In Iran, un moderato nella morsa dei conservatori: Abdolnasser Hemmati, governatore della Banca centrale iraniana, è rimasto l’unico riformista in lizza nelle elezioni presidenziali iraniane di oggi, il cui esito sarà determinante per un rilancio dei negoziati sul nucleare con gli Usa e gli altri firmatari dell’accordo del 2015 denunciato da Donald Trump.
Hemmati, 65 anni, professore universitario, economista e politico, guida la Banca centrale dal 2018: deve vedersela con due rivali conservatori, il favorito Ebrahim Raisi, capo dell’apparto giudiziario, e Mohsen Rezai, ex comandante dei Pasdaran. I tre sono i superstiti di circa 600 aspiranti presidenti fattisi inizialmente avanti.
Negli ultimi giorni, si sono ritirati il riformista Mohsen Mehralizadeh, vice di Mohammad Khatami dal 2001 al 2005 – le sue chances di vittoria erano quasi nulle – e due conservatori, l’ex negoziatore sul programma nucleare Said Jalili e il deputato Ali Reza Zakani, anch’essi indietro nei sondaggi.
Sul voto, pesano i timori di un boicottaggio di massa, attribuito dal leader supremo iraniano, l’ayatollah Khamenei, a mene esterne. Si prevede che andranno alle urne solo due elettori su cinque, con una partecipazione inferiore al 42% registrato nelle legislative 2020.
Sono oltre 59 milioni gli iraniani chiamati ad eleggere l’ottavo presidente della Repubblica islamica, su una popolazione di 83 milioni di abitanti. Si vota tutto il giorno, fino alle 2 del mattino. I risultati sono attesi domani: il candidato che ottiene la maggioranza assoluta viene eletto al primo turno, altrimenti ci sarà un ballottaggio tra i due più votati venerdì prossimo 25 giugno.
Raisi, che potrebbe anche passare al primo turno – i sondaggi gli attribuiscono il 60% dei suffragi -, prospetta un “Iran forte”, che sappia tenere testa all’Occidente nei negoziati sul nucleare e sviluppi le sue capacità economiche per uscire dalla crisi nonostante le sanzioni americane – i risultati hanno poi confermato questa previsione, ndr -.
La campagna per l’astensionismo è sostenuta da dissidenti e oppositori che fa leva sul malcontento per la disastrosa situazione economica. Il presidente uscente Hassan Rohani, eletto nel 2013 e rieletto nel 2017, non ha mantenuto le promesse di aperture politiche.
La Guida suprema Ali Khamenei avverte che, se l’affluenza sarà bassa, “la Repubblica islamica s’indebolirà, il Paese diventerà vulnerabile al terrorismo e i nostri nemici coglieranno l’occasione per interferire negli affari interni”. Affidandosi a mercenari, “le potenze sataniche”, prime fra tutte gli Usa, cercano di boicottare le elezioni e di “creare una spaccatura tra il popolo e il sistema”.