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Siria: Germania e Francia, stop armi a Turchia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/10/2019

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La Germania e la Francia bloccano le vendita di armi alla Turchia, per cercare di frenare l’offensiva dell’Esercito di Ankara nel Nord-Est della Siria, che ha già fatto centinaia di vittime – molti i civili – ed almeno 60 mila sfollati fra i curdi che lì vivono. Dal punto di vista militare, l’operazione non si sta affatto rivelando una ‘blitzkrieg’: l’avanzata dei turchi incontra resistenza.

La decisione della Germania segue quelle analoghe di altri Paesi Nato, come Norvegia e Olanda – e pure Finlandia -, ma è molto più significativa dal punto di vista militare: nel 2018, la Germania ha infatti venduto alla Turchia armi per un totale di quasi 243 milioni di euro, un terzo di tutto l’export militare tedesco valutato 771 milioni di euro. L’annuncio della Germania è seguito, in serata, da quello della Francia.

In Italia, l’esempio della Germania incoraggia il segretario del Pd Nicola Zingaretti a farsi avanti: “Bisogna fermare l’invasione turca, siamo al fianco del popolo curdo …. Il governo valuti il blocco dell’export di armi alla Turchia”. L’Italia intende proporre un blocco europeo delle vendite di armi alla Turchia. In numerosissime città italiane ci sono state ieri manifestazioni anti-turche e pro-curde: i dimostranti sollecitavano interventi Ue, Nato, Onu per fermare l’attacco ai curdi, che Ankara presenta come un attacco a terroristi.

Parlando alla Bild an Sonntag, il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas spiega che non saranno più concesso licenze all’export per tutti i sistemi d’arma che la Turchia potrebbe usare in Siria”. Dopo l’offensiva militare turca nella regione siriana settentrionale di Afrin, Berlino segue una linea molto restrittiva per le esportazioni di armi verso la Turchia. Il che non ha però impedito ad Ankara nei primi quattro mesi di quest’anno di acquistare dalla Germania armi per 184,1 milioni di euro, confermandosi al primo posto tra i Paesi importatori di armamenti tedeschi.

Sul terreno, l’agenzia turca Anadolu scrive che, al quarto giorno d’offensiva, le forze d’opposizione siriane, appoggiate da truppe turche, hanno raggiunto un’autostrada strategica, la M-4, nel Nord-Est della Siria, tra le città di Manbij e Qamishli, 30 km a sud del confine. C’è incertezza sulla situazione a Ras al-Ain, una località di frontiera investita dall’offensiva fin dalle prime ore: chi la dice in mano ai turchi, chi ancora tenuta dai curdi.

Le informazioni sono spesso impossibili da verificare. In un attentato a Qamishli, attribuito all’Isis, il sedicente Stato islamico, sarebbe rimasta uccisa Havrin Khalaf, la leader del Partito per il futuro della Siria, che aveva guidato di recente un Forum tribale delle donne e si batteva per una Siria inclusiva, rispettosa dei diritti delle minoranze, fortemente decentralizzata.

E ieri ci sarebbe stato un attentato contro il carcere di Hasakah, dove sono centinaia di miliziani dell’Isis. Un’autobomba è esplosa vicino al carcere del capoluogo del Nord-est della Siria: non è chiaro se la prigione abbia subito danni. Venerdì, fonti curde avevano detto che cinque integralisti erano fuggiti dal carcere di Qamishli, a nord di Hasake, colpito da raid aerei turchi.

Fonti siriane, invece, segnalano civili uccisi: 10 ieri mattina sotto i bombardamenti turchi; e sei, sommariamente e a sangue freddo, con raffiche di mitra, da miliziani filo-turchi. Quest’ultima episodio sarebbe accaduto davanti a un muro nei pressi della M-4.

Venerdì, truppe americane in Siria erano finite sotto i colpi dell’artiglieria di Ankara: un’esplosione s’era verificata a poche centinaia di metri da una loro postazione a Kobane, la cui presenza sarebbe stata nota ai turchi. L’episodio, senza morti né feriti, ha forse inciso sull’atteggiamento altalenante del presidente Trump, che ora minaccia sanzioni (come il Senato di Washington): l’avamposto Usa è stato evacuato, pare temporaneamente; e il Pentagono ha messo in guardia la Turchia dall’evitare azioni che possano innescare un’azione di difesa immediata.

Con un comunicato, le forze curde chiedono agli Stati Uniti di “assumersi le proprie responsabilità morali” e di “rispettare le promesse”, dopo aver accusato Washington d’averle abbandonate. Ma è improbabile che l’appello venga raccolto.

Il presidente russo Vladimir Putin chiede il ritiro dalla Siria di tutte le truppe straniere. E si muove la diplomazia dell’Iran, che, con la Turchia e la Russia, è l’artefice del processo di pace di Astana, per una soluzione politica della crisi siriana. Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha offerto la mediazione di Teheran per ristabilire una situazione di sicurezza al confine tra Siria e Turchia. Zarif riesuma un accordo del 1998, in base al quale Damasco non dovrebbe più ospitare i militanti del Pkk (il Partito dei lavoratori del Kurdistan) in lotta contro Ankara. “L’intesa, ancora valido, può essere la via per ristabilire la sicurezza”.

Dal canto loro, riuniti al Cairo, i ministri degli Esteri dei Paesi della Lega Araba annunciano “misure urgenti di fronte all’aggressione turca alla Siria”: la riduzione delle relazioni diplomatiche, la cessazione della cooperazione militare e la revisione delle relazioni economiche, perché “l’attacco costituisce una minaccia diretta per la sicurezza nazionale araba, così come per la pace e la sicurezza internazionali,” ed è “una violazione flagrante dei principi della Carta dell’Onu”. Damasco, sospesa dalla Lega dal 2011, ma che potrebbe ora rientrarvi, ha il diritto di difendersi con ogni mezzo.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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