha trovato echi favorevoli a livello internazionale (e non c’è da sorprendersene). Con una nota, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “accoglie con favore i passi positivi annunciati dall’Amministrazione Biden in materia di migrazione e rifugiati”. Guterres “attende con impazienza di collaborare per rafforzare la cooperazione multilaterale”, che non era certo una priorità dell’Amministrazione Trump, e auspica che gli Stati Uniti ora aderiscano al Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration, il Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare, un accordo intergovernativo, negoziato nell’ambito delle Nazioni Unite, che copre tutte le dimensioni della migrazione internazionale e che è in vigore dalla fine del 2018.
“Il sostegno degli Stati Uniti per affrontare le esigenze di migranti e rifugiati è stato forte e costante – scrive Guterres, quasi sorvolando sulla presidenza Trump -. Questa partnership è necessaria più che mai ora che cerchiamo di fornire assistenza, protezione e soluzioni sostenibili allo spostamento di un numero record di persone costrette a lasciare le loro case a causa di conflitti, violenze o disastri, o che stanno migrando nella speranza di una vita migliore”.
Anche il presidente messicano Andrés Manuel Lopez Obrador ha apprezzato le decisioni di Biden contro la pandemia, per il rilancio dell’economia e per gestire l’emigrazione: il Messico, il cui confine di terra con gli Usa è una frontiera porosa, nonostante i tratti di muro costruiti sotto Trump, è transito obbligato per tutti i migranti che dall’America del Sud e centrale risalgono via terra verso l’Unione. Lopez Obrador ha pure rivelato che, anni or sono, diede a Biden, vice di Barack Obama, una lettera sulla necessità di affrontare la questione delle migrazioni in maniera strutturale, “con un appoggio economico alle Nazioni centro-americane e al sud e sud-ovest messicano”.
Scrivevo, ha ricordato il presidente messicano, che “era necessario costruire un piano di sviluppo congiunto per frenare le carovane migliorando le condizioni di vita e lavoro” nei luoghi di partenza dei migranti. Questo tema, ha concluso, ci sta particolarmente a cuore “per la vicinanza fra i nostri due Paesi e per il fatto che attualmente almeno 38 milioni di messicani vivono e lavorano negli Usa. Molti dei quali, ha sottolineato, aspettano ancora di essere regolarizzati”. Biden sembra avere fatto in qualche misura tesoro di quella lettera.