Non accettate suggerimenti letterari, nemmeno dagli esperti. Ho chiesto ai miei amici, professori d’italiano o di letteratura tedesca, mi incuriosisce Thomas Bernhard, che ne pensi di lui? La maggior parte mi ha mostrato il palmo delle mani e ha risposto con dei “è un autore pessimista”, “è uno scrittore in cui prevale la negatività”, “la sua sintassi è ripetitiva”. Quindi, ho comprato tre romanzi di Bernhard tutti insieme e cosa ho scoperto? Che sono uno meglio dell’altro. Il soccombente, Estinzione, Gelo. Invadenti al limite del disturbo, realistici fino alla vergogna passiva (la vergogna passiva è il disagio che il lettore prova per quello che l’autore scrive).
Ora, ai miei amici non chiedo più niente. Nessun consiglio. Però, quando ci siamo rivisti, ho detto loro “non capite nulla di letteratura”, “avete studiato per niente”, “i vostri genitori hanno buttato i soldi e i genitori dei vostri studenti stanno buttando gli studenti”.
Leggete Bernhard, che forse siete ancora in tempo!
A quelli che suonano la chitarra – sapete, i miei amici di sinistra moderata (buttato anche il voto negli ultimi trent’anni) suonano la chitarra elettrica – ho detto “mo vi leggete Il soccombente. E subito. Ve lo presto io, basta che non mi cancelliate gli appunti. Sennò, a Capodanno vi cercate un altro posto dove fare nottata: a casa mia non si fa più niente. Ovviamente, si sono cagati addosso, perché da me c’è la taverna grande e ci stiamo in venti. E quindi, tutti i professori e i lettori forti (ma forti di cosa, poi?) hanno letto Il soccombente e ora dicono si intravede, è vero, una forte tentazione nichilista, ma è un romanzo bellissimo. Hai fatto bene a insistere.
Ah, adesso è bellissimo? E comunque non ho “insistito”: era un ricatto proprio. E così, ho continuato nei suggerimenti, cioè nel dare quello che vi ho appena detto di non accettare. A quelli che hanno avuto un’infanzia difficile, ho detto leggi Estinzione, che lì c’è scritto tutto, anche quello che non hai capito di te stesso e dei tuoi genitori. Gelo, invece, lo presto indistintamente, perché lì c’è tutto ciò che pensano quelli che odiano il mondo e lo odiano perché lo hanno interpretato correttamente. Ora, insomma, i miei amici leggono Bernhard – insieme a tante altre stronzate, naturalmente, ma lo leggono. E passano un Capodanno divertente. Vedete? Io uso il potere a fin di bene.
Ma dovevamo parlare di un altro romanzo e io ho divagato (però avete capito di chi è la colpa). Adesso, diciamo due cose su Perturbamento. Perturbamento aveva bisogno di essere scritto da un pazzo, il che non significa che l’Autore lo sia, ma che doveva far finta di esserlo, per descrivere un mondo di pazzi. E quindi ha riempito di pazzi il romanzo. Accenniamo a ciascuno di essi.
Il più pazzo di tutti è il principe Saurau, il protagonista, che conduce un monologo letale, con inizio a pagina 91 e termine alla 220, dicendo una cosa e il suo opposto nel medesimo periodo verbale. Ed è talmente rigoroso nelle sue argomentazioni, da convincere anche voi di ciò che sta vaniloquiando. Ed è talmente rigoroso nello smontare le proprie argomentazioni, da convincervi anche del loro contrario.
Pazzo è anche il destinatario di quel monologo, cioè il medico che è andato a visitare il principe per prescrivergli le sue medicine e per vedere quanto è pazzo. Il dottore è pazzo perché non smette mai di ascoltare, muto, il soliloquio del principe. Si tratta di almeno cinque ore, durante le quali i due camminano lungo le mura esterne e poi lungo le mura interne del castello di Hochgobernitz (dopo aver letto un altro romanzo di Bernhard, Camminare, ho capito che il camminare e l’impazzire, l’impazzire e il camminare sono, in Bernhard, strettamente correlati. Si cammina impazzendo e si impazzisce camminando. Ma non devo divagare di nuovo, sennò facciamo Natale e i miei amici bussano alla porta. E poi di Camminare non scriverò mai una recensione, perché non io voglio diventare pazzo).
C’è un terzo pazzo: il figlio del medico, che accompagna il padre nel suo giro nella valle e lo fa nonostante sappia che i pazienti che il padre dovrà visitare sono sadici, o storpi, o morenti, o completamente pazzi. Il figlio del medico è pazzo perché se ne sta zitto per tutte quelle ore, mentre il principe pazzo parla al medico pazzo. E non manifesta neanche una volta il bisogno di andarsene. Anzi, a un certo punto, osserva il proprio padre e, di lui, dice che non gli era possibile lasciare il principe, perché stava trovando estremamente interessante ciò che questi diceva. E che lui stesso, il ragazzo, trovava molto interessante ciò che il principe diceva. E dunque, con il ragazzo, siamo a tre, in quanto a pazzi.
Di pazzi ce n’è anche un altro: il figlio del principe di Saurau, che non è presente sulla scena, perché sta facendo gli studi a Londra, ma nel racconto è costantemente richiamato dal proprio padre. Che lo studente sia pazzo non è un fatto accertato, né provato nel romanzo, ma lo si sospetta da ciò che ne dice il padre, mentre cammina senza sosta. E devono essere per forza dei pazzi anche i componenti di una delle famiglie che il medico va a visitare, visto quello che fanno nella gabbia degli uccelli (i dettagli non ve li do, perché si sta facendo molto tardi).
Ma non state tranquilli: l’elenco dei pazzi non si è esaurito, in Perturbamento. Ce ne sono altri. Sono pazzi i candidati al posto di amministratore della tenuta della famiglia Saurau, che consta di boschi, coltivazioni, prati, allevamenti. E lo sono perché accetterebbero di lavorare in mezzo alla gola di una montagna dove il sole non arriva mai, neanche per un minuto al giorno. Sono pazzi anche perché dovranno lavorare a contatto con il principe e, probabilmente, anche con le sue sorelle, che devono essere pazze anche loro, perché lo confinano tutto il giorno nella sua stanza. La stanza del principe è la biblioteca, dove egli cammina da mattina a sera facendo finta di lavorare e meditare, mentre invece non pensa e non fa assolutamente nulla.
Tutto va verso la pazzia, in Perturbamento; e questo titolo esprime quindi un concetto ancora troppo debole rispetto allo stato d’animo o alla situazione psicologica dei personaggi. Ma, in questa storia, un punto di luce calda c’è. È il sentimento che i padri (maschi) sentono per i figli (maschi) – non c’è parità di genere, mi dispiace. Ho detto che mi dispiace. Quel sentimento assume, fra un rigo e l’altro, faticosamente, la forma dell’amore. Un amore di cui si vede solo la coda, come fosse un animale che è fuggito nel bosco e infatti l’amore è sempre per un figlio che si trova lontano, con la residenza e o con l’anima, mentre il padre resta a casa, a non capire le scelte del figlio. È un amore sempre disturbato dalla differenza, dalla diffidenza, dalla sfiducia. Dalla privazione della parola, perché i padri amano i figli, ma non parlano con i figli. Non c’è affetto, tenerezza, complicità. Ma quell’amore appare, a noi che leggiamo, improvvisamente fortissimo, perché è l’ultimo appiglio che tiene attaccati alla vita biologica tutta questa gente. Però non sono sicuro di ciò che ho appena scritto, non posso garantirlo – l’ho detto subito di non accettare consigli di lettura! Forse, questo amore non c’è, l’ho visto solo io, perché, a frequentare i pazzi, si perde capacità di giudizio.
È indubitabile che addentrarsi in un’opera di Bernhard è fare un patto con le idee più estreme, con le prese di coscienza più definitive. L’uomo di Bernhard ha guardato nel baratro e, anziché vedere il buio dunque nulla, ha visto tutto. Ha rivisto tutto, ritrovando ciò che pensava di aver lasciato dietro di sé. Perché nel baratro è il mondo. E il perturbamento è anche nostro, mentre leggiamo, visto che, a ogni pagina, ci aspettiamo una tragedia, un fatto improvviso e violento, un’esplosione intima, un crollo. Uno dei talenti di questo singolare mostro della narrazione è la capacità di creare una tensione non con le azioni, né con i dialoghi, bensì con il paesaggio psicologico. I pensieri dei personaggi sembrano esercitare una pressione insostenibile nei loro crani, quindi, se non è una frana della parete rocciosa ciò che temiamo accada da un momento all’altro, se non è la deflagrazione di una tanica di benzina nella cascina, sarà un urlo, un ruggito, una testa che esplode a causa del rielaborare gli stessi concetti inquinanti.
State attenti: subire il perturbamento significa essere investiti da una pazzia attiva, mobile, che si avvicina. Una pazzia che esce anche dalle pagine, cola sulla rilegatura. Non metteteci il segnalibro di carta in questo libro: si bagnerà. E non s’asciugherà, anche se lo lasciate al sole. E non leggetelo in montagna questo romanzo. Quantomeno, non dopo il tramonto! Piuttosto, al sole, al mare. E prima che le giornate si accorcino troppo.
C’è un ultimo pazzo che ha a che fare con questa storia: siete voi. Voi che metterete un piede nella pazzia, se superate la pagina 90. E cercherete di seguire i ragionamenti dei personaggi, pensando che siano ragionamenti. E, invece, sono crampi cerebrali, tentativi di elaborare una realtà incoerente o semplicemente spiacevole. Lampi di lucidità più pericolosi della pazzia. Ma la pazzia ha un grande vantaggio: finché restate in questo libro, è un parco giochi della mente. Il guaio verrà quando lo chiuderete e la realtà somiglierà al libro.
6 agosto 2024