Una campagna da dieci miliardi di dollari, forse 11: la campagna 2020 è la più costosa di sempre, nonostante si faccia in uno degli anni più disgraziati per l’economia statunitense, pandemia e tracollo della ricchezza e del lavoro. Dieci miliardi è la spesa complessiva in vista dell’Election Day sostenuta non solo da Donald Trump e Joe Biden, i candidati alla Casa Bianca dei due maggiori partiti, ma da tutti gli aspiranti alla nomination – i democratici erano una trentina – e dai candidati alla Camera (435 seggi) e al Senato (34 seggi in palio).
Complessivamente, il 50% in più di quanto si spese nel 2016, il doppio dei miliardi. E dire che l’inflazione in questi anni è stata rasoterra. Cifre molto approssimative e da prendere con beneficio d’inventario, un po’ perché le somme – si sa – si tirano solo alla fine e un po’ perché sarà sempre difficile collocare certe poste. Ad esempio, i soldi investiti in se stessi da magnati in cerca di politica: Donald Trump da una parte, una pletora dell’altra, tra cui Michael Bloomberg, che avrebbe speso almeno cento milioni di dollari per ballare – e maluccio – un solo giorno, il Super-Martedì delle primarie democratiche il 3 marzo, e i miliardari filantropi Tom Steyer e Andrew Yang.
Naturalmente, chi ha raccolto di più e ha speso di più sono Trump e Biden. Ma si sa che arrivare alla Casa Bianca – o anche solo provarci – costa un sacco di soldi, ora miliardi: la campagna elettorale perdente più onerosa nella storia Usa è finora stata quella di Hillary Clinton nel 2016, 621 milioni di dollari, davanti a quella di Mitt Romney nel 2012, 536 milioni di dollari.
Trump e Biden hanno speso in modo equivalente, ma il magnate, che vanta un patrimonio personale forse superiore alla realtà – ma lui tende a ingigantire tutto -, ha incassato molto meno. La raccolta di Biden superava i 784 milioni di dollari, stando agli ultimi dati disponibili: 531 milioni ricevuti tramite il comitato elettorale e 253 milioni di dollari per altre vie; quella di Trump non andava oltre i 685 milioni di dollari, un centinaio in meno. 476 tramite il comitato e 208 per altre vie.
A inizio ottobre, Trump risultava avere già speso 538,5 milioni e Biden circa 549: il democratico ha dunque affrontato il rush finale con un gruzzolo di oltre 235 milioni, ben superiore a quello di Trump, poco meno di 164 milioni.
Fra le curiosità d’un percorso non sempre oculato, i 10 milioni circa spesi da Trump e Bloomberg per uno spot durante il Super-Bowl, la finale del campionato di football Usa disputatasi a febbraio. E il fatto che Kamala Harris dovette abbandonare le primarie per mancanza di fondi, rifacendosi, però, poi, con la candidatura a vice-presidente.
Biden ha speso più di Trump in spot televisivi. Trump ha invece investito più di Biden sui social: quasi 240 milioni contro poco più di 180, un quarto in meno. Ma ciò non ha evitato al presidente litigi quasi quotidiani con Facebook e Twitter, che spesso consigliano agli utenti di usare cautela con i suoi post e tweet più spericolati.
Sia a Biden che a Trump, i mega-doni sono giunti aggirando la legge che prevede un tetto massimo di 250 mila dollari a donatore. Ed entrambi hanno beneficiato della prassi delle grandi aziende dell’industria manifatturiera ed energetica e delle tele-comunicazioni di foraggiare sia repubblicani che democratici, per evitare di finire in castigo per un quadriennio.
Biden è il beniamino delle aziende che controllano i social network e in genere dei protagonisti della Silicon Valley: investono su di lui Alphabet, che controlla Google (3,7 milioni), Microsoft (2,6 milioni) e molte altre imprese high-tech. Il suo maggior benefattore è però un gruppo fondato da un ex dell’Amministrazione Clinton, Eric Kessler: l’Arabella Advisors, 18,9 milioni di dollari.
Trump ha dalla sua Sheldon Adelson, il re dei casinò, uno degli uomini più ricchi del mondo, che, di riffa o di raffa, gli ha fatto arrivare 75 milioni. Fra i ‘top contributors’ del magnate candidato c’è pure il Blackstone Group, tre milioni.
Ieri, è stato il giorno del voto per Biden, in Delaware, di persona, mentre i democratici avvertivano: stop al voto per posta, c’è il rischio che le schede non siano più recapitate in tempo utile. Trump, invece, deve gestire le polemiche per avere lasciato all’addiaccio in Nebraska i suoi sostenitori, dopo un comizio.