L’occhio, il naso, la bocca. Il colore del vino va osservato attraverso una sorgente luminosa. Una danza morbida nel bicchiere e l’aria ne libera il profumo. Poi un sorso. Assorbito dalle labbra, scorre per la lingua e per il palato, e ritorna alle labbra. L’apprezzamento del sapore è pieno, la degustazione a tutto tondo.
L’Italia è il primo produttore di vini nel mondo. Quaranta sono il vertice della qualità, “garantiti” tra i 479 vini a denominazione di origine controllata. Ne discendono altri 1300 con sotto denominazioni. Ci sono vini da aperitivo, da pasto, da dessert. Accompagnati dalla piacevole euforia creata dal vino, si chiacchiera, si pranza in famiglia, si discute di lavoro, ci si vede in trattoria, si gioca a carte, ci si incontra al lume di candela. Il vino favorisce trovarsi in armonia, gustare meglio il cibo, sentirsi meglio con sé stessi, curare la bellezza, fuggire da danni, rimediare a malanni.
Il vino è la vita
In Giappone ci sono enormi viti rampicanti puramente decorative, in Virginia semplici viti striscianti, in Italia c’è la vitis vinifera che fa parte di questa grande famiglia. L’eccellenza della vite italiana nasce da pendii collinosi, terreni tufacei o vulcanici, sole cocente, clima temperato. E da uomini. che nella vigna e nella cantina usano antichi metodi tramandati, e nuove tecniche apprese nelle scuole di formazione. Quando in settembre l’uva è matura, la vigna si riempie di voci, le mani staccano i grappoli dai tralci, il cielo risuona del canto degli uccelli, è la vendemmia. In Sicilia si fa prima, in agosto, spesso di notte per sollevare dal gran caldo gli uomini e lasciar riposato un frutto così delicato. Quando finisce la fatica della raccolta l’eccitazione è grande. In tanti villaggi a fine settembre si svolgono sagre e feste. Intanto l’uva viene condotta verso i luoghi dove terminerà la sua esistenza per diventare vino.
Il mese che cambia l’uva in vino
Con l’arrivo dei grappoli nei locali di trasformazione si incomincia a pigiare. Una volta con i piedi dentro a contenitori, adesso con una macchina chiamata pigiatrice. Con la pigiatura dagli acini defluisce il mosto. Poi dal pigiato vengono allontanati i raspi. Col la diraspatura viene abbassato il contenuto in tannini del vino. Il mosto viene scaricato in tini, formati da tavole di legno tenute insieme da cerchi di ferro, prende avvio la fermentazione del mosto che dura una decina di giorni. La prima fase della fermentazione e tumultuosa, nei tini il mosto ribolle. Per raffreddare il processo con l’apporto di aria e per migliorare anche il contatto tra le parti, viene spesso rotto il cappello delle vinacce con la follatura. Grazie ai lieviti naturali che sono sugli acini dell’uva nel momento in cui matura, quando la fermentazione finisce, gli zuccheri dell’uva sono trasformano in alcol etilico. Si apre quindi il rubinetto delle vasche per la svinatura che separa il vino da vinacce e fecce. In seguito, il vino viene travasato nei recipienti di affinamento e conservazione.
Le vinacce che rimangono in fondo alle vasche vengono raccolte e premute nella gabbia del torchio. Torchio a vite una volta, torchio idraulico e presse continue oggi. Dalla torchiatura scaturisce un vino molto tannico e colorato, che può essere aggiunto a quello della svinatura. Per estromettere le particelle in sospensione si pratica la filtrazione con filtri di cellulosa o cotone. Il vino viene quindi travasato per separarlo dai suoi depositi. Poi messo in botti. Ad evitare che botti “scolme” provochino ossidazione e formazione di microrganismi è necessario fare la colmatura.
Campagna e cantina sono vicine. Nelle piccole aziende chi coltiva la vigna e vinifica è un’unica persona, che si sdoppia in vignaiolo e cantiniere nelle aziende di dimensioni medie. I due sono costretti a dialogare tra loro, modificare e far piani per ottenere un vino di qualità. Cooperative e cantine sociali consentono anche ai piccoli produttori di avvantaggiarsi di lavorazioni di tipo industriale, governate da grandi tecnici, sostenuti dai laboratori per le analisi. Arrivano così alla pari con le grandi industrie private.
Sotto l’etichetta tutto
Quindi il vino viene imbottigliato. Il colore delle bottiglie per i vini bianchi è chiaro. Per i vini rossi, verde oppure marrone, cautela opportuna per ridurre l’influsso della luce sul prodotto. In Toscana la tradizione dispone per il Chianti il tipico fiasco. Mentre per resistere alle quattro atmosfere degli spumanti viene usata una bottiglia molto solida. Il vino imbottigliato viene sigillato con tappi ricavati dalla corteccia del sughero, albero sempreverde dai rami vigorosi e contorti. In cantina la bottiglia lavora. Modifica colore, profumo e sapore. I vini rossi passano dal viola porpora al rosso rubino. Compaiono profumi più evoluti e complessi, con la possibilità di percepire sentori particolari di frutta secca, speziati o tostati. Il sapore diventa più morbido.
Importantissima è l’etichetta. Chi ne studia la grafica pensa già a quello che si stamperà: una sorta di carta d’identità del vino, garanzia della qualità del prodotto contenuto nella bottiglia. Le leggi italiane sono severe: le condizioni da rispettare per rientrare in quelle precise caratteristiche produttive furono stabilite dal 1963 con appositi disciplinari. A quanto c’è scritto sull’etichetta deve corrispondere esattamente la sostanza interna. Cioè nome, grado alcolico, capacità del contenitore, classificazione di origine, comune di produzione, nome e sede dell’imbottigliatore, nome dell’azienda, anno di produzione. Prima di essere messi in commercio i vini ad origine controllata devono essere sottoposti a preliminare analisi chimico-fisica ed esame organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare.
Alla ricerca del vino perduto
Novemila anni prima della nostra era. La Bibbia al Quarto capitolo della Genesi descrive l’approdo sul monte Ararat dell’arca. Dal testo scopriamo che poi Noè coltiva la vigna, da origine al vino e subito se ne innamora ubriacandosi. Altre cinquecento sono le allusioni alla vite e al vino rintracciate nel testo. Risale al 5.100 a. C. una misteriosa sostanza secca di colore giallo-rossastro, poi identificata come residuo di acido tannico. È stata scoperta nel 1991 dagli archeologi dentro due giare di terracotta ritrovate nel villaggio neolitico di Godin Pepe, sui Monti Zagros nell’Iran nordoccidentale. Nelle pitture della Tomba di Khaemwaset a Tebe in Egitto, altri archeologi hanno rinvenuto una pittura risalente al 1450 a. C. in cui si vedono scribi intenti a contar giare di vino durante la vendemmia. L’Iliade e l’Odissea di Omero raccontano di fatti del 1184 a. C. L’esame dei testi rivela che il vino è presente in tutti i banchetti e le libagioni. E un otre di vino nero Calipso regala ad Ulisse quando riparte. Nausicaa reca un paniere di cibo e un otre vino quando scopre Ulisse sulla spiaggia. Lui stesso con una tinozza di vino rosso ubriaca Polifemo e quando il gigante è sopraffatto dal sonno lo acceca per scappare. Nell’ottavo secolo la viticoltura è molto diffusa nel mondo greco. Dio del vino, dei canti, delle danze, di tutti i piaceri, della liberazione è Dioniso, alato perché il vino solleva gli uomini dalle difficoltà materiali e sociali. Nel Simposio di Platone il vino rivela la doppiezza della natura dell’uomo che, ubriaco, dice la verità. Nel mondo romano il dio del vino diviene Bacco, celebrato fino ai giorni nostri da poeti, pittori e disegnatori. Enotria, terra del vino. veniva chiamata dai Greci l’Italia. Ritrovate sulla via Appia e ad Ostia taverne e bettole frequentate dal popolo rivelano quanto quest’attività nel II secolo a. C fosse fiorente e importante. Il vino è diffuso in tutto l’Impero Romano. In Palestina Gesù durante la Cena dice ai suoi apostoli: (”Bevete questo è il mio sangue eccetera”), il vino è simbolo del sacrificio che apre una nuova era. Nell’Impero Romano esistono ottanta vini di pregio e un centinaio di qualità inferiore, scrive nel 77 d. C Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Due anni dopo in Campania la vite è così in eccesso che l’imperatore Domiziano ne impone cali di produzione nelle regioni periferiche dell’Impero. Proprio il 24 agosto dello stesso 79 d. C. una terribile eruzione del Vesuvio distrugge Pompei e conserva tanto per i posteri. Radici carbonizzate di una vite ritrovate a Villa Regina, hanno consentito di ricavare le viti che venivano coltivate allora. Nelle pareti della villa bellissimi affreschi mostrano scene di libagione con vino. Accadeva tutto questo: i patrizi nel triclinio appoggiati ad un gomito banchettavano e tracannavano calici di vino, sdraiati su letti in marmo con cuscini.
In Italia il culto del vino si tramanda attraverso i secoli. Nel Medioevo sono i vescovi a preservare le vigne e a farle fruttare; nei monasteri i monaci impiantano vigne dissodando sassosi pendii di collina. Nel Rinascimento, l’affresco del Buon Governo fissa l’immagine della campagna coltivata a vigna. Nella prima metà del Cinquecento il papa Paolo III Farnese vigila sulla qualità dei vini. La coltivazione della vite non cambia nei secoli successivi. È a metà dell’Ottocento che in Piemonte nuovi metodi di selezione conducono a grandi i vini. Protagonista assoluto è Camillo Benso conte di Cavour, futuro primo ministro d’Italia.
Le quattro macroaree regionali
Per differenze ambientali l’Italia del vino si può dividere in quattro: nordovest, nordest, centro, sud con le isole.
C’è ’il nordovest con il Piemonte. Dimenticare Torino e la FIAT, andare fuori, dove evi remoti sono stratificati nel paesaggio del Monferrato e delle Langhe. L’innalzamento e corrugamento del primitivo mare padano ha creato colline con terreni fatti di materiali sedimentari di polimorfa natura.
Nella vasta zona collinare del Monferrato (Asti e Casale) i terreni sono sabbiosi e argillosi in forme dolci, segnate da un intrico di piccole valli a fondo largo e piatto racchiuse dalle Alpi che garantiscono un clima caldo nella stagione vegetativa e nebbioso in autunno. Vini freschi e fragranti sono il rosso rubino Dolcetto, tra 11,5 e 13 gradi asciutto con un tocco amarognolo, il rosso granato Barbera, sui 12 gradi, profumo intenso, asciutto e sapido, e il rosso rubino chiaro Grignolino, asciutto e pieno di carattere. Di schiuma rosso granato è il Freisa amabile e vigoroso, Un vitigno strettamente legato a queste terre è il Nebbiolo che dà le uve per tutti i grandi vini rossi piemontesi, ma è lui stesso un vino rosso aranciato, asciutto ed elegante. In questo mare di rosso, c’è il bianco e dolce spumante Moscato d’Asti. E i bianchi spumanti sono i più venduti d’Italia.
Nelle Langhe rilievi di altitudine più accentuata separano valli strette e incassate. La vigna modellatore del paesaggio rurale ha la regolare uniformità dei filari serrati dalla coltivazione intensiva di vigneti. I terreni sono calcarei e argillosi, bianchi.
Il rosso granato Barolo di 13-14 gradi è un grande vino dal profumo complesso: rosa e viola, lamponi e fragoline di bosco, poi effluvio di tartufo, funghi secchi e pepe nero, in bocca ricco, potente e morbido. Rosso granato, invecchiando dai riflessi arancione, è il Barbaresco di 12,5 gradi, potente in bocca, di gran corpo e infinita presenza.
Da vigne che si estendono su terreni dove c’era bosco, effonde profumo fruttato, sentore di legno il rosso rubino Roero secco, corposo, ma al contempo vellutato. Nella fascia pedemontana a nord di Novara ci sono due rossi granato intenso. Il Gattinara dal profumo di viola e sottobosco, in bocca asciutto e vigoroso e il Ghemme dalle note erbacee e vegetali, sapido e composto in bocca.
Oltre il Po’, sulla riva destra del grande fiume il suolo è argilloso e di formazioni calcaree, il vino rosso si chiama appunto Oltrepò pavese, l’odore possiede sentore di piccoli frutti, il sapore è pieno leggermente tannico. Questa è già Lombardia.
I grandi laghi lombardi rendono mite la temperatura invernale dando vegetazione mediterranea a questa zona del nord. Delle colline sparse attorno al lago d’Iseo nasce il rosso rubino Valtellina superiore di sapore asciutto e pieno di carattere. Ma questo è soprattutto il territorio degli spumanti bianchi. Si pensi ad un vino di odore ampio ed elegante, sapore secco con una nota amarognola, che porta nome Franciacorta, corte franca dai dazi, questa zona della Lombardia chiamata così nel Medioevo ed ancora oggi. Là in mezzo, tra Lombardia, Trentino e Veneto, c’è il Lago di Garda. Le viti vi si specchiano nella vasta fascia ai piedi dei monti, attorno a Verona. Qui si produce il Soave, il più famoso bianco d’Italia, un vino semplice, secco, dal profumo gentile e anche il dolce Recioto di Soave. Conegliano è il trionfo del bianco Prosecco, ricco e intenso dalla spuma soffice, sempre fresco e leggero. Ci sono anche due rossi. Rubino il Valpolicella, asciutto ed elegante. Più chiaro il Bardolino, di 11,5-12,5 gradi, asciutto e leggero con lieve fondo amarognolo. Il vigneto della famiglia Zonin è grande 1800 ettari. Un gigante e la cantina, curata con amore artigianale e grandi investimenti per produzione, trasformazione, distribuzione e pubblicità.
Il trentino Alto Adige è regione di montagne. Le viti sono pergole, ospitate in terrazzamenti che salgono fino a 500 metri, più su non si può andare perché la coltivazione della vite non lo permette. Tra il giorno e la notte grandi sono le escursioni termiche. Determinanti per ottenere l’esplosiva carica aromatica del bianco Gewurztraminer dal vitigno con lo stesso nome. E poi i vini rossi. Il Lagrein sapido e composto, dal bouquet delicato. Il Teroldego dal bouquet particolare e il gusto leggermente tannico. Il Marzemino, sapido con una nota di amaro. Qui l’uva matura tardi, nella seconda metà d’ottobre.
Le colline orientali del Friuli godono di un clima particolarmente mite, indotto dall’influsso del mar Adriatico, il suolo a volte è sassoso, a volte argilloso. Il grave è uno strato morenico che si è disposto per l’azione millenaria dei ghiacciai alpini e dei corsi d’acqua. E Grave del Friuli, di sapore asciutto e armonico si chiama uno dei tre bianchi rinomati, gli altri sono Ribolla gialla, asciutto e vivace, e Tocai. Qui i vini li vogliono tutti bianchi. Anche il Pinot nero, cioè rosso, diventa grigio, cioè bianco per mutazione gemmaria. Poca, ma pregiatissima, la vendemmia di due bianchi da dessert il rinomatissimo Picolit e il Ramandolo di Molinara. Nel Rinascimento attraverso l’Adriatico al porto di Venezia arrivano vini dall’oriente che partono verso il nord Europa.
Sempre di fronte al Mare adriatico più a Sud, nei morbidi rilievi della solatia Romagna, nasce l’Albana da un ceppo importato dai romani. Qui Ravenna per 150 anni ha è capitale dell’Impero Romano. La Cattedrale ha porte costruite in legno di vite e sul pavimento a mosaico della Basilica di San Vitale sono rappresentati cantaro e viti.
Il centro dell’Italia è la Toscana con i volti del genio di Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, Giotto di Bondone, Michelangelo Buonarroti, Sandro Botticelli, Nicolò Macchiavelli e Dante Alighieri. E il volto umanissimo del paesaggio, ideale equilibrio tra le forme dell’arte e l’ambiente opera dell’uomo, che si integra in una totalità armoniosa. Sente di appartenere alla natura, all’universalità. È un paesaggio segnato da ulivi argentati, scuri cipressi, vigne ordinate che sembrano esistere per adornare queste colline. Nelle città e nelle colline di tutta la regione il tempo si è fermato al Rinascimento. La storia delle viti e dei vini di questa zona è opera di alcuni nobiluomini toscani. Il barone Dino Ricasoli 150 anni fa mise a punto la formula di vinificazione del celebre Chianti, rilevato e allegro, asciutto ed elegante; nel profumo si avverte netto il profumo della mammola. Oggi i marchesi Bona e Diana Frescobaldi coltivano a vite 5000 ettari di questo terreno. Anche il mitico Brunello di Montalcino, è sinonimo di qualità esclusiva, è carico di aroma, asciutto e morbido, pieno e armonico. Separato e collegato all’ambiente di colline, residuo del letto di antichi laghi, un borgo rinascimentale dà nome al vino nobile di Montepulciano in cui la durezza del tannino lascia spazio a un gusto caldo e smussato. Nella sua tenuta il marchese Incisa della Rocchetta produce il Sassicaia, che mescola frutta rossa, balsamica freschezza e una nota che viene dal mare. Il conte Contini Bonacossi è di Carmignano, nome della località da cui viene questo prezioso vino dal profumo intenso, pieno e vellutato in bocca. Da una fila di cipressi alti e schietti si arriva a Scansano famosa per il Morellino, vino di 11,5 gradi, ben strutturato e ricco di tannini, che al naso e al gusto esalta il profumo intenso di frutti.
Nelle vicine Marche il rosso rubino carico, è la Vernaccia di Serrapetrona, 11 gradi, dalla spuma resistente, profumo floreale, gusto fresco e piacevole. Il cuore antico dell’Itala centrale è l’Umbria, piovosa nei mesi freddi e arida nei mesi caldi. Le colline sono composte da sedimenti di antichi laghi e torrenti. Qui un moderno vinificatore, Giorgio Lungarotti, ha creato il Torgiano rosso, di 12 gradi dall’odore avvolgente di confetture e spezie, sapore asciutto e armonico. Fu il primo vino che i giapponesi videro bere in pubblico dall’imperatore Hiro Hito a Tokio durante la visita del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. La storia dell’enologia è stata ricostruita da Lungarotti con l’eccezionale Museo del vino collocato a fianco dell’azienda. Sempre in Umbria si chiama Sagrantino il vitigno autoctono che permane a Montefalco dal Quattrocento. Il vino che si ricava è rosso scuro, di 13 gradi, profumo di violetta, more e spezie, sapore armonico, vellutato e di buona struttura.
Campania, Puglia, Basilicata, Calabra e le isole. Il lento divenire geologico dell’’Italia meridionale ha originato montagne dalla forma speciale e isole. Sono vulcani attivi e spenti, terre ricche di scorie vulcaniche e componenti minerali. E godono di tanto sole
Nella zona d’Avellino il clima è temperato e i terreni fertili, ricchi di ferro. Le vigne circondate da boschi e prati rendono al rosso rubino carico Taurasi il profumo della marasca e della viola, il sapore è pieno e completo, dotato di tannicità. Qui, nelle dolci colline formate da potassio e fosforo nasce un trio di grandi bianchi. Fiano d’Avellino, elegante e fruttato e dal gusto morbido. Greco di Tufo, dalla bella ampiezza di profumi e complessità del gusto, sensazioni fruttati e minerali. Falanghina, odore di vino fruttato e giovane, da bersi entro un anno. L’autore di tutto ha un cognome programmatico Mastroberardino.
In Basilicata tra i 200 e i 500 metri su un complesso vulcanico oggi spento, c’è il lago di Monticchio. Qui nella zona del Volture ci sono boschi e grandi alberi da frutta e le vigne dell’Aglianico, da cui viene un rosso potente, con profumo di prugna.
Poi tante isole ventilate. La Sicilia è la più grande del Mediterraneo. Qui il vino lo producono antiche famiglie nobiliari, principi, duchi, marchesi. Il duca di Salaparuta il Corvo. Nel feudo di Regaleali, alto e con acque sotterranee. Il bianco con lo stesso nome viene prodotto dal conte Tasca d’Almerita unitamente al Rosso del conte. Il vino di Donnafugata nel Belice, in Sicilia il monovarietale Nero d’Avola, di 11,5° rosso rubino, profumo con sentori di spezie e sottobosco, gusto complesso ed elegante. Poi c’è il rosso leggero Cerasuolo di Vittoria, di complessità e freschezza, fragranza e profumi fruttati. Di queste zone le più antiche tradizioni di vini dolci. Vicino a Trapani, c’è Marsala che dà il nome al vino liquoroso famoso. Di fronte c’è l’isola di Pantelleria, che produce Passito e Moscato. Più a nord, nelle isole Lipari, il Malvasia.
L’altra grande isola italiana è la Sardegna. A nord nel paesaggio aspro e modellato dal vento nasce il bianco Vermentino di Gallura di 12 gradi, profumo delicato, gusto morbido e leggermente amarognolo.
L’oro in botte
Il vino varia secondo le annate. Le grandi annate provengono quasi sempre da vendemmie scarse: un minor numero di grappoli per pianta implica un sapore più intenso. Le annate variano per qualità, ma anche per stile. Ci sono annate che danno grandi vini teneri e altre in cui la ricchezza del tannino assicura vini a lunga maturazione. Severi esperti giudicano la qualità dell’annata, e cantinieri accorti decidono quali vini invecchiare, e se più o meno a lungo. Non tutti i vini sono adatti a sostenere l’invecchiamento. Certamente non lo sono novelli e rosati.
Il vino è vivo, ha il ciclo di ogni essere vivente: giovinezza, maturità, vecchiaia. Nel tempo si modifica, trasforma colore, aroma, gusto. Avviene quel progressivo cambiamento di aromi definito bouquet. La cantina è oscura, perché la luce è nociva per questa nuova fermentazione che si svolge dentro botti o bottiglie. L’invecchiamento avviene in botti in genere di forma ellittica, costruite con legno di quercia, rovere, castagno selvatico ed acero. Esse consentono una sorta di micro-areazione con la cessione di alcuni tannini. Poi, prima di aprire botte o bottiglia, bisogna aspettare tre, otto, quindici, trent’anni di conservazione.
Abbandonate le caratteristiche di prodotto generico, il vino italiano è diventato un bene prezioso, anche una forma d’investimento. C’è chi corre ad accaparrarsi le annate buone nelle sale d’aste di Christie’s e Sotheby’s e su Internet. Ci sono anche borse del vino, a Londra – arrivata alla XIX edizione -, a Treviso e a Verona. Una banca del vino a Pollenzo alle porte delle Langhe custodisce 100 mila bottiglie, patrimonio disponibile negli anni futuri dopo un accurato lavoro di selezione e affinamento: appartengono a 300 delle migliori aziende vitivinicole nazionali. Ai primi d’aprile a Verona è possibile fare il giro del vino in cinque giorni: è Vinitaly. Dieci padiglioni grandi come hangar ospitano 3 mila stand dove i cantinieri incontrano 120 mila bevitori e esperti commercianti.
Istruzioni per l’uso
Come conservarlo, come servirlo, come abbinarlo. Per provvedere all’occorrenza: predisposizione, esperienza e conoscenza sono le prerogative di gourmet, esperti capo-famiglia, bon vivant. Ma vero maestro degli interventi per sviluppare il godimento del bere vino è il sommelier. Per diventare sommelier è necessario un corso generalmente di tre anni. Il sommelier controlla innanzitutto la temperatura dei vini. Lo spumante e tutti i vini bianchi vanno serviti freschi: tra gli 8 e i 10 gradi. Le bottiglie bisogna tenerle in frigorifero quattro ore prima di stapparle, mai in freezer. La cosa migliore è portarle in tavola nel secchiello pieno di cubetti di ghiaccio. Il vino rosso basterà tenerlo per 48 ore in un ambiente ad una temperatura costante di circa 18 gradi. Gli spumanti e i vini liquorosi e dolci vanno mantenuti a 6 gradi. Prima del consumo la bottiglia del vino rosso va aperta prima di versarlo per farlo respirare, prendere ossigeno, così favorendo un più rapido e completo sviluppo del profumo e del bouquet. Per questo il vino rosso si può mettere in brocche, il che serve soprattutto per la decantazione: i depositi calano sul fondo, la limpidità migliora. I vini frizzanti e gli spumanti vanno invece stappati poco prima di essere serviti. Per far risaltare il colore del vino versato nel bicchiere, il vetro deve essere bianco e trasparente. È servito in bicchieri specifici. Perché la mano non lo riscaldi, un contenitore cristallino a stelo per i bianchi. Perché la mano accarezzandolo lo porti a giusta temperatura, panciuto e tondo per i rossi. La forma a tulipano evita la dispersione dei profumi. La stessa forma, solo più piccola, per i vini dolci, liquorosi e passiti suggerisce la minor quantità da bere. Per gli spumanti c’è un bicchiere slanciato stretto e lungo chiamato flute. Durante il pasto per comprendere meglio il bouquet di un vino, il bicchiere va riempito solo a metà. E servirne a pranzo più di uno non è un’esagerazione, ma una buona regola: confrontandosi con un altro il vino buono si esalta. A tavola il vino va servito per l’assaggio al padrone di casa, al ristorante a chi ospita. Avuto il benestare si passa a versarlo agli ospiti, per ritornare alla fine a chi per primo ha assaggiato. A questo punto il pranzo può iniziare E abbinare vino e vivande è un’esplorazione con sempre nuove scoperte.
Sono speciali prima e dopo
Un capitolo a parte va ai vini speciali. L’aperitivo ideale deve essere secco e frizzante per stimolare l’appetito. A Venezia ci sono i bacari dove si è soliti consumare la tradizionale “ombra” di vino, accompagnati da sfiziosi “cicchetti”. Oggi si chiamano happyhours e sono diffusi dappertutto. L’uso dell’aperitivo nel celebre Harrys Bar di Venezia ha fatto il giro del mondo e i locali del consumo vengono chiamati wine bar. Ma dire aperitivo in tutto il mondo equivale a dire Prosecco, vino proprio del Veneto, la cui storica capitale è Venezia. I vini dolci naturali si accompagnano alle portate dolci che chiudono il pranzo e sono ottimi da sorseggiare anche dopocena. E qui l’offerta geograficamente parlando è ampia. Dal Piemonte col Brachetto, rosso porpora e rubino, di 11,5 gradi; e con l’Asti spumante di color giallo paglierino, con le note aromatiche del moscato. Al Veneto con uve messe ad appassire su graticci per sei mesi il Recioto di Soave, giallo brillante con tonalità dorate, il sapore ricco di vellutate morbidezze e persistenza aromatica. All’estremo nord del Friuli, due bianchi da dessert, rari per la poca quantità di uve che li producono. Il rinomatissimo Picolit dal bouquet pieno, fiorito, pieno e caldo, e il pregiato Ramandolo di Molinara, leggermente frizzante dall’odore di frutta matura, sapore dolce e vellutato. Poi si passa all’estremo sud delle isole. Dalla Sicilia di quantità limitata sono i Moscati di Noto, piacevoli e dolci, da bersi giovani. Più giù sulla costa sono stati gli inglesi a scoprire il Marsala. Con esso l’ammiraglio Nelson corroborava l’interra marina britannica. Ma la vera storia del Marsala comincia nel 1773 quando John Woodhouse lo diffonde in tutto l’impero britannico, cioè in tutto il mondo. La maturazione in legno per lunghi periodi e la confusione tra più annate infondono al Marsala le sue specifiche caratteristiche. Il colore è dorato, il gusto morbido. Nell’arcipelago delle Lipari, soprattutto nella verde Salina, si coltiva il vitigno del Malvasia. I grappoli appena raccolti vengono posti per 10-15 giorni su piccoli stenditoi di pietra al sole che asciuga l’acqua in eccesso, concentrando così le sostanze saporose. In questo modo viene creato il Malvasia dal color giallo ora ambrato, dal gusto dolce e morbido, il profumo di erbe aromatiche, fichi secchi e miele. Il vento spira a Pantelleria ricca di pomice, dove il vitigno Zibibbo viene coltivato in buca per assorbire la rara umidità dell’isola. Ne proviene il Passito, dorato dai toni ambrati, sapore intenso e persistente con equilibrio tra dolcezza, morbidezza e freschezza.
Per un buon vino, cura la vite
In primavera inizia la nuova stagione vegetativa della vite, sputano le prime foglie che si stendono al sole per raccoglierne la luce e con l’ombra proteggere l’uva dalla violenza dei raggi. In aprile compaiono le prime gemme. In maggio i fiori. Verso la fine di giugno cominciano a formarsi i primi grappoli verdi. In ottobre l’uva è matura dappertutto. Per sviluppare la qualità del vino, è decisivo il lavoro nel corso dei mesi, la vigna è una pianta che necessita di tenere cure. Il vignaiolo mette sostegni ai fragili rami della vite, ara il terreno, pulisce la vigna, rimuove i getti nuovi, irrora la vite con pesticidi contro gli insetti e la spruzza con solfato di rame contro funghi e microrganismi, diserba la vigna, cima i tralci lunghi, concima, elimina i rami troppo estesi, riporta nella vigna il terreno dilavato dalle piogge, incomincia a potare. Ad inizio d’anno per chi vuole impiantare nuovi vigneti vengono selezionate le barbatelle, giovani pianticelle nate nei vivai, munite di radici ottenute per talee di viti che producono le varietà migliori del mondo tra le migliaia esistenti, La complessa scienza che le studia si chiama ampelografia. Con gli innesti anche I vignaioli sono costantemente all’opera per creare nuove varietà e perfezionare le qualità esistenti. Sessanta, settant’anni: così è lunga la vita di una vite dal momento dell’impianto.
Il mondo nelle bottiglie
Il successo planetario dei vini italiani mostra anche che il maggior apprezzamento va nel 58 per cento ai vini da tavola, nel 25 per cento ai vini di qualità DOC e DOCG, nel 9 per cento ai frizzanti, il 7 per cento va agli spumanti. Tante bottiglie di vino nel mondo.
“Coloro che usano le cantine per nascondere oro e argento invece che fiaschi e bottiglie – diceva Francois Rabelais – verranno gettati in un lago infuocato”
28 novembre 2024