Quasi 500 camion di aiuti umanitari, viveri, medicinali, generi di prima necessità, sono transitati, ieri, dai valichi tra l’Egitto e la Striscia di Gaza, a Rafah e a Kerem Shalom, e altri aiuti sono stati paracadutati, in coordinamento tra Egitto, Giordania e Stati Uniti. Ma, avverte la Mezzaluna Rossa, che fa il punto dell’assistenza umanitaria ai civili palestinesi, è ancora poco per assicurare condizioni di vita accettabili alla gente di Gaza, circa due milioni di persone che ora rischiano d’essere lasciata al proprio destino perché il Mondo si distrae da loro e guarda a Iran e Israele, paventando nuove tensioni su quel fronte.
Onu, Usa, Ue, il Papa: gli inviti alla moderazione sono un coro, perché Israele e Iran si fermino qui, dopo la provocazione israeliana e la reazione iraniana. Risultato: il botta e risposta tra Israele e Iran non sembra destinato ad avere seguiti immediati; ma nessuno abbassa la guardia, anche se nessuno intende rilanciare subito l’escalation.
Israele morde il freno. Il governo dice: “Faremo loro pagare un prezzo come e quando ci conviene”. I militari confermano: una risposta ci sarà, ma “per il momento non intendiamo estendere le nostre operazioni militari” – parole del portavoce dell’Esercito Daniel Hagari -. E, dentro il governo e nell’opposizione, ci sono differenze su come rispondere all’Iran senza innescare l’escalation.
Quanto ai responsabili iraniani, dichiarano chiuso il conto, almeno a questo stadio. La ritorsione della notte tra sabato e domenica era puntata solo su obiettivi militari israeliani, senza coinvolgere interessi statunitensi e/o occidentali. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani dice: “Le forze armate iraniane hanno agito in modo responsabile e professionale e hanno colpito solo obiettivi militari israeliani: i nostri attacchi aerei contro Israele si basavano sullo Statuto dell’Onu; erano necessari, legittimi e proporzionati al recente attacco israeliano al nostro consolato in Siria”.
Gli alleati di Israele si sforzano di allontanare la Regione dal baratro d’un allargamento del conflitto ad altri attori, dopo oltre sei mesi di guerra fra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, innescata dalle incursioni terroristiche di Hamas in territorio israeliano il 7 ottobre. Alle circa 1200 vittime, più quasi 300 ostaggi, di quel giorno d’indicibile orrore, se ne sono aggiunte 34 mila palestinesi, secondo i responsabili della Sanità a Gaza. E le preoccupazioni di ulteriori escalation sono grandi.
Israele – Iran: la diplomazia dei consulti un po’ sterili e ripetitivi

L’attacco dell’Iran a Israele, diretta e scontata conseguenza del bombardamento israeliano, l’1 aprile, del consolato iraniano di Damasco – 14 le vittime -, rimette in moto la diplomazia un po’ sterile e ripetitiva dei consulti al massimo livello. Domenica, ci sono state una riunione d’urgenza del G7, suggerita dagli Usa e convocata dall’Italia, che ha la presidenza di turno del Gruppo dei Grandi, e una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La delegazione iraniana ha chiarito che Teheran non vuole “impegnarsi in un conflitto” con gli Stati Uniti, ma si riserva di “rispondere” a eventuali operazioni militari americane. Quella israeliana ha chiesto “tutte le sanzioni possibili” contro l’Iran: difficile che ne decida l’Onu, probabile che ne adottino il G7 e l’Ue. L’Onu discute l’ammissione della Palestina come Stato membro a parte intera – attualmente, è osservatore -.
I ministri degli Esteri dei 27 hanno fatto martedì un consulto straordinario. Il capo della diplomazia europea Josep Borrell ha pubblicato una dichiarazione di condanna dell’attacco iraniano. E il tema è sull’agenda dai capi di Stato e/o di governo dei 27, che si vedono a Bruxelles questa settimana e che dovrebbero concordare un appello a Israele perché mostri moderazione.
Per un analista del think tank Usa Council on Foreign Relations, Ray Takeyh, questo è il momento di maggiore rischio di allargamento regionale del conflitto dallo scoppio delle ostilità.
Maria Luisa Fantappié, dell’Istituto Affari Internazionali, nota: “Israele e Iran non vogliono entrare in un conflitto aperto. Tuttavia, gli scambi di fuoco potrebbero condurci a questo sviluppo. L’Ue deve guardare agli Stati arabi della Regione, in particolare ai membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, come alleati per aiutare a sventare questa possibilità”. Ma la diplomazia occidentale nella Regione è più americana che europea.
C’è chi pensa che la reazione iraniana all’attacco israeliano abbia rafforzato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, messo sotto pressione dal presidente Usa Joe Biden e da molti altri leader occidentali per la guerra a Gaza e cui ora è più difficile rifiutare aiuti. Il Washington Post osserva che il confronto Iran-Israele “allontana l’attenzione da Gaza”. Per Stefano Feltri, l’azione iraniana è “una prova di debolezza” del regime di Teheran: “La pioggia di missili su Israele è il prezzo pagato dagli ayatollah ai pasdaran per mantenere il potere, nonostante lo scontento verso il regime”.
Chiaro ed esplicito il cancelliere tedesco Olaf Scholz: “L’Iran deve archiviare questa aggressione… Il nostro consiglio è che anche Israele partecipi alla de-escalation”. Ma, naturalmente, vi sono pure prese di posizione più bellicose di quelle dilatorie. L’ambasciatore d’Israele a Roma Alon Bar avverte: “Finché non troveremo un modo di fermare l’Iran il rischio d’escalation esisterà”. “Se Israele intraprenderà una nuova azione contro l’Iran – fa sapere il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian -, dovrà affrontare una risposta molto forte”.
Le alternative d’azione israeliane possono essere: un attacco sull’Iran, colpendo, ad esempio, installazioni nucleari; un attacco su milizie sostenute dall’Iran nella Regione; operazioni mirate contro interessi e/o personalità iraniani nel Mondo. Teheran minaccia, come risposta, di usare “un’arma mai vista”.
Israele – Iran: massima l’allerta anti-terrorismo

Innescata dalla guerra a Gaza e innalzata dopo l’attentato dell’Isis a Mosca il mese scorso, resta massima l’allerta anti-terrorismo, anche in Italia, con un aggiornamento degli obiettivi sensibili tenuti sotto controllo. Si riunisce al Viminale il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, presenti i vertici delle forze di polizia e dell’intelligence; e si riuniscono le commissioni Esteri di Camera e Senato, con i ministri degli Esteri e della Difesa Antonio Tajani e Guido Crosetto.
A Parigi, si preparano piani alternativi per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi, se i rischi fossero eccessivi per la sfilata sulla Senna di barconi con atleti e delegazioni prevista il 26 luglio: una cerimonia “limitata al Trocadéro” o “riportata all’interno dello Stade de France”. Dei “piani B e C”, parla il presidente francese Emmanuel Macron, che chiede aiuto al presidente cinese Xi Jinping “per avere una tregua olimpica” durante i Giochi – Mosca è fredda in merito -; e giudica, come molti, “sproporzionata” la risposta dell’Iran a Israele.
Contro l’Iran, nella percezione dell’Occidente, gioca l’appoggio del regime di Teheran alla Russia nell’invasione dell’Ucraina: quelli lanciati su Israele e intercettati sono gli stessi droni che ogni notte la Russia lancia sulle città ucraine, danneggiando le infrastrutture energetiche e uccidendo civili. E’ quello che il Washington Post considera “il disperato allineamento di Russia, Cina, Iran e Corea del Nord”.
Kiev ammette che la situazione è “tesa” sul fronte orientale: l’esercito russo, in superiorità numerica, continua ad avanzare. Gli aiuti militari Usa all’Ucraina sono tuttora bloccatiti, mentre Mosca continua ad avere accesso a “componenti critici necessari per produrre missili e droni”, da parte dell’Iran e della Cina, constata il presidente Volodymyr Zelensky. La Germania manda Patriots; Stati Uniti e Regno Unito colpiscono la Russia con ulteriori sanzioni; ma non basta.
Israele – Iran: che cosa è accaduto nella notte tra sabato e domenica

I circa 300 missili – 120 balistici e una trentina di cruise – e droni che l’Iran ha lanciato nella notte tra sabato e domenica contro Israele vengono intercettati “al 99%” dalle difese antiaeree israeliane e dai loro alleati, ma s’abbattono sulla campagna elettorale per Usa 2024. Il presidente Biden segue gli eventi che possono incendiare il Mondo nella Situation Room della Casa Bianca, dopo avere fatto saltare tutti i suoi programmi del fine settimana: con lui, c’è il team per la sicurezza nazionale, il segretario di Stato Antony Blinken, il capo del Pentagono Lloyd Austin, i vertici militari; la vice Kamala Harris è collegata in video.
L’ex presidente Donald Trump, invece, prima scrive sul suo social Truth; “Israele è sotto attacco. Con me presidente non sarebbe mai successo”. Poi, fa un discorso a un comizio in Pennsylvania, come da programma, e critica il rivale: “L’attacco dell’Iran contro Israele è segno della debolezza degli Stati Uniti guidati da Biden”.
L’ondata di missili e droni iraniani, insolitamente annunciata – alla partenza e non a cose fatte – dall’agenzia iraniana Irna, tiene il Mondo intero con il fiato sospeso: è l’inevitabile e scontata ritorsione all’attacco israeliano sul consolato dell’Iran a Damasco l’1 aprile – fra le 14 vittime, c’era un generale dei pasdaran -; e fa schizzare in alto il rischio di un allargamento del conflitto.
Missili e droni non partono solo dall’Iran, ma anche da Yemen, Libano, Siria e Iraq, dove operano milizie che rispondono a Teheran. Il bilancio dell’azione è, nelle dichiarazioni di Israele, modesto, rispetto all’ampiezza dell’attacco: danni limitati a installazioni militari – specie una base nel deserto del Negev, che resta operativa – e una trentina di feriti, tra cui un bambino e una bambina – molti dettagli non sono confermati o sono contraddittori tra una fonte e l’altra -. Teheran dichiara, invece, d’avere centrato tutti i suoi obiettivi.
Si sapeva che Israele ha difese anti-aeree efficaci contro missili e droni – questi ultimi, se lanciati dall’Iran, impiegano 7/9 ore a giungere sui loro obiettivi e lasciano quindi un tempo di reazione sufficiente -. Ma c’era l’eventualità che un attacco così massiccio potesse ‘bucare’ le difese, nonostante Israele fosse preparato: da due settimane, l’intero Paese e le forze armate erano in stato d’allarme.
Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia hanno contribuito a intercettare gli ordigni iraniani; e anche la Giordania ha protetto il proprio spazio aereo. A conti fatti, l’impatto dell’attacco è minimo. “Li abbiamo respinti: insieme vinceremo”, commenta Netanyahu. Biden gli telefona: i due parlano 25 minuti. Il presidente manifesta l’incrollabile sostegno degli Usa a Israele, ma avverte il premier di non essere favorevole a un contrattacco contro Teheran; se ci fosse, Israele non potrebbe contare sul supporto diplomatico e militare americano.
Prima dell’attacco, sempre sabato, i pasdaran iraniani avevano sequestrato nello stretto di Hormuz una nave container: il mercantile Msc Aries batte bandiera portoghese, ma è legato, dice l’agenzia di stampa iraniana Tasnim, alla compagnia Zodiac Maritime, sede a Londra e proprietà israeliana. Sulla Aries, ci sono 25 marinai, 17 sono indiani: un’ennesima azione contro la libertà di navigazione diretta conseguenza della situazione a Gaza.
Dove le operazioni militari israeliane continuano, mentre la tensione si alza in Cisgiordania. Netanyahu promette di vendicare l”uccisione di un un ragazzo israeliano di 14 anni, durante scontri tra palestinesi e coloni, sostenuti dall’esercito, nel villaggio di al-Mughayyir. Dal 7 ottobre, oltre 460 palestinesi sono stati uccisi da fuoco israeliano nei Territori, la maggior parte in scontri aperti da incursioni dell’esercito o da provocazioni di coloni. Dal Libano, Hezbollah continua a lanciare razzi sul Nord di Israele.
Le forse armate israeliane preparano l’operazione militare a Rafah, nonostante l’ostilità americana. Per Netanyahu, squadre di fondamentalisti sono in quella zona e non dare loro battaglia vanificherebbe la campagna nella Striscia. Per Biden, l’approccio del premier “è un errore”: “Non sono d’accordo con quello che fa”, aveva detto prima dell’attacco iraniano. Le trattative per una tregua e per la liberazione degli ostaggi paiono adesso “a un punto morto”: i familiari degli ostaggi accusano il governo di non fare abbastanza per salvarli; e Hamas sostiene di non sapere dove siano e se sìiano ancora vivi tutti gli ostaggi che dovrebbero ancora essere in suo possesso, un centinaio.
La guerra ha sempre episodi atroci. La settimana scorsa, tre figli e quattro nipoti del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh sono stati uccisi in un raid aereo israeliano mirato, che ha ulteriormente complicato i negoziati: i tre stavano celebrando, come da tradizione, la fine del Ramadan. Haniyeh dice che l’uccisione dei suoi figli renderà Hamas “più ferma nei suoi principi”.
E il Washington Post ricostruisce la sorte di un team di paramedici palestinesi che avevano avuto via libera dall’esercito israeliano per salvare una bambina di 6 anni ferita a Gaza: il loro convoglio – un veicolo e un’ambulanza – viene colpito e loro muoiono tutti. La ricostruzione del giornale smentisce la versione ufficiale israeliana, che nega responsabilità dei militari israeliani.