Il Settimanale speciale Referendum – La Destra invita all’astensionismo, critiche vengono da Italia Viva e Azione. Il Pd è favorevole a tutte le abrogazioni, quattro i sì del M5S. L’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati a votare per cinque quesiti referendari: i primi quattro sul tema del lavoro e il quinto sul tema della cittadinanza.
Le forze politiche italiane si sono divise sono divise sulle risposte da dare, talora anche al proprio interno.
Il referendum dell’8/9 giugno: i quesiti in breve
I primi quattro quesiti possono essere accorpati in un unico gruppo: le misure di cui si propone la reintroduzione sono la riassunzione dei lavoratori licenziati illegittimamente, l’eliminazione del tetto massimo all’indennità dovuta ai licenziati nelle piccole aziende, l’obbligo di causale nei contratti a tempo determinato e la responsabilità solidale dei committenti nei casi di infortuni sul lavoro.
Il quinto e ultimo quesito propone invece di ridurre da 10 a 5 anni il tempo minimo di
residenza in Italia necessario alle persone extracomunitarie per richiedere la cittadinanza.
Il referendum dell’8/9 giugno: posizioni su voto, lavoro, cittadinanza
Sui quattro quesiti sul lavoro, prese di posizione contrastanti arrivano innanzitutto dalle più alte istituzioni. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dichiarato, in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile a Genova, che è necessario non arrendersi all’astensionismo, ma combatterlo andando a votare. Mentre il presidente del Senato Ignazio La Russa ha affermato: “Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa”.
Il Pd e il M5S si sono dichiarati favorevoli all’abrogazione, mentre la maggioranza di governo sta invitando il suo elettorato all’astensionismo. La premier Giorgia Meloni non ha
fatto dichiarazioni pubbliche in merito, ma Repubblica riporta che tra i parlamentari di FdI
sia circolata una nota intitolata “Referendum, scegliamo l’astensione”, in cui si esprime la
contrarietà a progetti di riforma voluti dall’opposizione.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha posto l’accento sulla rinuncia alle urne come scelta
politica, che esprime dissenso ma non disinteresse da parte dei cittadini, affermando che il suo partito non condivide la proposta referendaria.
La Lega di Matteo Salvini non condivide le proposte poiché preoccupata che a rimetterci possano essere la flessibilità del mercato, il numero di assunzioni nelle piccole e medie imprese e il settore edilizio.
Matteo Renzi, leader di Italia Viva e presidente del Consiglio dal 2014 al 2016, è stato promotore e attuatore, durante il suo governo, della riforma del dritto del lavoro del Jobs Act, che i referendum dell’8 e 9 giugno puntano a mettere in discussione. L’ex primo ministro ha parlato della proposta referendaria come di una “guerra ideologica”, sostenendo, riguardo al primo quesito, che, in caso di abrogazione del Jobs Act, non si tornerebbe all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che include anche la riassunzione, ma alla legge Monti/Fornero, che come il Jobs Act prevede solo un indennizzo economico.
Infine Azione, il partito dell’ex candidato sindaco di Roma Carlo Calenda, si è dichiarato contrario ai quattro referendum sul lavoro con una comunicazione sul suo sito ufficiale: come motivazioni principali la volontà di mantenere intatto il Jobs Act perché rispondente a una politica di uniformazione agli altri Paesi dell’UE, per il rischio di chiusura per le piccole aziende, per il possibile irrigidimento del mercato del lavoro e per il blocco degli appalti che deriverebbe dalla responsabilità solidale.
Sul quinto quesito riguardante la cittadinanza il Pd è favorevole all’abrogazione, mentre il M5S non ha preso una posizione ufficiale, lasciando la scelta alla discrezionalità degli individui. Azione e Italia Viva, dopo i quattro no sul lavoro, si esprimono per il sì.
Fortemente contraria è la posizione della maggioranza di governo, con Matteo Salvini che ha definito la proposta “regalo della cittadinanza anticipata” e che sostiene che l’Italia conceda già un numero di cittadinanze maggiore rispetto al resto d’Europa.
di Francesco D’Ancona e Federica Scuotto