Non svegliate il can che dorme. E neppure il presidente che sonnecchia. Per quasi tutto novembre, s’ironizzava sul fatto che Donald Trump pareva narcotizzato dal raddoppio dei caratteri di Twitter da 140 a 280: per settimane, nessuno aveva più sentito l’eco dei suoi tweet, l’unica sua modalità espressiva efficace. I suoi messaggi, e le sue azioni, avevano perso mordente: “effetto Kelly”, sostenevano alcuni analisti, riferendosi al generale John Kelly, che, da quando è capo dello staff della Casa Bianca, ha ristabilito ordine e disciplina nei ranghi presidenziali.
Ma sono bastati un botto dell’arci-nemico ed arci-rivale Kim Jong-un, che ha sparato il missile nord-coreano più minaccioso di sempre, capace di raggiungere qualsiasi angolo degli Stati Uniti, e un sasso nello stagno del procuratore speciale per il Russiagate Robert Mueller per ridare a Trump baldanza e aggressività. Il magnate presidente, del resto, dà il meglio di sé – per così dire – quando lo stuzzicano.
E così Trump ha forse vissuto la settimana più positiva in quasi un anno alla Casa Bianca. A dargli una mano sono anche stati i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, che hanno autorizzato (7 a 2) la piena applicazione del ‘muslim ban’, cioè del divieto di ingresso negli Usa per i cittadini di sei Paesi prevalentemente musulmani – Iran, Yemen, Siria, Libia, Somalia e Ciad -, ed i senatori, che hanno approvato, con un voto di margine, la riforma fiscale.
La convalida del bando, progressivamente ritoccato per renderlo costituzionale, indebolisce i ricorsi in atto davanti a molte corti in tutta l’Unione. Il passo in avanti verso la riforma fiscale avvicina l’attuazione di una promessa elettorale del magnate presidente, anche se gli esperti restano divisi sull’impatto del provvedimento e, soprattutto, sulla sostenibilità: nel breve termine, c’è chi pagherà di più, invece di pagare di meno; a lungo termine, la riduzione delle entrate dell’erario potrebbe innescare un incremento del debito pubblico.
Galvanizzato dai successi, Trump, poi, ci s’è messo di buzzo buono, con raffiche di provvedimenti e dichiarazioni. : ha bruscamente reciso il filo – già logoro – della pace in Medio Oriente, con la decisione – di cui nessuno avvertiva né la necessità né l’urgenza – di spostare l’ambasciata degli Stati Uniti in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme: una mossa che piace al premier israeliano Benjamin Netanyahu e compiace i sionisti americani, ma che (anche se dilazionata) è vissuta come una provocazione o peggio da tutto il Mondo arabo. Il re saudita Salman e il presidente turco Erdogan hanno entrambi avvertito Trump che quella è una linea rossa da non varcare per la comunità musulmana; e Hamas minaccia un’ennesima Intifada.
Lo spostamento dell’ambasciata è un gesto pericoloso, quasi quanto la messa in discussione dell’intesa sul nucleare con l’Iran o il piano di pace mediorientale concepito da Jared Kushner, alias il ‘primo genero’ – è il marito di Ivanka -, uomo d’affari ebreo e consigliere per il Medio Oriente (più che un piano di pace rischia di essere un piano di guerra tra sauditi e iraniani).
Ma Trump non pare bilanciare azioni e conseguenze. Denuncia dell’accordo sul clima di Parigi, abbandono dell’Unesco, disimpegno dai patti dell’Onu sui migranti: sono alcuni altri atti simbolici del disimpegno americano sulla scena internazionale. Dall’insediamento di Trump, gli Usa hanno lasciato o minacciato di lasciare diversi impegni internazionali, a cominciare dal Tpp, all’insegna d’un presidente che pensa America First.
Il magnate presidente ha pure ripreso a picconare l’eredita del suo predecessore Barack Obama – questa volta, ha drasticamente ridotto l’estensione di due monumenti nazionali nello Utah, restituendo alla speculazione fondiaria circa due milioni di acri -; e ha continuato a denigrare l’Fbi, mettendone in discussione, lui che si erge a tutore di ‘Law & Order’, la credibilità e l’affidabilità; e ha, infine, criticato giudici e giurati californiani che hanno assolto un emigrato irregolare messicano dall’accusa di omicidio. Il fatto è che a Trump dà fastidio l’indipendenza dei giudici e dei ‘federali’.
Sul fronte esteri, gli Stati Uniti hanno avviato manovre su larga scala intorno alla Corea del Nord, aeree e navali: una provocazione, in risposta a una provocazione; un gioco dei dispetti in cui protagonisti sono due leader – Trump e Kim – impulsivi e autoreferenziali, più alla ricerca d’attenzione che di risultati.
C’è chi mette in relazione l’attivismo di The Donald con il riaccendersi dell’inchiesta sul Russiagate del procuratore speciale Robert Mueller che continua a scorrere come un fiume carsico … di qui in avanti il servizio riprendee post già pubblicati …