Ritrovarsi, il 12 e 13 dicembre, fra tre settimane, con il mandante di un omicidio seduto al tavolo del Consiglio europeo è una prospettiva che inquieterebbe tutti i capi di Stato o di governo dell’Ue, per quanto pelo sullo stomaco possano avere. Ma non è una preoccupazione che trapela dai palazzi delle Istituzioni comunitarie, in queste ore. Gli sviluppi delle indagini sull’uccisione della giornalista Daphne Caruana Galizia chiamano finora in causa il capo di gabinetto del premier maltese Keith Schembri, ma non direttamente il premier Joseph Muscat, cui si rimprovera, tuttavia, di mantenere Schembri al suo posto.
L’atteggiamento che prevale nell’Ue è sostanzialmente ricalcato sulla reazione del figlio di Daphne, Matthew, alla notizia che Muscat ha offerto l’immunità al presunto ‘mediatore’ tra mandanti ed esecutori del delitto, commesso il 16 agosto 2017: “E’ un’opportunità di giustizia. Adesso, bisogna vedere come Malta e Muscat la gestiranno”.
Non è la prima volta che l’uccisione di un giornalista chiama in causa le autorità di un Paese dell’Ue: anche l’assassinio di Jan Kuciak, un giornalista slovacco di 28 anni ucciso con la fidanzata Martina Kusnirova il 22 febbraio 2018, ebbe eco politica e finì col travolgere il governo slovacco. Dopo settimane di pressioni e polemiche, il premier Robert Fico offrì le dimissioni, denunciando una campagna per destabilizzare la Slovacchia, presentata sui media come “il buco nero dell’Europa”.
Il partito di Fico fa capo al Partito socialista europeo, come quello di Muscat. Eventuali scricchiolii all’interno del gruppo, il secondo per numero di deputati del Parlamento europeo, dietro quello del Partito popolare europeo, potrebbero condizionare la prossima settimana in sessione plenaria il voto di ratifica della Commissione europea, il cui insediamento dovrebbe avvenire il primo dicembre.
A luglio, le fibrillazioni politiche e nazionali nei tre gruppi che formano la maggioranza ‘europeista’ dell’Assemblea di Strasburgo, Popolari, S&D, Liberali, fecero sì che l’investitura di Ursula von der Leyen a nuova presidente dell’Esecutivo comunitario passò per appena nove voti, rendendo decisivi i suffragi del M5S.
Fra i socialisti europei, Muscat ha un peso superiore a quello del suo Paese. Così come fra i popolari il premier ungherese Viktor Orban conta più del suo Paese. Muscat, 45 anni, è stato per quattro anni parlamentare europeo ed è premier dal 2013, avendo vinto delle elezioni a due riprese, nel 2013 e nel 201, entrambe le volte con margini molto ampi.
E’ stato per alcuni anni il più giovane capo di governo dell’Ue – lo privò del vanto Matteo Renzi -; e ha guidato Malta durante il suo primo turno semestrale alla presidenza del Consiglio dell’Ue, nel primo semestre 2017.
Fra i 28, Malta è forse quello che conta di meno, il più piccolo e il meno popolato. Ma, per l’Italia, è interlocutore importante, talora spinoso, comunque ineludibile, sul fronte dell’immigrazione, dove, a settembre, è stato determinante nell’innescare, con una riunione proprio alla Valletta, un accordo sulla redistribuzione dei migranti fra un gruppo di Paesi di buona volontà.
Se è improbabile che, almeno per il momento, il tema degli sviluppi dell’inchiesta sull’omicidio di Daphne Caruana Galizia sia evocato nel Consiglio dei Ministri dell’Ue, è invece possibile che sia sollevato nel Parlamento europeo. A marzo, era stata una deputata portoghese, Ana Gomez, a porre il problema. Ora annuncia l’intenzione di farlo Sabrina Pignedoli, eurodeputata M5S, che prende l’iniziativa di un appello alle autorità maltesi perché si faccia “piena luce”: “Ci sono ancora ombre, coperture e segreti in questa vicenda. Le autorità maltesi vadano fino in fondo, ne va della dignità dell’Europa e della libertà di stampa”.
Nella scorsa legislatura, il Parlamento europeo ha approvato un rapporto che estende le protezioni che ricevono i whistleblowers ai giornalisti investigativi, come Daphne Caruana Galizia. Si prevede protezione economica per loro e le loro famiglie, assistenza psicologica e sostegno al giornalismo d’inchiesta. “Le istituzioni europee hanno fatto la loro parte – dice la Pignedoli -. Adesso gli Stati s’adeguino a standard elevanti nella protezione dei giornalisti, troppo spesso minacciati solo perché ricercano la verità”.