Perché ne beneficiano anche regimi illiberali e in Europa le ‘democrature’
Fortunatamente siamo stati abituati a pensare che l’espressione e la condivisione del consenso da parte di un popolo verso i propri leader siano validi e positivi soltanto se avvengono con modalità esplicite e corrette, senza forme di costrizione o di controllo.
Attraverso un lungo percorso storico abbiamo convenuto fra noi che tali modalità corrispondono a libere elezioni con forze contrapposte che si possano affrontare liberamente.
Tale forma di determinazione del livello di consenso dovrebbe poi risultare unificante tra le varie Nazioni sino a permettere non soltanto garanzie sempre più vaste, ma soprattutto l’emergere di prassi ed obiettivi comuni.
Fortunatamente, dicevo, ma purtroppo fortunatamente solo per noi.
Emerge oggi, più forte che mai, una questione cruciale e, per certi versi, drammatica.
Proviamo a sviscerarla pezzo per pezzo.
In primo luogo la storia europea del Novecento ci ha mostrato come la correttezza delle pratiche democratiche non sia automaticamente in corrispondenza con lo sviluppo e la modernità di una società e delle sue Istituzioni.
Il fascismo italiano e il nazismo tedesco hanno ancora una volta reso evidente a tutti come forme gravemente autoritarie possano tranquillamente applicarsi a contesti grandemente avanzati su tutti gli altri piani.
Si è dissolta, insomma, quella identificazione fra la democrazia come nuovo e l’autoritarismo come vecchio e superato.
Un poco dispiace che in tale passaggio si sia sciolta anche l’equiparazione marxiana della borghesia come classe rivoluzionaria che precede in questo il proletariato, cui successivamente cederà lo scettro.
Ma l’Ebreo di Treviri, parlo di Marx, se ne sarà fatto una ragione. Anche di questo, intendo.
Sopravvive, però, ancora abbastanza forte l’idea che il consenso ottenuto attraverso mezzi non democratici sia di una qualità comunque inferiore a quello che cerchiamo di ottenere e praticare nelle nostre democratiche Nazioni.
Detto diversamente siamo spinti a ritenere che non appena si indebolissero i sistemi illiberali di costrizione, quel consenso si dileguerebbe e le popolazioni sarebbero pronte a ribellarsi e ad aderire all’avanzata del Nuovo.
A poco serve, anche qui, ricordare che il consenso al regime fascista si diffuse e rafforzò ininterrottamente (e nonostante l’ignominia delle leggi razziali) sino al giugno del 1940 e a quella disgraziata entrata in guerra.
Né sembra di ricordare vere forme di opposizione a Hitler e ai suoi gerarchi, fatte salve alcune coraggiose figure (anche esse generalmente legate al disastro bellico in cui il nazismo trascinò la Nazione Tedesca).
Insomma, per dirla rozzamente, dovremmo forse abituarci a scindere analiticamente il concetto di “libertà e democrazia” da quello di “autentico e profondo consenso”.
In altri termini, il popolo italiano (come molti altri popoli europei) ha fortunatamente scelto la forma democratica come sistema di espressione dei propri obiettivi.
Tuttavia ciò non significa e non implica che altri popoli non possano esprimersi e riconoscersi attraverso forme non liberali e non democratiche.
Ciò ci porta a una considerazione ulteriore.
Si annulla nei fatti la diffusa (e consolante) convinzione che se si lasciasse scegliere alla gente comune non vi sarebbero più guerre e sopraffazioni di qualunque genere.
Le guerre in particolare vengono abitualmente attribuite alla trista volontà di quei pochi che poi non le faranno davvero, mentre il popolo, cui toccherà combattere, sarebbe resistente e contrario.
In altri termini, siamo portati a pensare che i momenti tragici dell’Umanità si fondino sulla assenza del consenso collettivo e siano quindi il frutto della essenza autoritaria degli Stati.
So bene quanto sia sgradevole e difficile da accettare questo ragionamento.
Ma non possiamo ignorare la diffusione e la profondità del consenso che ancora oggi lega la stragrande maggioranza del popolo russo a Vladimir Putin e alla sua costante aggressione, non soltanto militare, contro il mondo occidentale.
È giunto però il momento di una soluzione di continuità nel nostro modo di ragionare sul Mondo e sulla Storia.
È stato sin troppo facile attribuire la persistenza di regimi autoritari alle conseguenze dei vari regimi comunisti nel mondo e alla loro contorta caduta.
In quei luoghi, pensavamo, l’avvento della Libertà era stato bloccato dal comunismo e ora che si inseriscono nel libero mondo capitalistico le popolazioni pretenderanno, ed otterranno, di esprimersi liberamente.
I gerarchi potranno reprimere quanto vogliono ma senza il consenso dei loro popoli non potranno proseguire il loro cammino.
Ma se il vero consenso non fosse direttamente legato alla libertà di espressione?
Se fosse possibile, anche a livello di massa, riconoscersi pienamente e sostenere una forma statuale che non ti concede le più elementari forme di espressione?
Se lo sviluppo economico potesse essere completamente sganciato da quel che noi consideriamo sviluppo sociale?
Vi sono anche (e talvolta purtroppo) forme di riconoscimento e consenso che non corrispondono a quelle da noi costruite e sviluppate.
Il generale attacco che il mondo islamico va nuovamente conducendo (ammesso che abbia mai smesso) al mondo occidentale si fonda su un convinto e coinvolto consenso di massa.
Esso non viene scalfito da coraggiose azioni di singole persone, in prevalenza donne.
Dispone di mezzi, sia militari sia finanziari, che gli permettono di attaccare o corrompere qualunque avamposto della civiltà che considera altra da sé.
Può essere che il suo cuore corrisponda alla natura violentemente patriarcale che lo caratterizza. Ciò ci porta a domandarci come possa piacere alle nostre eroiche studentesse che sostengono Hamas e il regime anti – femminile imposto in Palestina, ma questo non ci aiuta molto a capire.
La vera questione è che una gran parte dell’umanità si esprime (ancora?) con modalità che non corrispondono a quelle liberali e democratiche che noi abbiamo scelto, talvolta anche da tempo.
Solo questo punto di vista può permetterci di capire la apparente tranquillità con cui degli esseri umani offrono la loro vita ad una causa che evidentemente condividono sino in fondo, e anche oltre.
Ma non si deve pensare che ragionar così ci porti ad accettare quel che non si può e non si vuole.
Dovrebbe piuttosto servirci ad elidere definitivamente l’illusione che la libertà sia la dimensione verso cui procede la specie umana come frutto inevitabile dell’apprendimento e della coscienza.
I percorsi, dei popoli come dei singoli, si realizzano attraverso un tale numero di mediazioni e di passaggi da renderli non classificabili.
La stessa presenza e crescita della risorsa di consapevolezza, che pure ci appare essenziale, è determinata da infiniti e contraddittori fattori.
Forse, una volta appurato definitivamente questo, sarà possibile guardare lucidamente al Tempo e al Mondo che ci circonda con un carico di problemi e di confusione di cui illusoriamente avevamo pensato di esserci liberati.
Roma, 31 marzo 2024