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Guerre, punto: Ucraina, lo spirito di San Pietro è già svanito; Trump cento giorni senza pace

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Guerre, punto – Dopo la mini-tregua di Pasqua, per altro non rispettata da nessuna delle parti, ecco la tregua per celebrare la fine della Seconda Guerra Mondiale, per i russi la Grande Guerra patriottica 1941-’45, in cui l’Armata Rossa diede un contributo decisivo alla sconfitta dei nazi-fascismi: in Ucraina, le armi taceranno, forse, dall’8 al 10 maggio.

La Pasqua, la Vittoria: pause nei combattimenti e nei bombardamenti che, se osservate, sono positive, perché risparmiano vite umane; ma che sono soprattutto mosse propagandistiche, perché non avvicinano la fine del conflitto e non possono accontentare il presidente Usa Donald Trump, che, dopo propositi di abbandono del negoziato, si ripropone come mediatore di pace, o almeno d’un cessate-il-fuoco duraturo in Ucraina.

A cento giorni dal suo insediamento per il secondo mandato, le guerre, che Trump prometteva sarebbero finite “il giorno dopo” il suo rientro alla Casa Bianca, restano realtà cruente e dolorose. Quella in Medio Oriente, che era entrata in pausa proprio il giorno del suo insediamento, è riesplosa; quella in Ucraina non s’è fermata un solo istante, nonostante strombazzate tregue parziali mai attuate.

250426 - Ucraina - Trump e Zelensky - San Pietro
L’incontro tra i presidenti Usa Donald Trump e ucraino Volodymyr Zelensky a San Pietro

Una settimana dopo l’iconico incontro nel vuoto metafisico di una navata di San Pietro tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, chi aveva sperato che Papa Francesco riuscisse a fare brillare, da morto, la scintilla di pace che aveva incessantemente provato ad accendere in vita sarà, forse, deluso. Ma il germe del dialogo non matura da un giorno all’altro e la ricerca della pace richiede pazienza e perseveranza, oltre che slancio e convinzione.

L’improvvisazione e l’estemporaneità sono, invece, controproducenti. La Cnn critica il “linguaggio zoppicante” (e altalenante) del magnate presidente con il russo Vladimir Putin e con Zelensky: ai due estremi, ci sono la piazzata del 28 febbraio nello Studio Ovale e il ‘confessionale’ in San Pietro sabato scorso 26 aprile. Due scene iconiche, che nulla di concreto hanno finora prodotto. E a nulla serve, con Putin, l’alternanza di elogi e rimbrotti.

Non è neppure certo che Trump colga a pieno quanto il suo interlocutore dice. Dopo il bilaterale con Zelensky in Vaticano, ha riferito ai suoi collaboratori che l’Ucraina accetta di riconoscere la sovranità della Russia sulla Crimea. Da Kiev è subito arrivata la smentita. Quanto a Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ripropone la “questione di legittimità” su Zelensky, ma ammette che colloqui diretti sono – o meglio sarebbero – “di primaria importanza”.

E’ una piccola apertura. Non quella che sperava Trump, che, forse, venendo ai funerali di Papa Francesco, ancora s’illudeva di potere annunciare almeno la sospensione del conflitto entro la scadenza dei suoi primi cento giorni, mercoledì 30 aprile.

In video-conferenza con la Polonia, Zelensky s’arrocca: “Vogliamo tutti che questa guerra finisca, ma nel modo giusto, senza regali a Putin, soprattutto di terre”. E il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiga commenta in modo tagliente la tregua unilaterale annunciata da Putin: “Se la Russia vuole davvero la pace, dovrebbe cessare immediatamente il fuoco. Perché aspettare l’8 maggio? Se la guerra fosse fermata ora e una tregua potesse mantenersi per 30 giorni, sarebbe un vero passo avanti, non solo un gesto di parata”. Stesso concetto esprime la Commissione europea: “La Russia potrebbe fermare in qualsiasi momento uccisioni e bombardamenti: non c’è assolutamente bisogno di aspettare l’8 maggio. Potrebbe farlo proprio ora, oggi stesso”.

Anche in in Europa, le tensioni restano alte: il Wall Street Journal scrive che Mosca sta espandendo la sua infrastruttura militare lungo il confine con la Finlandia. La Germania chiede all’Ue di attivare la clausola di salvaguardia per potere accelerare le spese militari: parlando al congresso della Cdu, il neo-cancelliere Friedrich Merz afferma: “La lotta dell’Ucraina contro l’aggressione della Russia è una lotta per mantenere la pace e la libertà nel nostro Paese”.

Dal fronte e dalle città ucraine, continuano ad arrivare tutti i giorni notizie di scontri – nel Sud-Est, le posizioni ucraine si sono indebolite e le forze russe sono avanzate – e quasi tutte le notti notizie di attacchi aerei, con missili e droni – il più grave, nell’ultima settimana, su Kiev, con una dozzina di vittime -. Ma il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov assicura alla Cbs che Mosca è mossa da “buona volontà diplomatica” ed è pronta a fare un’intesa di cessate-il-fuoco.

Per i russi, c’è anche un fronte interno. Nel giorno in cui l’inviato americano Steve Witkoff incontrava una volta di più Putin a Mosca, un alto ufficiale russo veniva ucciso vicino alla capitale in un attentato terroristico. Il generale Yaroslav Moskalik era il vice-capo del Dipartimento per le operazioni dello Stato Maggiore: è stato investito dall’esplosione di un’auto-bomba, mentre usciva di casa per recarsi al lavoro, come era già successo al suo predecessore, il generale Igor Kirillov, ucciso dall’esplosione di un monopattino. I russi hanno subito accusato gli Ucraini dell’attentato e hanno arrestato un sospetto definito “un agente dei servizi speciali ucraini”.

Dopo il dialogo tra Putin e Witkoff, il Cremlino ha parlato di “Russia e Stati Uniti più vicini, non solo sull’Ucraina”. La linea sarebbe quella già emersa: riconoscimento della sovranità sulla Crimea, con la levata delle sanzioni relative a quell’annessione nel 2014, e tregua lungo la linea del fronte attuale, cioè con i russi che occupano quattro regioni ucraine, senza però riconoscerne l’annessione alla Federazione russa avvenuta nel 2022.

Una soluzione che Zelensky ufficialmente non avalla. Un’apertura in tal senso è arrivata dal sindaco di Kiev Vitali Klitschko, che però ha poi fatto marcia indietro sui contenuti di un’intervista alla Bbc.

Gli intrecci internazionali del conflitto sono sempre più complicati: in un razzo nord-coreano caduto sulla capitale ucraina sono state trovate componenti americane, nonostante le sanzioni che impedirebbero a Pyongyang di procurarsele. Si indaga sulla loro origine.

Guerre, punto: MO, nessuno spiraglio, attacchi su Libano, bombe su Yemen
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Heavy smoke rises at the scene of an explosion at the Shahid Rajaee port dock, southwest of Bandar Abbas. Meysam Mirsadeh Tasnim News AFP via Getty Images

In Medio Oriente, non si intravede nessuno spiraglio di tregua tra Israele e Hamas; anzi, il conflitto torna a frastagliarsi con la ripresa degli attacchi israeliani sul Libano e con nuovi bombardamenti americani e britannici su postazioni degli Huthi nello Yemen. Il bilancio delle vittime s’aggrava – decini i morti, giorno dopo giorno, la situazione umanitaria è allo stremo per 350 mila palestinesi – stima dell’Onu – e una sessantina di ostaggi – vivi o morti che siano – devono ancora essere restituiti alle loro famiglie.

In Libano, Israele sostiene di colpire i tentativi di Hezbollah di riorganizzarsi militarmente – ma ci sono sempre civili fra le vittime -. Nello Yemen, americani e britannici prevengono, o rispondono, ad attacchi missilistici degli Huthi verso Israele o a minacce alla navigazione commerciale.

Il governo israeliano ha, com’era prevedibile, respinto la proposta di Hamas per un cessate-il-fuoco di cinque anni in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi. Secondo Israele, l’iniziativa era finalizzata solo a permettere ad Hamas di riorganizzarsi per poi “potere riprendere e continuare la sua guerra con maggiore intensità”.

Un fatto relativamente nuovo è l’inasprirsi del contrasto fra l’Anp, l’Autorità nazionale palestinese, e Hamas, che ripropone decenni di tensioni fra le due sigle, ma rispecchia anche le frizioni su quello che sarà l’assetto della Striscia di Gaza dopo il conflitto – assetto che, del resto, non dipende solo dalle due organizzazioni palestinesi -.

Nelle ultime settimane, sono emerse forti pulsioni contro Hamas nella popolazione palestinese: c’è la consapevolezza che Hamas era conscia di quello che si sarebbe scatenato dopo i raid terroristici in territorio israeliano del 7 ottobre 2023 – circa 1200 vittime e oltre 250 ostaggi catturati -. Se c’è sproporzione, nel numero dei morti, tra la provocazione e la reazione – le vittime nella Striscia sono oltre 51 mila, in gran parte donne, bambini, anziani -, resta il fatto che questa sproporzione era largamente prevedibile.

Un fatto nuovo, di incerta lettura, è stata l’esplosione nei pressi del porto di Bandar Abbas, in Iran, che ha fatto almeno 40 morti e circa mille feriti. Non è ancora chiaro se si sia trattato d’un incidente o di un atto di sabotaggio. Israele nega ogni addebito, Teheran non formula accuse precise, il che fa propendere per l’ipotesi dell’incidente o di un gesto di contestazione interno. Intanto, vanno avanti, tra Usa e Iran, con la mediazione dell’Oman, i negoziati sul nucleare.

Trump 2: i cento giorni, niente paci e una guerra in più

I cento giorni di Donald Trump alla Casa Bianca cadevano mercoledì 30 aprile: a sentire lui, che li paragona a quelli paradigmatici di Franklyn Delano Roosevelt, è stato un percorso trionfale. Ma il Washington Post, che non gliene passa una, osserva che le differenze sono “crude”: dove Roosevelt procedeva con nuove leggi, Trump va avanti a colpi di penna di decreti presidenziali, che un tratto di penna di un prossimo presidente potrà revocare. Come accadde nel 2021, quando Joe Biden si insediò e cancellò in pochi giorni buona parte dei quattro anni del magnate presidente.

I dati sono impressionati: 140 ordini esecutivi firmati in 100 giorni, contro i 24 firmati nel 2017, all’inizio del suo primo mandato. E gli elettori non reagiscono bene, confusi da tanti attivismo.

La ciliegina (amara) sulla torta dei cento giorni sono i risultati delle elezioni in Canada: i canadesi, che all’inizio dell’anno sembravamo orientati a scaricare i liberali, al potere dal 2015, hanno invece votato contro Trump e le sue minacce di fare del Canada il 51° stato dell’Unione. Sconfitti, così, i conservatori pro – Trump e vittoriosi di nuovo i liberali: il loro leader Mark Carney s’impegna a rispondere colpo su colpo al magnate presidente.

I sondaggi, numerosi sui media Usa, verso la scadenza dei cento giorni, mercoledì 30 aprile, sono concordi: il tasso di approvazione di Trump è in forte calo ed è il più basso di un presidente dopo cento giorni – Trump fa peggio di Biden, da lui ingiustamente bollato come “il peggior presidente nella storia degli Stati Uniti” -. Sono criticate le scelte su dazi ed economia, su immigrazione e guerre ai giudici e alle Università. Non piace che Trump 2 ‘snobbi’ le sentenze e cerchi di ampliare i poteri dell’esecutivo. Invitati dal New York Times a definire con un aggettivo Trump 2, il 66% degli intervistati sceglie ‘caotico’, il 59% ‘spaventevole’ e solo il 42% ‘eccitante’.

Se non è riuscito a portare la pace dove c’è la guerra – come aveva promesso -, Trump ha saputo innescare un conflitto planetario, incruento, ma dalle conseguenze potenzialmente disastrose per miliardi di persone: la guerra dei dazi, proclamata il 2 aprile e poi ‘messa in pausa’ per 90 giorni, fino a fine giugno. Su imprenditori e investitori di tutto il Mondo, gravano insicurezza e incertezza: il magnate presidente annuncia un accordo con l’India del premier amico Narendra Modi, ma Cina, Ue e altri si rivelano ossi duri.

Le ambizioni di Trump, però, sono già altrove: guarda al conclave, al nuovo papa. Scherzando, risponde alla domanda di una giornalista “Mi piacerebbe essere papa. Sarebbe la mia prima scelta”. Poi nega di avere preferenze, ma aggiunge che “c’è un cardinale a New York che può fare bene” quel lavoro: un accenno, non esplicito, al cardinale Timothy Dolan, punto di riferimento dell’ala più  conservatrice della Chiesa in America e non solo.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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