Il fondatore di al Qaida, Osama bin Laden, diffidò i suoi dal mettere in atto un piano per assassinare Joe Biden, allora vice-presidente degli Stati Uniti, perché era sicuro che, se gli fosse mai capitato di divenire presidente, si sarebbe rivelato “non all’altezza” e avrebbe precipitato l’Unione in una crisi, a tutto vantaggio dei suoi nemici.
Invece, lo sceicco saudita ispiratore degli attacchi terroristici contro l’America dell’11 Settembre 2001 avallava i progetti per assassinare il presidente Barack Obama e il generale David Petraeus, già comandante delle forze Usa in Iraq e quindi responsabile delle operazioni in Afghanistan – sarebbe poi divenuto direttore della Cia, prima di essere ‘bruciato’ da uno scandalo sessuale -.
Le direttive di Osama risalgono al 2010 e furono rinvenute fra i documenti recuperati dall’intelligence statunitense nel complesso di Abbottabbad, in Pakistan, dove il capo terrorista fu scovato e ucciso, il 2 maggio 2011, praticamente sotto gli occhi di Obama e di Biden, oltre che dell’allora segretario di Stato Hillary Clinton, che seguirono l’intera operazione dei Navy Seals dalla ‘situation room’ della Casa Bianca.
L’esistenza del documento non è inedita, perché esso venne reso pubblico una prima volta nel 2012 dal Washington Post. Ma fonti dell’intelligence l’hanno ora ricordata al Daily Mail, dopo che l’Amministrazione Biden ha contestato ai suoi 007 rapporti non accurati su quanto poteva accadere in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe Usa e alleate.
Lo scaricabarile fra Casa Bianca e le agenzie di spionaggio Usa è un fattore di critiche e polemiche per la mancata messa in sicurezza dei cittadini stranieri e dei loro collaboratori afghani prima d’abbandonare le posizioni militari. Il Daily Mail integra l’articolo sul documento di Abbottabbad con considerazioni inquietanti sullo stato mentale dell’anziano presidente – presto 79 anni -.
I caotici avvenimenti di questi giorni, con i talebani di nuovo padroni dell’Afghanistan, sembrano dare ragione a Osama, anche se lui nel frattempo è stato eliminato e al Qaida è stata praticamente sostituita, nella gerarchia del terrorismo integralista, dallo Stato islamico (o da quel che ne resta).
Le indicazioni dello ‘sceicco del terrore’ erano contenute in una lettera lunga 48 pagine, indirizzata a ‘Shaykh Mahmud’, alias Atiyah Abd al-Rahman, anch’egli ucciso poco dopo Osama, il 22 agosto 2011, in Pakistan – l’operazione fu della Cia, con un drone -.
Nella missiva si discute della necessità di concentrare gli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti e di non disperdere energie e risorse con azioni in altri Paesi, specie islamici. A pagina 36, bin Laden suggerisce di formare due squadre d’assalto – una in Pakistan e l’altra in Afghanistan – col compito di pianificare attacchi contro Obama e contro Petraeus, se mai visitassero uno dei due Paesi. Per gli analisti statunitensi, i piani contro il presidente e il generale non ebbero mai nessuna consistenza.
Osama spiegava: ‘Obama è il capo degli infedeli e ucciderlo farà assumere a Biden la presidenza … Biden è totalmente impreparato e porterà gli Usa in una crisi…”. Petraeus, l’uomo del ‘surge’, era invece visto come il generale che poteva fare vincere la guerra agli americani: eliminandolo, si sarebbe modificato il corso del conflitto.
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Contributo a una pagina di geo-politica a capitoletti
A parole, gli Stati Uniti non rinunciano a dettare condizioni ai talebani, ponendo paletti al dialogo: la partenza di tutti i cittadini americani e di tutti gli stranieri che vogliano andarsene e degli afghani loro collaboratori; la formazione d’un governo “inclusivo”; la messa al bando dei gruppi terroristici; e il rispetto dei diritti fondamentali, specie delle donne. Intanto, stop a ogni forma di cooperazione e assistenza: una linea condivisa con la Nato ed espressa pure dall’Ue. Dopo, lasciare il gioco a russi e cinesi non è un’opzione. Washington non ha bisogno di aprire canali di dialogo coi talebani, perché già ne dispone: il 9 agosto, Biden spedì a Doha l’inviato speciale Zalmay Khalilzad, l’uomo che negoziò l’intesa del 2020, per indurre i ribelli a cessare l’avanzata e venire a patti col governo; o, almeno, per ottenere garanzie per le ambasciate e l’evacuazione.