Donald Trump non ha mai fatto il boyscout; e i suoi figli non sono stati lupetti. Ma da presidente è andato all’annuale adunata dei boyscout americani, di cui è, come tutti i suoi predecessori, ‘presidente onorario’: alla National Scout Jamboree, doveva esaltare i valori dello scoutismo che “sono i valori dell’America”; e, invece, se l’è presa con Washington e con la politica, trasformando l’incontro in West Virginia con i ragazzi in un comizio.
“Chi diavolo vorrebbe parlare di politica davanti a voi?”, ha esordito Trump; e poi lo ha proprio fatto. Il presidente che continua a comportarsi da candidato ha tacciato Washington e la sua politica non più di “palude”, ma addirittura di “fogna”; ha attaccato Barack Obama (che non era mai andato a un raduno di scout); ha chiesto “lealtà” ai senatori repubblicani e ha esplicitamente minacciato di licenziamento il ministro della Sanità Tom Price, presente, se non farà saltare l’Obamacare. E poi giù con attacchi ai media ‘fakenews’ – “Diranno che siete quattro gatti” – e con il racconto, del tutto fuori posto, dell’incontro con un immobiliarista in bancarotta a un party dove c’era “tutta la gente più cool di New York”.
Alla fine, i boyscout d’America hanno preso le distanze da quel discorso fortemente politico e, per loro, imbarazzante: “L’invito al presidente alla National Jamboree – recita un comunicato – è una vecchia tradizione e non costituisce assolutamente un sostegno a un particolare partito e a specifiche politiche … Siamo un’organizzazione completamente apartitica, che non promuove nessuna posizione, candidato o ideologia politica”.
Per molti commentatori, il discorso in West Virginia dà una misura della frustrazione di Trump, che non riesce ad attuare la sua agenda. Di ritorno a Washington, il presidente spara una raffica di tweet: “L’Obamacare sta torturando gli americani. I democratici hanno preso in preso in giro la gente abbastanza. Respingetela o Respingetela e Sostituitela! Ho già la penna in mano”, intima ai senatori che in giornata dovevano rimettere in moto con un voto l’iter d’abrogazione del sistema sanitario di Obama, dopo il fallimento del tentativo di sostituirla la settimana scorsa.
Trump fa dell’abolizione dell’Obamacare una questione vitale: è la sua principale promessa elettorale. E su twitter insiste: “Grande giorno per la riforma sanitaria. Dopo sette anni di chiacchiere, vedremo presto se i repubblicani coglieranno l’occasione!”; “Grande che McCain torni per votare, Coraggioso eroe americano. Grazie” – il senatore John McCain, che non è mai stato un fan del presidente, era ieri in aula, dopo un intervento per un tumore al cervello -.
Pressato dalla Casa Bianca, il leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell si dà da fare per riavviare il dibattito: una settimana fa, gli mancavano cinque voti; due li avrebbe recuperati, ma, fino al momento di andare in aula, non era chiaro quale proposta i repubblicani volessero presentare e sostenere.
Intanto, Trump pensa a un rimpasto: dopo avere cambiato la squadra dell’informazione, sta valutando chi potrebbe rimpiazzare il segretario alla Giustizia Jeff Sessions, in cui ha perso fiducia dopo che s’è ricusato nel Russiagate, le indagini sui contatti con emissari del Cremlino prima e dopo le elezioni presidenziali, aprendo la via all’insediamento d’un procuratore speciale, Robert Mueller, di cui il presidente teme l’operato. Fra i candidati alla successione, ‘prezzemolo’ Rudy Giuliani, sempre citato e mai scelto, e persino Ted Cruz, acerrimo avversario nella corsa alla nomination. Frustrato del suo, per la politica estera estemporanea dell’Amministrazione, starebbe pensando a dimettersi il segretario di Stato Rex Tillerson.
Oggi sarà un’altra giornata calda sul fronte del Russiagate: Donald jr, figlio maggiore di Trump, e Paul Manafort, ex manager della campagna elettorale, dovranno testimoniare in Congresso. Ieri, Manafort è stato già sentito a porte chiuse e il genero del presidente Jarred Kushner, che lunedì era stato in Senato, è andato alla Camera a raccontare la sua verità.