Cambia il presidente, e cambia l’ ambasciatore. Ma la tipologia resta la stessa: a rappresentare gli Stati Uniti nei ‘Paesi Disneyland’, quelli dove si vive bene, e che sono alleati che di solito non creano problemi, ci vanno milionari senza esperienza diplomatica – e spesso neppure politica -, che in campagna elettorale hanno dato un robusto sostegno – economico – al candidato vincente.
Vale praticamente sempre per Roma e per Madrid, capitali molto ambite, può valere per Londra e Parigi, capitali ancora più ambite, ma di maggiore peso internazionale, e magari per Tokyo. Oltre che, ovviamente, per decine di capitali minori, più a buon prezzo.
Fuori dalla logica dell’ambasciata come forma di sdebitamento, restano di solito i posti che davvero contano, la Russia, la Cina, la Germania, l’Onu, l’Ue, la Nato, dove c’è bisogno di gente preparata e competente, che sa quel che fa: non vanno necessariamente a diplomatici di carriera, perché l’ ambasciatore di nomina politica è prassi negli Stati Uniti, ma a personalità d’esperienza (oltre che di fiducia del presidente).
Una novità portata da Donald Trump, rispetto ai suoi predecessori, è che pure a Mosca ha mandato un ricco donatore, Jon Huntsman, che ha però due caratteristiche particolari: è sperimentato come diplomatico, avendo già rappresentato gli Stati Uniti a Singapore e soprattutto a Pechino; ed è pure un imprenditore con interessi in Russia, così da lasciare sperare che gli affari russo-americani girino per il verso giusto, nonostante il supplemento di sanzioni imposto dal Congresso e accettato ‘obtorto collo’ dalla Casa Bianca. Analoga la scelta per il Giappone: andrà a Tokyo l’uomo d’affari Willia Francis Hagerty IV, che è stato a lungo al vertice di aziende con “vaste operazioni in Asia ed Europa” – nota la Casa Bianca, nel motivare la scelta -.
Un’altra novità dell’era Trump è rappresentata dall’ ambasciatore per meriti sportivi: a Londra, va, è un esempio, Woody Johnson IV, un finanziere milionario, che organizzò raccolte di fondi pro – Trump, ma che è, soprattutto, proprietario della squadra di football americano dei New York Jets.
Il magnate presidente è in ritardo con le designazioni, ma il Senato, prima di andare in vacanza, gli ha dato l’ok su alcune nomine: è passato fra gli altri il nuovo ambasciatore in Italia Lewis M. Eisenberg, un finanziere che in campagna s’è prodigato per Trump e pure un politico con posizioni di responsabilità fra i repubblicani – ne fu tesoriere -. Finanziere, investitore e filantropo, Eisenberg ha presieduto per sei anni la Port Authority di New York – era in carica l’11 Settembre 2001, giorno dell’attacco all’America di al Qaida -.
Pure confermati nell’infornata il presidente dei Jets a Londra, e l’ex senatrice Kay Bailey Hutchison alla Nato.
Criteri a parte, non divergenti da quelli dei suoi predecessori, le scelte di Trump, che stringe i tempi delle designazioni per colmare i vuoti, sono talora azzeccate: per Madrid, ha scelto Duke Buchan, che parla spagnolo – e se la cava pure con il catalano – e che ha studiato a Siviglia e a Valencia. E che – dato non trascurabile – ha versato 898 mila dollari alla campagna del presidente, il massimo legalmente consentito, ed ha avuto con la moglie Hanna un ruolo attivo nella raccolta fondi. Finanziere non sempre di successo, Buchan, 54 anni, corona un suo sogno ed appare culturalmente attrezzato a gestire le relazioni tra Usa e Spagna in una fase di turbolenze indipendentiste catalane.
Ma ci sono pure scelte che sono e suonano provocatorie. A Bruxelles, presso l’Ue, voleva mandare Ted Malloch, un ipercritico, molto ‘vocale’, dell’integrazione e dell’euro, capace di attirarsi l’ira delle Istituzioni comunitarie prima ancora di essere designato, con commenti urticanti e saccenti. Il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione europea di rifiutargli l’accredito.