Con il sì quasi in extremis del generale Khalifa Haftar, la tregua in Libia sollecitata dai presidenti russo Vladimir Putin e turco Recep Tayyip Erdogan entra in vigore alla mezzanotte tra sabato e domenica. Subito violata a più riprese e in più luoghi, la tregua sostanzialmente tiene – a fine giornata, si lamenta un morto -, mentre la diplomazia sciorina la soddisfazione e dissimula l’apprensione.
Un portavoce dell’Esercito nazionale libico (Enl) di Haftar, preannuncia “una dura rappresaglia” contro chi non starà ai patti. Il capo del Consiglio presidenziale del governo d’accordo nazionale libico (Gna), Fayez al Serraj, fa sapere che si difenderà in caso di violazione del cessate-il-fuoco, e invita le parti a una trattativa sotto l’egida dell’Onu per pervenire a una tregua duratura, lavorando “con tutti i libici” per una conferenza nazionale in vista della Conferenza di Berlino verso la pace.
Poi al-Sarraj vola ad Ankara, a consultarsi con Erdogan. Mentre il suo governo denuncia violazioni del cessate-il-fuoco “a Salaheddin e a Wadi Rabie pochi minuti dopo l’entrata in vigore” e ribadisce che “la piena attuazione della tregua potrà avvenire solo col ritiro dell’aggressore da dove è venuto”, un riferimento all’avanzata verso Tripoli compiuta da aprile ad oggi dal generale Haftar. “In caso d’ulteriori violazioni – si avverte – il Gna non starà a guardare: la sua risposta sarà violenta e ferma”.
Dal canto loro, media pro Haftar segnalano violazioni al cessate-il-fuoco, attribuendole – ovviamente – a forze vicine ad al-Serraj. “Le milizie che fanno capo al Gna hanno violato la tregua su più di un fronte con ogni tipo di armi, compresa l’artiglieria”, dichiara una fonte dell’Enl al sito Al Marsad, senza per altro mettere in discussione il cessaqte-il-fuoco.
La sostanziale conferma delle tregua appena dichiarata, nonostante i suoi corollari di incidenti e scaramucce – in Libia, gli attori non sono solo due: ‘signori della guerra’ locali e milizie vogliono dire la loro ed avere il loro tornaconto -, fa guadagnare spazi di lavoro alla diplomazia, che vuole fissare la data della Conferenza di Berlino: l’obiettivo è riunire intorno a un tavolo tutte le parti libiche in causa.
Mentre al-Sarraj vola da Erdogan, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sente al telefono Putin e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio saluta l’inizio della tregua come uno sviluppo positivo, sostiene che l’Italia “ha fatto la sua parte” nei giorni scorsi e sente il collega turco Cavusoglu, pr mettere a punto un incontro a tre Italia-Turchia-Russia.
Bene la tregua, ora avanti con il processo politico, dice la Lega Araba; bene la tregua, ora avanti con un’iniziativa dell’Ue, dice il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. I rappresentanti di Ue e Usa a Tripoli, fra cui l’ambasciata italiana, approvano la tregua e chiedono che ora s’affrontino i nodi politici.
In un’intervista, Di Maio non esclude il ricorso a caschi blu europei sul territorio libico, anche se l’efficacia di forze dell’Onu, in un contesto di ‘peace-making’, e non di ‘peace keeping’, è sempre stata relativa: “Sono i libici gli unici titolati a decidere, ma laddove le parti fossero d’accordo, credo che sia opportuno pensare come Ue a un’iniziativa che possa garantire un’intesa”.
I caschi blu europei, in un contesto “di legalità internazionale sancito dall’Onu”,”sarebbero un modo per fermare le interferenze esterne e il massacro di civili innocenti e per dare all’Ue una sola voce”. Di Maio invita a evitare “i violenti errori del 2011”: “No a forzature e ingerenze, ma l’alternativa non può essere restare a guardare mentre altri armano le parti coinvolte”, sottolinea.
Per Di Maio, “la Libia è un tema di sicurezza nazionale: ci sono cellule terroristiche fuori controllo a poche centinaia di chilometri” dai confini italiani. L’idea d’un inviato europeo in Libia prospettata dal responsabile europeo per la politica estera e di sicurezza Josep di Borrell pare “un po’ fumosa”. Dopo la conferenza di Berlino, ci sarà un inviato italiano, ma non è detto che sia Marco Minniti.