Nell’inchiesta della Camera sul rinvio a giudizio per impeachment del presidente Donald Trump, c’è una variabile impazzita: è l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, che da giorni fa sapere di avere delle cose da dire, ma che si fa pregare per dirle. Ieri, Bolton ha twittato: “E’ tempo di fare sentire propria voce”. I repubblicani non restano, però, passivi di fronte all’attivismo dei democratici: giocano la carta delle anticipazioni delle conclusioni della contro-inchiesta sul Russiagate, il ‘rapporto Horowitz‘: non un magheggio di Trump, ma una manovra ai suoi danni.
Il monito del ‘dottor Stranamore’ della diplomazia statunitense, che s’è lasciato in cattivi rapporti con il magnate presidente, suona minaccioso. “Torniamo a discutere – sprona – le questioni cruciali di sicurezza nazionale dell’America. Le minacce sono gravi e crescenti. La presidenza e il controllo della Camera e del Senato saranno decise fra meno di un anno”.
Bolton – lo hanno riferito altri testi – era contrario alle pressioni dell’Amministrazione sull’Ucraina per aprire un’inchiesta per corruzione sui Biden, il padre Joe in corsa per la nomination a Usa 2020 e il figlio Hunter socio di una società energetica ucraina, la Burisma. Senza l’avvio dell’inchiesta, Trump non avrebbe sbloccato gli oltre 400 milioni di dollari di aiuti militari stanziati dal Congresso per Kiev.
L’indagine della Camera vivrà una settimana ‘mozza’: giovedì 28 è la Festa del Ringraziamento e l’America si metterà tutta in movimento per un lungo week-end di ricongiungimenti familiari. Nuovi elementi aggravano la posizione dell’avvocato del presidente Rudy Giuliani, capro espiatorio in pectore di questa vicenda, e coinvolgono il segretario di Stato Mike Pompeo.
Un gruppo a tutela dei diritti fondamentali, American Oversight, ha avuto dal Dipartimento di Stato documenti che provano contatti sull’Ucraina tra Giuliani e Pompeo un mese prima dell’elezione dell’attore presidente Volodymyr Zelensky: oggetto, la campagna diffamatoria guidata da Giuliani e condotta dai suoi sodali contro l’ambasciatrice degli Usa a Kiev Marie Yovanovitch, ostile al ‘quid pro quo’ e poi richiamata nel maggio scorso.
Secondo fonti di stampa, un ex partner e cliente di Giuliani, Lev Parnas, arrestato il 9 ottobre, può riferire che il capo fila repubblicano nella Commissione Intelligence della Camera, Devin Nunes, incontrò in dicembre a Vienna l’ex procuratore generale ucraino Victor Shokin, per discutere come gettare fango sull’ex vice-presidente di Barack Obama.
La contro-inchiesta sul Russiagate, affidata all’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, sarà presentata il 9 dicembre, ma già ne escono anticipazioni. L’indagine riguarda eventuali abusi compiuti ai danni della campagna di Trump, specie ad opera di agenti dell’intelligence statunitense, e dà spazio alla figura del professore maltese della Link Campus University, Joseph Mifsud, che risulterebbe non essere un informatore dell’Fbi.
Per Trump, il rapporto Horowitz metterebbe in evidenza “errori, alterazioni ed omissioni”, specie fronte intercettazioni. Ancora “più importante” sarà, però, a giudizio del presidente, il rapporto che “a breve” sarà presentato dal procuratore John Durham, sulla genesi delle indagini anti-Trump e sul presunto ruolo dell’Fbi, della Cia e di altre agenzie d’intelligence. Anomalie sarebbero in particolare emerse nelle intercettazioni a carico di Carter Page, ex consulente della campagna di Trump. A rischiare l’incriminazione sarebbero Kevin Clinesmith, ex legale dell’Fbi, e alcuni agenti ‘ostili’ all’Amministrazione repubblicana.