Politica e rappresentazione
La politica dovrebbe cambiare il mondo e risolvere i problemi. Ma senza concreto sguardo al sociale essa si trasforma in comunicazione e marketing elettorale. Per questo metà degli elettorati europei ha abbandonato il campo. Elezioni europee e G7 alle spalle. Anche qui uno scenario individua nodi e affronta decisioni. L’altro si accontenta di ricomporre immagine e percezioni. Giorgia Meloni, da presidente del G7, ha affrontato positivamente (salvo alcuni nodi polemici e alcuni toni irritanti) le argomentazioni e opportunamente sta organizzando la missione in Cina sui nodi globali non sciolti. Ma da presidente dei conservatori europei vorrà crescere istituzionalmente accogliendo il probabile quadro di governance o sarà tentata da un’altra battaglia in partenza minoritaria puntando a riunire, dopo il probabile successo francese, la finora scomposta filiera delle nuove destre?
C’è ormai quasi sempre un doppio scenario per la politica, per chi cerca di viverla e di interpretarla e per come la intende la gente. Per noi un po’ più preoccupati (ma ci comprendo anche un pezzo importante di ceto politico e classe dirigente connessa) è un rebus attorno alla complessità globale dei problemi che vanno compiendo una trasformazione non tanto dichiarata. Quella che va portando in minoranza le soluzioni democratiche e in crescita le soluzioni autoritarie.
Alla fine, questo è il dilemma cruciale. Quello che tocca i nodi costituzionali, le regole generali dell’agire politico. Per una parte cospicua della “gente” (ma dovrei dire la parola giusta, chiamandola “l’elettorato”) la politica è un soprammondo di potere, visibilità e affari che coincide con una sorta di “altro da sé”.
Insomma, una casta che o si occupa del tuo interesse spiccio (un bonus, un posticino per tuo figlio, uno sgravio fiscale, togliere un debito, sanare la verandina abusiva) oppure è come era il cinema nel dopoguerra per tornare a fare sognare la gente. Macchinoni, paparazzi, sartoria di lusso, eventi su eventi, scorte rombanti, foto opportunity ciascuna con il suo pubblico di riferimento, eccetera eccetera. Con scandali e scandaletti a intervalli regolari per fenomeni di corruzione o di collusione. Il calendario, anche quello recente, ci propone lo specchio fedele di questi diversi copioni. E dico la parola “specchio” non a caso, in questa rubrica che si occupa di “rappresentazione”.
La spaccatura fra votanti e l’altra metà della cittadinanza ‘fuori dal gioco’
Con le elezioni europee – lo abbiamo temuto, così è successo – le poste in gioco dell’Europa sono state totalmente derubricate dalla campagna elettorale. E così alla fine abbiamo visto un altro capitolo della spaccatura irrimediabile tra i votanti e l’altra metà della cittadinanza fuori dal gioco che – sommando mille ragioni, oggettive e soggettive – rende ormai in Italia la scelta popolare democratica a non arrivare nemmeno a quota 50 per cento, stabilendosi l’astensione al 51 per cento. Non una catastrofe, ma un peggioramento.
La proposta elettorale così fatica molto a interpretare la società dei disagi, dei sacrifici, della fatica di vivere e di misurarsi con crisi e disuguaglianze. Insomma a dimostrare che è veramente preoccupata di costruire concreti miglioramenti. È tesa invece in modo esasperato, dominato dal marketing e non dalla filosofia, a disputarsi il voto che c’è, quello che rimane a disposizione. Tendenzialmente voto militante. Ovvero di chi non molla rispetto all’opinione che ha della politica più qualcuno che non vuole rinunciare a un diritto, quello di votare, che una volta era irrinunciabile. Così, per un principio chimico, la bagarre diventa il copione obbligato.
L’uso della clava nella polarizzazione politica e in Parlamento…
Un “teatrino” fatto di battute più che di ragionamenti, di alzate di scudi più che di ricerca di soluzioni, di utilizzo della semplificazione digitale per scendere negli abissi delle ovvietà e tornare a usare la clava nella polarizzazione, piuttosto teatrale, tra categorie che riassumono simbolicamente la polarizzazione stessa. Perfetta quella tra fascisti e comunisti, come fossimo ancora nella guerra civile tra il ‘43 e il ‘45.
Poi la frizione slitta e finisce che a Montecitorio si consuma anche un capitolo fisico di quelle randellate. Basta che uno provochi, l’altro raddoppia la provocazione. E avviene per confermare che il copione delle elezioni non era falso, che quando ce l’hanno con il nemico fanno sul serio. E anche per la miseria di qualche parlamentare quaquaraqua di conquistarsi cinque minuti di telegiornale.
Insomma questo il film che abbiamo tutti visto. Che però aveva come titolo “le elezioni europee e cosa succede dopo”. Ma che distorsione! Durato per fortuna pochi mesi. Lo temevamo, è successo. Non ha migliorato di una iota né la qualità dell’offerta politica, né l’incoraggiamento alla partecipazione (cioè a qualificare la domanda politica).
Il film poi finisce. E al botteghino del cinema si contano i biglietti venduti e i soldi incassati.
… e lo spettacolo hollywoodiano nella tre giorni dei grandi della Terra
Non si fa in tempo a digerire (mediaticamente) questo spettacolo dei finti cazzotti alla Bud Spencer o delle colt dei cowboy che sparano più veloci del vento, Vannacci in testa, che viene servito in cinemascope un altro spettacolo, questa volta veramente hollywoodiano.
La tre giorni dei grandi della Terra – ma tutti, proprio tutti, assortiti in modo più che spettacolare (il Papa in bianco e il perfido Erdogan in nero, il francese che bacia le mani e l’americano che inciampa, l’indiano in costume e Ursula von der Leyen haute couture sobria) nella location di una Puglia italiana (magnifica, va detto) studiata per impressionare sia i contadini che gli intellettuali. Perché la trama di questo film da un lato è “tutti insieme appassionatamente”, dall’altro lato è la rigenerazione del mito di Federico II, un grande tedesco che sceglie il sud e da lì governa l’Europa (cioè il mondo conosciuto del tempo).
Il tutto condito da una tale quantità di variazioni del tema “stupor mundi” (era l’appellativo appunto di Federico II) da rendere il successo logistico più importante del successo politico-diplomatico.
Il documento finale del G7 di Borgo Egnazia e la conferenza stampa finale di Giorgia Meloni
Che comunque porta a casa 36 pagine di un documento in linea con il tira e molla di questi mega-meeting, una parolina in più, una in meno, ma con la citazione di alcuni equilibri sulla agenda mondiale che fanno cantare vittoria un po’ a tutti, cercando qui di non darla vinta a Putin, che intuendo che si sta proiettando un film di Hollywood (cioè i film che sotto sotto piacciono tanto ai russi), mette in scena al Cremlino una contro-replica degna di Ivan il Terribile, cinquecentesco zar di tutte le Russie ricordato per le sue crudeltà.
“L’Ucraina deve ritirarsi dall’Ucraina”
hanno scritto le vignette satiriche. Altrimenti mettiamo mano all’arsenale nucleare.
Due parole sul momento sempre chiave di questi vertici (personalmente ne ho vissuti due, uno a Tokyo, l’altro a Napoli e so che – salvo saluti e fotografie – il momento-verità della centralità dell’ospite è la conferenza stampa conclusiva).
Quella di Giorgia Meloni è alle ore 14.00 di sabato 15 giugno presso la Sala Arena di Borgo Egnazia. 45 minuti di speech e 45 minuti di risposte. L’ho seguita integralmente. In sintesi ho trovato la premier piuttosto argomentata e capace di fornire, attraverso i media, all’opinione pubblica l’idea di un buon presidio (come leader italiana ma anche come presidenza annuale del G7) ai temi che stanno nel dossier globale.
Anche su temi delicati, come quello del rapporto tra investimenti nella connessione tra tecnologie e armamenti (che è poi uno dei nodi su cui la Meloni ha favorito la presenza del Papa al G7, da lei lodato). E persino sul tema dell’articolazione delle politiche in campo migratorio. Abile ma speciosa sul nodo formale dell’aborto.
Diciamo che in complesso – da quel che appare qui – il successo elettorale della Meloni potrebbe rafforzare la costruzione del suo profilo istituzionale più che dei suoi occasionali rifugi di combattente ideologica.
Tra percezione e rappresentazione: le parti sfuocate della foto di gruppo di Borgo Egnazia: statu quo dell’Europa o adeguamento alla velocità dei problemi planetari, dell’Europa e dell’Italia?
A questo punto cosa resta nel dietro le quinte delle connesse rappresentazioni dei tre scenari che si sono intrecciati in queste vicende, quello nazionale, quello europeo e quello globale? Resta quel conteggio di biglietti “immateriali” venduti e soldi “immateriali” incassati di cui si parlava prima. Che si traduce in tre sintesi della situazione in parte chiara, in parte ancora sfuocata.
Nel ridisegno di poteri e di rapporti di forza, che non si risolve solo con la tabella dei risultati elettorali o con la foto di gruppo di Borgo Egnazia, ma anche con l’esito di un rapporto magico e vizioso tra percezione e rappresentazione, sono proprio le parti sfuocate che dovrebbero dare lavoro alle componenti più lucide e più propositive della politica e della diplomazia per giungere poi a risultati.
Nello “sfuocato”, in ci sono anche i numeri che hanno combinazioni diverse, stanno due percorsi: lo status quo (l’Europa ne sa qualcosa) oppure l’adeguamento alla velocità degli immensi problemi che stanno davanti al Mondo e all’Europa stessa e – per quel che ci riguarda – certamente anche all’Italia.
La fotografia dell’Italia e quella dell’Europa e dell’asse franco-tedesco
La fotografia dell’Italia è stata molto commentata in questi giorni. C’è il consolidamento della dinamica bipolare, con il declino per ora dell’affannoso ciclo del cantiere “terzo polo” (non morto idealmente e politicamente, ma da ridisegnare dall’a alla zeta), con il traino della destra per il centro-destra e il traino della sinistra per il centro-sinistra (alleanza PD schleiniana – con la sinistra ambientalista); con i confini meridionali per il Movimento 5 stelle ridimensionato la cui negozialità è devitalizzata; con i confini fascisteggianti per la Lega lasciata ora alle convulsioni interne e all’imbarazzante spazio di tentare di essere la destra della destra.
In buona sostanza c’è il consolidamento di Giorgia Meloni e, come era nella prima Repubblica, un ruolo più forte per una opposizione simmetrica in capo al PD, che potendo stare al governo in Europa non è del tutto “degovernativizzata” e quindi ha più campo di gioco almeno per un po’, poi si vedrà.
La fotografia dell’Europa è densa di incognite e si vedrà a breve quale punto di equilibrio avrà la ricerca di una maggioranza. Si devono fare i conti con la crisi della Francia, gravissimo passaggio per la Francia stessa e per l’Europa; con l’erosione pesante per il governo tedesco, in cui pure cresce l’estrema destra; così che l’asse europeo franco-tedesco va in frantumi, lasciando a Spagna e Italia – con le loro opposte appartenenze europee – la possibilità di avere più spazio anche per la governance europea.
Ed è proprio la premier italiana (come leader dei conservatori europei) ad avere più ruolo su questo punto di equilibrio.
Giorgia Meloni di fronte a due strade alternative per contare di più in Europa
Come hanno scritto molti giornali (ho sotto gli occhi El Pais)
“Meloni ha vinto e vuole contare di più in Europa”.
Già: ma contare subito, accettando lo schema altrui o contare di più poi, modificando quello schema? Cioè, tentando il patto con la destra lepenista francese e altre componenti di una destra in crescendo per costruire una polarità forte contro l’attuale centro sinistra europeo (socialisti, liberaldemocratici, popolari) immaginando per altro di puntare a dividere nel tempo la compattezza dei popolari. Via che terrebbe sempre viva la tensione bellicosa e un po’ ideologica del suo profilo. Ma che potrebbe naufragare sulle differenze sostanziali che oggi riguardano il conflitto russo-ucraino.
Oppure tentando la più difficile disponibilità a collaborare con la maggioranza Ursula, condizionando su alcuni punti lo schema attuale di governo e irrobustendo la sua evoluzione istituzionale; in cui però i veti, evidenti quelli dei socialisti, rendono possibile al massimo un patto di spartizioni di posti più vantaggioso per l’Italia che una condivisione politica della governance.
La fotografia del mondo ha al centro il rebus di come staccare la spina dai conflitti più intricati in cui il G7 ha tenuto ferme le posizioni, la Russia ha reagito – come ha detto Giorgia Meloni – come fanno i propagandisti, lei prepara (anche come presidente del G7) la missione in Cina a breve e quanto allo scenario americano non si schiera, lasciando chiaro il vincolo di legami per mantenere gli impegni sulla vicenda ucraina e per fermare la guerra tra Israele e Gaza. Il mondo non finisce qui. Il tema Africa vuol anche dire trovare le risorse e non lasciare la partita in mano a cinesi e russi. Il tema Asia è molto complesso e senza una visione europea (che tenga aperta la cooperazione geopolitica anche britannica) non riuscirebbe nemmeno a essere oggetto di interlocuzione.
Dunque, per il nostro governo che si dichiara “nazionalista” solo l’Europa rafforzata capace di agire economicamente, tecnologicamente e militarmente permette ai suoi membri (Germania e Italia comprese ovviamente) di avere qualcosa da dire a quel tavolo. Interessante contraddizione. Il passaggio di questo G7 – povero magari in sé quanto a grandi novità – potrebbe perciò contenere questa “novità” su come l’Europa sta a questo tavolo. Argomento da sciogliere presto perché a fine anno l’esito del voto in America potrebbe riservare forti cambiamenti di scenario.
Il rebus del negoziato per la nuova Europa
La domanda che sorge è questa: il cantiere in movimento di cui parliamo – Italia, Europa, Mondo – mette in tensione, a urne chiuse, certe qualità della politica solo per apparire in televisione negli eventi in calendario?
Oppure pesa sul mutamento del ceto politico per tornare a far coincidere il proprio operato con quello che il sistema universitario nobilita con l’espressione “scienze politiche”? Mi limito a dire che finché non vedremo nelle figure di governo e dei partiti la capacità di entrare nel merito delle ragioni per cui metà dei cittadini ha dissociato la politica dal proprio interesse e dalle proprie preoccupazioni, propenderemo a pensare che tra il dire e il fare c’è ancora di mezzo il mare. Cioè che la politica investe ancora più sulla comunicazione che sulla sua battaglia sociale.
La trasformazione complessa, integrale, drammatica dei problemi di evoluzione tanto delle crisi che delle opportunità del mondo è oggi raccontata dagli esperti e dagli studiosi in ogni direzione. C’è un dossier degli addetti ai lavori che non ha mai avuto tanta documentazione e tante tabelle con trend e proiezioni a disposizione come oggi. La lezione dei grandi leader dei partiti di massa o di opinione fondatori dell’Europa settanta anni fa fu quella di comprendere tre cose distinte: il senso tragico della storia; il senso scientifico di dossier altrettanto complessi; il bisogno di spiegare cose difficili per scommesse alla portata di tutti per costruire speranze collettive. Il rebus pare oggi lo stesso.
Da lunedì 17 giugno comincia il negoziato per la nuova Europa. Si capirà se può tornare in campo questo antico forte modello ancorato alla cultura democratica o se avrà successo solo la battaglia delle parole per illudere una delle più grandi comunità istruite e pensanti del mondo, gli europei, a ritentare alla fine gli spiriti animali mai domati e che è meglio tornare a scherzare con il fuoco.
Roma 16 giugno 2024